Nigeria: la sfida di Boko Haram
Il gruppo/setta estremista islamista Boko Haram nell’ultimo quinquennio si è fatto drammaticamente conoscere per l’impiego di tattiche e le tecniche terroristiche aventi l’obiettivo di tentare di imporre la legge islamica integralista nel nord della Nigeria, una vastissima regione la cui popolazione è per la gran parte di fede musulmana. Boko Haram è stato inserito dagli Stati Uniti e da poco anche dal Canada nell’elenco delle organizzazioni terroristiche più pericolose e rappresenta una grave minaccia allo stato della Nigeria, che ricordiamo è il settimo paese più densamente popolato al mondo ed uno dei paesi africani più importanti dal punto di vista sia geopolitico che geoeconomico, a motivo delle note enormi risorse petrolifere di cui dispone. Gli estremisti di Boko Haram rappresentano una minaccia molto seria alla stabilità della Nigeria, paese che spende ben il venti per cento del budget federale sul tema della sicurezza. Boko Haram dal 2009 ha causato la morte di oltre 3.600 persone, di cui 770 sono state uccise nel solo 2012, una ferocia e aggressività che non mostra rilevanti segnali di cedimento o arretramento.
Nonostante il recente invio di robusti contingenti di soldati e la contestuale dichiarazione dello stato di emergenza negli stati dove più è attivo il gruppo estremista, quest’ultimo continua a colpire duramente. Uno dei bersagli prescelti da Boko Haram sono le comunità cristiane, con chiese e villaggi oggetto di attacchi da molti anni. Anche le ultime settimane del 2013 hanno confermato che le brutali modalità di azione di Boko Haram non sono state granché intaccate dal ‘surge’ dell’esercito nigeriano. Il gruppo estremista islamista è stato fondato nel 2002 ma ha iniziato a dispiegare la sua scia di sangue e terrore dal 2009, soprattutto nella parte nord-orientale della Nigeria. Nel luglio di quell’anno il gruppo estremista ebbe a subire centinaia di perdite a seguito della repressione messa in atto all’epoca dal governo, in quel drammatico frangente il loro leader Ustaz Mohammed Yusuf moriva mentre era in custodia della polizia. Da quel momento in avanti la leadership di Boko Haram ha scelto come modus operandi l’arma del terrore: la dirigenza e i militanti di Boko Haram sono scesi in clandestinità, dando il via ad un crescendo di azioni sempre più cruente. Al fondatore Mohammed Yusuf subentrava Abubakar Shekau (nella foto d’apertura), l’attuale capo del gruppo terrorista. Le primissime azioni violente hanno preso avvio a Maiduguri, località di nascita di Boko Haram, la capitale dello stato del Boro. In seguito però gli attacchi e gli attentati non sono rimasti circoscritti ma nel giro di poco tempo le milizie di Boko Haram hanno causato moltissime vittime tra civili, poliziotti e militari negli stati del nord-est di Yobe, Kano, Bauchi e Gombe.
Da movimento a milizia
Gradualmente le cellule terroristiche hanno prima impiegato pistole e machete, poi sono passate all’utilizzo di molotov e dei manufatti esplosivi artigianali, delle piccole IED (improvised explosive devices), tutti i miliziani sono stati dotati di armi leggere e lanciarazzi di fabbricazione russa o loro copie cinesi. Per auto-finanziarsi vengono rapinate le banche. Tra i miliziani di Boko Haram vi sono persone abili ad utilizzare il web, i guerriglieri sono ben addestrati e si sono dimostrati anche efficaci gestori dell’organizzazione logistica e della raccolta di informazioni di intelligence. Boko Haram agisce in un percorso sia di progressiva escalation di violenza sia di azioni che hanno un prevalente scopo propagandistico. Nel settembre 2010 Abubakar Shekau riesce ad organizzare una clamorosa evasione da Bauchi di alcune centinaia di reclusi. Nel 2011 Boko Haram ‘celebra’ l’insediamento del nuovo presidente Jonathan Goodluck con una serie di attentati in diversi stati del nord-est, il 2011 è soprattutto l’anno che segna il passaggio alla tecnica libanese/irakena delle auto-bomba.
