La destabilizzazione dell’Egitto preoccupa i vicini
Un Egitto instabile, sconvolto da disordini continui o addirittura da una guerra civile simile a quella che per anni ha insanguinato l’Algeria o più recentemente la Siria. Per ora si tratta solo di ipotesi, scenari forse lontani o irrealistici sui quali stanno applicandosi gli analisti economici e strategici anche se alcuni elementi concreti non inducono certo all’ottimismo. La radicalizzazione religiosa e politica dello scontro tra militari, cristiani e forze laiche da una parte e movimenti islamici dall’altra si è consolidata nelle ultime ore con la fatwa del predicatore Youssef al-Qaradawi schieratosi a fianco dei Fratelli Musulmani con l’istituzione islamica più riconosciuta nel mondo, l’Università al-Azhar. Anche l’annunciata nascita del movimenti islamico Ansar el-Sharia istituito in Sinai per sostenere Mohamed Morsi, combattere la democrazia e instaurare la sharia, potrebbe indicare un rafforzamento dei gruppi jihadisti già da tempo attivi nella Penisola grazie all’appoggio delle tribù beduine e alle infiltrazioni qaediste dalla Striscia di Gaza. Nelle ultime ore l’escalation delle violenze in Sinai lascia pochi dubbi circa il tentativo degli estremisti islamici di portare il caos nella provincia approfittando dei disordini in atto in tutto Il Paese. Gli attacchi dei miliziani islamisti hanno ucciso 5 militari e un prete copto mentre un attentato ha fatto esplodere la notte scorsa il gasdotto che collega l’Egitto alla Giordania, impianto attaccato già undici volte dalla caduta di Hosni Mubarak. Oggi miliziani a bordo di camioncini hanno attaccato almeno altre quattro postazioni militari a Sheikh Zuweid, cittadina situata a ridosso della frontiera con Israele e la Striscia di Gaza. Nessuna rivendicazione esplicita ma il Gruppo Majlis Shura al Mujahidin (salafiti che in aprile rivendicarono il lancio di razzi sul porto israeliano di Eilat) in una nota ha ventilato reazioni contro le “pratiche repressive” attuate dalle truppe egiziane.
Il rischio che il perdurare delle violenze favorisca il costituirsi di un’alleanza tra diversi gruppi islamisti (dai Fratelli Musulmani ai salafiti, dai gruppi qaedisti al movimento palestinese Hamas di Gaza ideologicamente appartenente alla galassia della “fratellanza”) viene pesa molto sul serio in Israele ma anche nella vicina Giordania e in genere in Occidente dove la stabilità del Sinai viene considerata essenziale per la salvaguardia degli accordi di pace firmati nel 1978 tra Egitto e Israele. Per questo la cooperazione tra militari egiziani e israeliani lungo il confine è stata rafforzata e Gerusalemme ha chiuso un occhio di fronte all’invio di reparti corazzati egiziani a circondare i confini con la Striscia di Gaza che viola i limiti stabiliti a Camp David delle forze militari che il Cairo può dislocare in Sinai. Blindare il Sinai è nell’interesse di tutti, anche degli Occidentali che in quella regione schierano circa 4 mila militari e osservatori della Multinational Force and Observers, la forza internazionale che dal 1981 controlla il rispetto degli accordi di pace israelo-egiziani. Ne fanno parte europei, statunitensi, australiani, neo zelandesi canadesi e anche italiani con 78 marinai e tre motovedette basati a Sharm el Sheikh. Truppe che in un Sinai fuori controllo rischierebbero di venire convolte negli scontri e di diventare bersaglio per sequestri come è già accaduto agli osservatori delle Nazioni Unite dislocati sul Golan siriano.
L’instabilità de Sinai avrebbe poi pesanti ricadute strategiche ed economiche legate al controllo del Canale di Suez la cui percorribilità non sembra messa in forse dai disordini e secondo molti analisti non dovrebbe risultare minacciata. Se gli scontri di piazza evolvessero in una vera insurrezione o peggio in un conflitto civile anche il Canale si troverebbe però esposto, soprattutto ad azioni terroristiche nei confronti delle quali risulta molto vulnerabile. La distruzione di una grande nave in transito bloccherebbe infatti per molto tempo il Canale, così stretto da non essere percorribile contemporaneamente in entrambi i sensi. Suez rappresenta (insieme al turismo da due anni è in forte ribasso) la maggiore fonte di valuta pregiata del Paese e un’azione terroristica potrebbe avere il preciso scopo di ingigantire le già gravi difficoltà economiche dell’Egitto le cui riserve valutarie sono scese a giugno di 1,12 miliardi di dollari a 14,92 miliardi. Lo ha sottolineato la Banca Centrale evidenziando “lo stato di pericolo” delle finanze pubbliche con riserve che rappresentano meno di tre mesi di import e solo la metà sono cash o in titoli che possono essere spesi facilmente. Nei giorni scorsi la banca d’affari Merryl Lynch aveva avvertito che, sul piano finanziario, l’Egitto ha sei mesi di vita dopo i quali non riuscirà a pagare i debiti e i fornitori interni ed esteri.
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Foto: Rinforzi egiziani in Sinai (Reuters)
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.