Il “club del MiG” in bilico tra Est e Ovest
Le forze aeree dell’ex Patto di Varsavia (e della defunta Iugoslavia) puntano ad acquisire aerei di nuova generazione: e guardano sempre di più all’Occidente
Dalla Russia con amore
Nelle scorse settimane, in occasione del centenario dalla nascita dell’aviazione militare russa, Mosca ha confermato l’intenzione di rinnovare la propria forza aerea acquisendo 600 aerei e 1.000 elicotteri entro il 2020. Un programma che secondo alcune stime vale circa 500 miliardi di euro, e che sul mercato internazionale sarebbe molto appetibile, se a spartirsi la torta non fossero – come prevedibile – le aziende russe, che già stanno producendo o aggiornando vari modelli di aerei da combattimento (dai Su-30, -34 e -35 ai bombardieri Tu-22, ai MiG-29, -31 e -35) e supporto, compresi gli addestratori avanzati Yak-130, frutto anche di una collaborazione degli anni ‘90 con la Aermacchi. In effetti gli accordi con le industrie occidentali sono rari, per l’apparato militare russo; e nonostante le recenti aperture relative a settori nei quali l’industria nazionale aveva accumulato gravi ritardi e carenze come blindati medio-leggeri sofisticati e unità anfibie (carenze coperte acquisendo o testando i Lince e i Freccia/Centauro di Iveco e le LHD tipo“Mistral” francesi), difficilmente si vedrà qualcosa di simile in campo aeronautico. L’industria russa ha dimostrato in questi 20 anni di essere estremamente competitiva sul mercato dell’export, anche in paesi generalmente clienti dell’Occidente.
Mosca quindi si è finora limitata ad acquistare per la propria Aeronautica UAV israeliani, e a percorrere la strada della cooperazione economica e industriale con un altro gigante affamato di moderni armamenti – e chiave per accedere a tecnologie più sofisticate – come l’India. In campo aerospaziale e missilistico questa cooperazione ha già portato alla realizzazione di un interessante missile antinave, il Bramhos, e ora sta sviluppando un caccia di quinta generazione, il Sukhoi T-50 PAK AF.
Qualche margine di manovra esiste per gli elicotteri: se Mil e Kamov producono buone macchine da trasporto, ASW o da attacco, la recente joint venture siglata con AgustaWestland fa ben sperare, soprattutto per il mercato degli elicotteri destinati ai servizi statali e per le compagnie civili (dopo i primi successi dell’AW-139), ma con la possibilità di accedere ad una fetta della gigantesca “torta” dei 1.000 nuovi elicotteri richiesti dalle Forze Armate. Il discorso cambia, quando si parla dei paesi nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel 1991. Tenendo ben presente che per ragioni soprattutto economiche, la maggior parte degli stati dell’ex URSS non si può permettere apparati militari e programmi di ammodernamento troppo impegnativi, possiamo individuare tre linee di tendenza. La prima riguarda i paesi che con Mosca hanno, per varie ragioni, rapporti freddi: ossia i tre stati baltici di Estonia, Lituania e Lettonia, la Georgia (che con la Russia ha anche combattuto una guerra nel 2008) e, più parzialmente, Kazakhstan e Azerbaijan. Un secondo gruppo di paesi (Moldavia, Armenia, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kyrgyzthan) ha buoni rapporti economico-politici con Mosca, ma non ha risorse da investire nelle Forze Armate, e si limita ad acquisire materiale di seconda mano ex URSS.
Giuliano Da Fre'Vedi tutti gli articoli
Monzese, classe 1969, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, già cronista del settimanale Il Giornale di Monza, dal 2007 lavora per il bisettimanale Il Cittadino. Dal 1996 collabora con varie testate del settore militare. Ha pubblicato due e-book (Kriegsmarine e Lampi ad Oriente) e alcune brevi monografie. Nel 2009 ha collaborato alla stesura del saggio Storia della Provincia di Monza e Brianza. Sono di prossima pubblicazione un saggio sulla storia navale dell'America Latina dall'indipendenza al 1914, e una monografia dedicata alla Guerra della Triplice Alleanza del 1864-1870.