Questa micidiale scelta stragista è arriverà fin dentro il cuore politico della Nigeria con due clamorosi attentati tra giugno e agosto 2011: uno contro la sede della Polizia e l’altro contro gli uffici della Nazioni Unite, entrambi avvenuti nel cuore della capitale Abuja. Nel successivo novembre nuovi attentati coordinati flagellano gli stati del Borno e dello Yobe, infine di nuovo a dicembre, il giorno di Natale, una serie di esplosioni fanno strage tra i cristiani. La spietatezza delle azioni di Boko Haram cresce ancora di intensità nel 2012: le festività cristiane sono sempre più prese di mira, come avverrà il giorno di Pasqua a Kaduna ai danni dei fedeli in una chiesa; in quello stesso giorno una serie di esplosioni colpisce il quotidiano ThisDay ed alcuni uffici di compagnie telefoniche. Nello scorso febbraio avviene il noto rapimento di una famiglia francese che si trovava in Cameroun nei pressi del confine con lo stato nigeriano del Borno. A maggio la città di Bama è la tragica protagonista di un violentissimo assalto armato. Gli assalti si susseguono sia contro le chiese cristiane sia anche contro le moschee, come nello scorso agosto quando Boko Haram provoca 82 morti in due moschee. Un nuovo rapimento di un cittadino francese è stato attuato lo scorso 13 novembre ai danni del prete Georges Vandenbeusch, azione che si è svolta come la precedente nel nord del Cameroun che si conferma come ulteriore area di azione per Boko Haram, come più volte indicato anche dalle autorità francesi agli omologhi camerunensi.
Il 42enne George Vandenbeusch era stato sequestrato da uomini armati che avevano fatto irruzione nella sua parrocchia e successivamente portato in Nigeria, poi a fine dicembre è stato rilasciato anche se non sono state date informazioni sulle modalità della sua liberazione anche se la BBC ha parlato di un riscatto di almeno tre milioni di dollari, somma che se fosse confermata certo farebbe aumentare di molto la ‘cassa’ di Boko Haram. Gli scontri a fuoco (se non vere e proprie mini-battaglie) sono continui, Boko Haram persegue nella sua drammatica sfida: è di qualche settimana fa la notizia di durissimi scontri tra estremisti ed esercito con decine di morti, soprattutto civili. La minaccia rappresentata da Boko Haram non coinvolge più solo le istituzioni nigeriane ma anche gli altri stati africani e soprattutto gli Stati Uniti e i suoi alleati tradizionali. Le agenzie di intelligence occidentali e africane hanno raccolto prove, da almeno due anni, dell’esistenza di sempre più frequenti contatti, collegamenti con AIQM (Al-Queida nel Maghreb), con Al-Shabaab in Somalia e quindi con la rete di Al-Qaeda. Come conseguenza formale ed ufficiale gli estremisti islamisti di Boko Haram sono stati inseriti da Washington dallo scorso 8 novembre 2013 e subito dopo da Ottawa nella lista dei gruppi terroristici affiliati ad Al-Qeida (Foreign Terrorist Organization FTO). In particolare fonti statunitensi hanno affermato che ciò costituisce ”uno snodo significativo che può aiutare la Nigeria nell’affrontare in modo più ampio possibile, con un mix di misure politiche, economiche, legislative e militari, la questione degli estremisti di Boko Haram ed Ansaru”.
Chi è Boko Haram ?
