Al-Qaeda revival

Washington l’aveva data per spacciata dopo l’uccisione di Osama bin Laden e di una decina di leader di alto e medio livello ma negli ultimo giorni al-Qaeda h dimostrato non solo di essere viva e vegeta ma di poter minacciare ancora gli statunitensi, almeno nei Paesi islamici dove l’allarme sicurezza ha indotto Washington a chiudere uffici e sedi diplomatiche e a “evacuare” lo Yemen.
Il “revival” qaedista è confermato dal  Dipartimento di Stato che ha lanciato l’allarme per una possibile “offensiva d’agosto” contro turisti americani in Medio Oriente, in Nord Africa e nella Penisola arabica. Il presidente della Commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti, Ed Royce, ha dichiarato alla Cnn che «si tratta di minacce provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia centrale legate ad Al Qaeda. Ovviamente verranno prese tutte le misure necessarie per garantire la piena sicurezza al nostro personale civile e militare all’estero». I «terroristi potrebbero decidere di usare una varietà di mezzi e armi e prendere di mira sia obiettivi ufficiali che privati»
A quanto pare è stata una serie di intercettazioni di conversazioni tra esponenti di grosso calibro di al-Qaeda a spingere Washington a diramare l’allerta terrorismo. Nelle conversazioni, i terroristi discutevano di attacchi contro gli interessi americani in Medio Oriente e Nordafrica. Le intercettazioni e le successive analisi fatte dalle agenzie di intelligence, scrive il New York Times, hanno portato a mettere in guardia i cittadini Usa dalla possibilità che Al Qaeda e le organizzazioni affiliate tentino di colpire in agosto. L’allarme rivolto ai cittadini americani in viaggio per turismo o per ragioni di lavoro e ai residenti all’estero è giunto all’indomani dell’annuncio del Dipartimento di Stato sulla chiusura per ragioni di sicurezza di una ventina di sedi diplomatiche in Nordafrica e Medio Oriente.

“Si trattava di qualcosa di molto di più che di una consueta chiacchierata”, ha riferito un alto funzionario a conoscenza del contenuto delle conversazioni. L’importanza delle intercettazioni è stata sottolineata anche dal discorso del leader di al-Qaeda, Ayman Al Zawahiri, diffuso martedì sui siti jiahadisti nel quale chiedeva di colpire gli interessi americani in risposta alle azioni militari statunitensi nei Paesi islamici e agli attacchi con i droni in Pakistan e Yemen. Recentemente al-Qaeda ha poi dimostrato di poter organizzare una spettacolare serie di blitz contro le carceri in tre diversi Paesi liberando centinaia di miliziani detenuti.
La prima evasione di massa è stata effettuata da un nutrito commando di al-Qaeda in Iraq il 23 luglio con un assalto al carcere di Abu Ghraib, alla periferia di Baghdad reso celebre negli anni scorsi dai soprusi sui prigionieri compiuti da militari statunitensi. Il blitz è stato condotto con tecnica militare prima numerosi colpi di mortaio hanno costretto le guardie a porsi al riparo, poi sei kamikaze si sono fatti esplodere aprendo brecce nel perimetro consentendo l’ingresso dei miliziani e la fuga di circa 500 detenuti. Le autorità sostengono di aver ripreso i due terzi degli evasi ma è singolare che la battaglia sia durata tutta la notte senza che i militari siano riusciti a intervenire a soccorso delle guardie carcerarie.

Dubbi su complicità con i terroristi costati l’arresto ad alcuni alti ufficiali iracheni e il posto al direttore del penitenziario. Le azioni dei qaedisti sono del resto in forte aumento in Iraq e nella vicina Siria dove le milizie del Fronte al-Nusrah sono ormai la compagine più forte tra quelle che combattono il regime di Bashar Assad. Le violenze in Iraq hanno causato 989 morti (per l’Onu addirittura 1.054) e 1.567 feriti in luglio, che diventa così il mese più sanguinoso dall’aprile 2008 (quando i morti furono 1.428) ma all’epoca nel Paese erano schierati ancora oltre 100 mila soldati statunitensi. Quattro giorni dopo il blitz ad Abu Ghraib sono stati i qaedisti libici a scatenare una rivolta trasformatasi in fuga di massa dal carcere di Al Kuifiya, nei pressi di Bengasi. I servizi di sicurezza di Tripoli hanno detto che all’interno del carcere è scoppiata una sommossa durante la quale i prigionieri hanno incendiato gli abiti e le lenzuola. Le guardie hanno aperto le celle per consentire ai detenuti mettersi in salvo ma in più di mille sono riusciti a scappare, forse con la complicità di alcune guardie. Degli evasi, per lo più criminali comuni, un centinaio sarebbero stati ripresi nei giorni successivi mentre è probabile che molti jihadisti in fuga abbiano trovato asilo presso le milizie che controllano ampie aree della Cirenaica. Del resto anarchia e violenze interessano ormai tutta la Libia dove hanno provocato un calo del 70 per cento dell’export petrolifero con il rischio che il calo degli introiti finanziari possa imprimere il colpo di grazia al traballante governo di Tripoli.

La notte del 29 luglio un terzo blitz è stato effettuato dai talebani pakistani del Tehrik-e-taleban Pakistan (Ttp) che hanno attaccato il carcere di massima sicurezza di Dera Ismail Khan, una dei più grandi del Paese. La tattica degli assalitori è stata identica a quella adottata a Baghdad. Una trentina di miliziani hanno avviato l’attacco con i mortai seguiti da cinque kamikaze che hanno aperto la strada agli altri. I talebani hanno rivendicato di aver liberato 300 prigionieri in una battaglia che secondo fonti governative ha provocato 12 morti. A Dera Ismail Khan c’erano circa 5 mila detenuti inclusi 200 miliziani islamici e 45 comandanti. Nell’aprile dell’anno scorso i talebani avevano già liberato con un blitz spettacolare altri 380 miliziani detenuti nel carcere del distretto tribale di Bannu.

Il coordinamento tra le tre incursioni effettuate nell’ultima settimana di luglio sembra trovare conferma nella ultime dichiarazioni di Ayman al-Zawahiri (nella foto), successore di bin Laden alla testa della rete terroristica, che dopo qualche mese di silenzio è riapparso con un messaggio audio diffuso da alcuni siti filo-islamisti. Il primo dei molti temi toccati da al-Zawahiri ha riguardato il trattamento dei 166 prigionieri ancora rinchiusi nel carcere speciale situato presso la base navale statunitense di Guantanamo, enclave controllata da Washington all’estremità sud-orientale di Cuba. Qui molti detenuti protestano da tempo con lo sciopero della fame per le condizioni di detenzione. “Ci impegniamo di fronte ad Allah” – ha detto il medico egiziano – e “non risparmieremo alcuno sforzo per liberare tutti i nostri prigionieri, in testa ai quali vi sono Omar Abdel Rahman, Aafia Siddiqui, Khaled Sheikh Mohammed, e ogni musulmano oppresso ovunque”. Difficile però ipotizzare un prossimo blitz dei miliziani contro il super carcere statunitense situato troppo lontano dai “santuari” qaedisti e protetto dal reparto di marines che presidia la base di Guantanamo. Più probabile che, come ha già tentato di fare in passato, al-Qaeda punti a sequestrare cittadini occidentali per tentare poi di scambiarli con alcuni reclusi.
In ogni caso il rapporto del Dipartimento di Stato americano intitolato “Country Report on Terrorism” che l’anno scorso aveva definito al-Qaeda quasi moribonda e in profondo declino andrebbe quanto meno rivisto.

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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