E’ Bengasi che ha diviso Stati Uniti e Morsi

da Libero Quotidiano del 6 luglio

Washington mantiene ufficialmente una posizione cauta circa la crisi scoppiata in Egitto in seguito al golpe militare che ha deposto il presidente Mohamed Morsi ma alcune notizie provenienti da Tripoli e una serie di coincidenze potrebbero spiegare i motivi per i quali la Casa Bianca non ha difeso il presidente egiziano. Il 26 giugno scorso un documento firmato dal capo della National Security libica, Mahmoud Ibrahim Sharif, ha rivelato che Morsi e alti esponenti del movimento dei Fratelli Musulmani e dei salafiti egiziani hanno finanziato il gruppo jihadista Ansar al-Sharia responsabile di molti attentati in Libia e dell’assalto al consolato americano di Bengasi nel quale l’11 settembre scorso vennero uccisero quattro cittadini statunitensi tra i quali l’ambasciatore Christopher Stevens.
Il documento, indirizzato da Sharif al Ministro degli Interni libico, è stato pubblicato dal quotidiano kuwaitiano al-Ra’i ed è “rimbalzato” su numerosi siti internet arabi per venire poi tradotto in inglese dall’esperto statunitense di questioni mediorientali Raymond Ibrahim. Nel rapporto viene fatto riferimento alle indagini effettuate a Bengasi, agli interrogatori di alcuni miliziani di Ansar al-Sharia e alle “confessioni di sei egiziani arrestati sulla scena del crimine”.

Negli interrogatori i jihadisti egiziani “hanno confessato molte gravi e importanti informazioni concernenti le fonti finanziare del gruppo e la pianificazione dell’assalto e dell’incendio del consolato statunitense” si legge nel documento. Tra i nomi citati vi sono il presidente egiziano Mohamed Morsi e il candidato salafita alle elezioni presidenziali egiziane dell’anno scorso, Hazim Salih Abu Ismail. Nella lista anche l’uomo d’affari saudita Mansour Kadasa, proprietario della tv egiziana al-Nas (vicina Fratelli Musulmani) e due predicatori egiziani tra i più estremisti: Sheikh Muhammad Hassan e Safwat Hegazi. A rafforzare la tesi degli 007 di Tripoli viene citato un video girato durante l’attacco al consolato nel quale alcuni jihadisti raggiungono gli altri miliziani dicendo in dialetto egiziano “non sparate, ci manda il dottor Morsi”.

Il contenuto del documento dell’intelligence libica non ha avuto molta eco in Occidente ma non è stato smentito dalle autorità di Tripoli né quelle del Cairo lo ha commentato. Difficile però verificare quanto riportato dagli agenti libici anche perché non sono stati forniti dettagli sulle dichiarazioni dei prigionieri egiziani che quasi certamente hanno subito violenze e torture nel corso degli interrogatori. Non mancano poi le indiscrezioni circa il supporto nelle indagini ricevuto dagli agenti libici da FBI e CIA ma è indubbio che, se quanto rivelato trovasse conferma, la Casa Bianca avrebbe molte buone ragioni per togliere l’appoggio a Morsi. Soprattutto perché verrebbe confermata la sostanziale identità di obiettivi tra Fratelli Musulmani e salafiti, animati dal ben poco democratico obiettivo di imporre il “Califfato” dal Nord Africa alla Siria continuando a colpire  gli Stati Uniti nonostante il sostegno di Washington alla “primavera araba”.

Difficile poi non notare alcune “coincidenze”. I militari egiziani hanno deposto Morsi solo pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto dell’intelligence libico. Le forze armate, baluardo di laicità e modernità dell’Egitto, dispongono per lo più di armi “made in USA” e ricevono dalla firma degli accordi di pace con Israele finanziamenti dagli Stati Uniti per 1,3 miliardi di dollari all’anno e la quota per il 2013 è stata approvata dal Congresso pochi giorni or sono. Infine, vale la pena ricordare che la visita ufficiale di Morsi a Washington è stata posticipata almeno quattro volte dal dicembre scorso. Segno forse che alla Casa Bianca qualcuno sospettava già di lui.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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