Il gruppo terroristico/setta ‘Boko Haram’, si è attribuito questo nome che nella lingua Hausa (una delle lingue più diffuse nel nord del paese) significa “l’educazione occidentale è peccato”, vale a dire un ‘messaggio’ per comunicare l’ideologia che vi è dietro, come è prassi anche delle organizzazione jihadiste salafite. La denominazione ufficiale completa è Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad – “Gruppo dedito alla Propaganda degli Insegnamenti del Profeta e alla Guerra Santa”. Boko Haram persegue una precisa strategia del terrore al fine di scardinare le istituzioni locali e federali e raggiungere l’obiettivo principale: fondare uno stato a strettissima osservanza islamica con una ideologia un po’ simile a quella dei Talebani in Afghanistan, laddove si prevede l’applicazione integrale della Sharia. Similmente ai Talebani, i membri di Boko Haram non vogliono consentire alla popolazione, specie quella femminile, di avere accesso all’educazione scolastica; da qui i tanti tragici attentati contro scuole, istituti universitari per spargere il terrore innanzitutto sui genitori delle ragazze e dei ragazzi, il tutto tenendo presente i livelli drammatici di scolarizzazione, laddove nel Nord della Nigeria il tasso di istruzione femminile raggiunge a malapena il 5%.
Tuttavia il sorgere di formazioni islamiste o similari non è cosa nuova in Nigeria, per esempio agli inizi degli anni Ottanta, proprio nelle stesse località dove è sorta Boko Haram, si diffuse per un certo periodo la setta Maitatsine fondata da Mohammed Marwa. E’ importante tenere presente il contesto complessivo della Nigeria, che vive di drammatiche contraddizioni pur potendo contare su una permanente bonanza grazie all’oro nero. Laddove il gruppo Boko Haram si muove spesso in un terreno fertile, trovando fiancheggiatori, aiuti logistici e finanziari a motivo anche della condotta politica del governo federale: il governo di Abuja ha quasi sempre lasciato insoddisfatte le richieste del nord del paese, le fette più grosse del budget per gli investimenti e lo sviluppo vengono sempre destinate al sud del paese, scontentando sempre di più le élite e le genti del nord. E’ un paese in cui vi sono enormi squilibri, l’elettricità viene erogata solo poche ora al giorno ma la Nigeria è pure il secondo consumatore mondiale di …champagne. Tutti gli analisti convergono nel mettere l’indice sulla pessima gestione degli stati del Nord, nella troppa corruzione, nel grande squilibrio sulla gestione degli enormi proventi del petrolio, nell’assenza di efficaci politiche contro la povertà e la costruzione di un serio sistema educativo; sono questi tutti fattori che evidentemente potrebbero riuscire a conquistare ‘i cuori e le menti’ delle popolazioni di fede musulmana.
Operazione Restore Order: il surge delle forze armate nigeriane
Nel mese di maggio scorso il presidente Jonathan Goodluck ha preso la decisione di intervenire in modo determinato per reprimere le azioni di Boko Haram, dando il via all’operazione Restore Order nelle regioni dove operano di più i membri di Boko Haram e dove sono presenti i ‘santuari’ del gruppo terroristico, cioè i tre stati nord-orientali di Borno, Adamawa e Yobe. Nel contempo è stato instaurato lo stato di emergenza e sono state bloccate tutte le comunicazioni via cellulari nel Borno e nello Yobe al fine di impedire le comunicazioni tra le cellule dei terroristi. In passato si era, invece, preferito triangolare le chiamate tra i telefoni cellulari per cercare di capire in anticipo dove avrebbero colpito i membri di Boko Haram e tentare di conoscerne meglio le modalità operative. I tre stati oggetto di Restore Order confinano con il Niger, il Cameroun e il Ciad ed hanno una estensione pari a tutta la Gran Bretagna.
Tra il 16 aprile ed il 7 maggio scorsi si sono verificati alcuni tra i più pesanti attacchi dei miliziani estremisti con la morte di duecento persone a Baga nei pressi del lago Ciad e con l’uccisione di una dozzina di poliziotti e militari a Bama, nello stato del Borno, a seguito del clamoroso assalto condotto nella cittadina da un convoglio di sette veicoli zeppi di miliziani con armi pesanti e lanciarazzi. Secondo quanto dichiarato dal portavoce delle forze armate nigeriane con Restore Order si è dato avvio ad “una massiccia offensiva su ampia scala” con un dispiegamento iniziale di un primo contingente di 2mila uomini. Il tutto appoggiato da aliquote dell’aviazione e dagli elicotteri d’attacco opportunamente inseriti nel dispositivo dell’operazione. Nel mese di agosto il contingente di Restore Order è salito fino a 8mila militari, il che tuttavia non permette un valido controllo del territorio alle unità dell’esercito e delle forze di sicurezza considerata la vastità delle aree in cui sono dispiegati: 150mila chilometri quadrati dove vivono circa 10 milioni di persone.
Esito incerto
Fino ad oggi l’andamento di queste operazioni, che sono in corso, può essere grosso modo suddiviso in tre periodi. Nel primo periodo le operazioni delle forze armate nigeriane hanno avuto un buon esito, riuscendo a limitare per molte settimane gli attacchi di Boko Haram, pur se azioni sporadiche si sono invece verificate in altre aree come Kano e Kaduna. Il secondo periodo prende il via già dal mese di giugno quando il gruppo terrorista ha iniziato a reagire, con la sua, purtroppo, consueta modalità feroce, dando avvio ad una campagna di attacchi mirati alle JTF civili (Civilian Joint Task Force) le milizie di auto-difesa allestite nello stato del Boro, su richiesta del governo centrale per integrare le forze di sicurezza sul campo. Il terzo periodo è (forse) quello iniziato nelle ultime settimane dove l’esercito ha ripreso le azioni repressive proclamando il successo più rilevante con l’azione del 25 ottobre coordinata tra esercito e aviazione contro le basi di Boko Haram dislocate nei pressi dei villaggi di Galangi e Lawanti, nello stato del Borno, ha portato alla uccisione di almeno 74 membri di Boko Haram. Nel contesto dell’azione delle forze armate e delle unità della sicurezza per rafforzare il controllo sul territorio si è provveduto a istituire una unità di vigilantes civili, la Civilian Joint Task Force a Maidiguri, nel Boro, proprio nel territorio del gruppo estremista.
Le JTF fina dal maggio scorso collaborato in molte azioni di rastrellamento e pattugliamento. Boko Haram per vendetta ha preso a sua volta a colpire i vigilantes in modo durissimo, cosicchè alla fine di luglio vengono uccisi 43 vigilantes, per la gran parte commercianti e pescatori, in risposta alle incursioni condotte dalla JTF nei villaggi di Mainok e Dawashi, località presso la città di Maidiguri. D’altro canto l’impiego di queste unità di vigilantes ha pure i suoi inevitabili effetti collaterali, poiché né la polizia né forze armate li controllano o li coordinano in modo adeguato con le conseguenze del caso, in diverse occasioni si sono verificati degli omicidi di ‘membri di Boko Haram’ che poi non lo erano effettivamente e tutti questi eventi certo contribuiscono a far salire il livello di insicurezza negli stati del nord-est. In tutta questa caotica situazione il 20 agosto era stata diramata dalle forze di sicurezza nigeriane dello Stato nord-orientale di Borno, la notizia della probabile morte sul campo di Abubakar Shekau cioè il capo della feroce organizzazione terroristica di Boko Haram; le autorità avevano dichiarato che vi erano delle alte probabilità che Shekau fosse morto fra il 25 luglio e il 3 agosto, a seguito del ferimento in uno scontro armato con i militari nella foresta di Sambisa il precedente 30 giugno. Così sintetizzava il comunicato ufficiale: “Abubakar Shekau è stato ferito a morte e trasportato ad Amitchide, una località di confine con il Camerun, per ricevere cure che non lo hanno mai guarito”.
Questa morte aveva fatto subito ipotizzare per il futuro due tipi di scenari: il gruppo avrebbe potuto intraprendere una percorso di distacco dalla collaborazione con questo temibile gruppo di jihadisti AQIM (Al-Qaeda nel Maghreb) oppure esattamente l’opposto cioè la continuazione delle azioni più radicali e cruente. La notizia della morte di Shekau non è stata mai confermata né da altre fonti né tantomeno dai membri di Boko Haram, le azioni terroristiche sono proseguite. Il video pubblicato a settembre sul sito della BBC ha mostrato Shekau discutere con i suoi uomini sugli accadimenti più recenti, il che fa ritenere che egli sia ancora pienamente al comando. Sulla testa del ricercatissimo Abubakar Shekau pesa una taglia di 7 milioni di dollari posta dagli Stati Uniti a testimonianza della pericolosità del gruppo terrorista di Boko Haram, il quale sta anche dimostrandosi capace di attrarre militanti in altre zone del paese, come confermato proprio dalle fonti governative che nella scorsa estate hanno annunciato l’arresto di 42 militanti che stavano tentando di allestire delle cellule terroristiche negli stati di Ogun e Lagos, situati nel sud-ovest della Nigeria, cioè in una parte del paese dove questo fenomeno è sconosciuto. Inoltre vi è la cellula Ansaru, gruppo staccatosi ad inizio 2012 da Boko Haram, che ha effettuato diverse azioni in tempi recenti. Quello che appare è quindi una decisa espansione della forza della setta estremista che intesse alleanze anche con le formazioni jihadiste che si sono sempre più diffuse a macchia d’olio nella vastità (per la gran parte purtroppo incontrollata) dell’Africa Subsahariana, come ci ha ricordato il sanguinoso assalto al centro commerciale in Kenya condotto da parte di Al-Shabaab, gli estremisti islamisti della Somalia.
Le alleanze con gli altri gruppi jihadisti e con Al-Qaeda
Le fonti di intelligence occidentali hanno dichiarato più volte che sono sempre più evidenti i legami tra Boko Haram e il temibile gruppo jihadista di AQIM (Al-Queida nel Maghreb), gruppo che si è recentemente macchiato dell’omicidio dei due reporter francesi di RFI. I primi contatti risalgono al 2010 secondo quanto è stato affermato dal leader di AQIM Abdelmalek Droukdel, le cui dichiarazioni vennero riportate dalla Reuters nel gennaio 2012, il quale asserisce che a partire da quel momento è stata fornita assistenza, addestramento ed armi a Boko Haram. Sembra anche accertato che anche nel corso del 2013 un gruppo di miliziani di Boko Haram siano stati inviati in Mali per addestrarsi. Secondo la stampa inglese il portavoce di Boko Haram avrebbe incontrato figure di spicco di Al-Qaeda lo scorso febbraio, addirittura in territorio saudita. Nello scorso maggio è pure emersa una prova di un possibile legame tra Boko Haram ed Hezbollah, difatti è stato rinvenuto un rilevante arsenale che l’intelligence nigeriana ha dichiarato che fosse destinato ad Hezbollah, il gruppo sciita che di fatto governa il sud del Libano alleato dell’Iran e che sta combattendo a fianco delle forze di Assad in Siria.
Gli estremisti nigeriani potrebbero anche, secondo l’intelligence americana, aver messo nel proprio arsenale alcuni lanciamissili spalleggiabili SA-7 e SA-24 di provenienza dai magazzini dell’esercito libico, caduti in mano di molte organizzazioni jihadiste dopo la caduta di Gheddafi. La Nigeria rientra, pur avendo delle sue forti peculiarità, in quella fascia di instabilità che partendo dall’Africa Occidentale, dal Magreb e dal Sahel arriva fino alle montagne e vallate afgano/pachistane. Boko Haram ed Ansaru si sono aggiunti, nella lista nera di Washington, ad Al-Qaeda, Hezbollah, Al-Shabbab, ai Talebani, al gruppo Haqqani nel Pakistan, Hamas a Gaza, ai jihadisti in Mali di Mujao e Ansar Dine. In precedenza gli americani avevano classificato alcuni membri di Boko Haram, come terroristi globali, sotto l’acronimo SDGT (Specially Designated Global Terrorists) tra cui il leader Shekau e Khalid al-Barnawi che viene ritenuto la figura chiave di collegamento con AQIM avendone mutuato alcuni metodi tra cui il rapimento di occidentali. Come ha riportato recentemente anche l’autorevole Economist, con diversi articoli ed interviste ad esperti di diversi centri studi internazionali, i gruppi del terrore che si rifanno al marchio di Al-Queida sono nettamente aumentati negli ultimi anni ed il reclutamento così come l’auto-finanziamento è in forte preoccupante crescita.
Sullo stesso solco si è espresso l’autorevole Foreign Affairs sia in merito sia ai legami con AQIM sia sulla possibile esistenza di una sorta di coordinamento operativo tra Boko Haram e il gruppo scissionista Ansaru-al-Islam. Ovviamente non è una coincidenza che la Nigeria in considerazione del suo noto grande peso economico e geopolitico rientra tra i paesi oggetto dei piani di addestramento, supporto e scambio di intelligence di AFRICOM, la struttura statunitense dedicata appositamente a seguire l’Africa, in corso di ulteriore potenziamento. L’attenzione speciale e sempre più attenta nei confronti della Nigeria è stata ribadita con l’importante programma di collaborazione, il TSCP (Trans-Sahara Counterterrorism Partnership), che ha recentemente stabilito il quartier generale in Senegal, a Dakar. Un nuovo polo organizzativo e di intelligence nelle vicinanze della fascia di instabilità del Sahel; con questa partnership Washington prevede il rafforzamento del contrasto al terrorismo, l’organizzazione di specifiche campagne di contro-informazione nei confronti delle ideologie dei gruppi estremisti e il miglioramento delle relazioni in campo militare tra Stati Uniti e gli stati africani partner.
Margini per un negoziato?
Alle pessime notizie conseguenti alle azioni di Boko Haram si contrappone l’altra questione delle formazioni del sud del paese dedite alla guerriglia che sembra essere stata risolta dal governo centrale: la guerriglia nel Delta del Niger, condotta per anni dal gruppo del MEND (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger), che ha colpito per anni il cuore dell’economia nigeriana cioè l’estrazione del petrolio da parte delle multinazionali straniere negli immensi giacimenti del Delta. Per trovare una via d’uscita il governo ha utilizzato due strumenti da un lato con una mega-amnistia, dall’altro mettendo mano alla cassa ovvero stipendiando gli ex-membri dei gruppi armati. Fino ad oggi questa strategia funziona, le armi sono state deposte sia dal MEND sia dagli altri gruppi minori di guerriglieri ed il pompaggio dell’oro nero è ripreso a pieno regime.
Nell’immediato quindi la questione appare risolta però permane un percorso incompiuto, incompleto negli aspetti più essenziali, poiché non si ha traccia dei passi e delle risorse per realizzare le promesse fatte dal presidente Jonathan Goodluck (è il primo presidente originario della zona del Delta) sullo sviluppo economico e sociale di medio e lungo periodo. E’ la classica strategia di corto respiro, che calata nel contesto della Nigeria risulta davvero estremamente pericolosa, così facendo si lasciano le promesse più importanti incompiute e si stende una grossa ombra sul futuro delle regioni meridionali nigeriane, laddove la disoccupazione giovanile resta a livelli elevati e nuovi eventi destabilizzatori potrebbero ripresentarsi anche nel giro dei prossimi 12-18 mesi. Anche nei confronti di Boko Haram dei passi erano stati tentati nel marzo 2012 dal presidente Goodluck per via indiretta, per il tramite due emissari vicini al gruppo estremista, con lo scopo, non raggiunto, di intavolare delle trattative per giungere almeno ad un cessate il fuoco. Gli ultimi recenti sviluppi fanno forse intravedere la possibilità dell’adozione della medesima strategia dell’amnistia adottata con la guerriglia del Delta del Niger; difatti questa tematica così cruciale è stata da poco ripresa dal presidente Goodluck in un recente discorso in cui fa profilare un percorso di pacificazione simile a quello utilizzato per il MEND.
Foto: AP,Reuters, Afp
Marco LeofrigioVedi tutti gli articoli
Nato a Roma nel 1963, laurea in Scienze Politiche, si occupa da oltre dieci anni di geopolitica, strategia, guerre e conflitti, forze armate straniere, storia navale, storia contemporanea, criminalità organizzata, geo-economia. Ha scritto decine di articoli, analisi e saggi su questi argomenti. E' membro attivo della Società Italiana di Storia Militare. Dal 2011 è co-autore, con Lorenzo Striuli, di diversi articoli di storia navale sulla Rivista Marittima della Marina Militare. Collabora fin dal 2003 con Analisi Difesa.