Captain Phillips e i pirati
L’8 aprile del 2009 la nave mercantile Maersk Alabama, salpata a marzo per consegnare aiuti umanitari ai paesi del terzo mondo, venne attaccata da un gruppo di pirati somali che, in breve tempo, riuscirono a salire a bordo facendo prigioniero il capitano della nave, Richard Phillips. L’obiettivo dei pirati, nel frattempo diretti verso le coste della Somalia per mezzo di una scialuppa di salvataggio con a bordo lo stesso capitano, era ottenere 10 milioni di dollari per il rilascio del prigioniero americano. L’incredibile avventura vissuta da Richard Phillips è stata raccontata dallo stesso capitano in un libro autobiografico e rappresentata al cinema in Captain Phillips – Attacco in mare aperto, del regista Paul Greengrass e con protagonista l’attore Tom Hanks. Il film, candidato a ben sei Premi Oscar tra cui Miglior film e Miglior sceneggiatura non originale, esce oggi in Blu-ray e DVd, con un inedito documentario sulla vicenda vissuta da Richard Phillips e il lavoro fatto da produttori ed interpreti del film per trasporla sul grande schermo. Per chi volesse rivivere l’emozionante storia interpretata da Tom Hanks, il DVD ed il Blu-ray sono acquistabili anche online.
Richard Phillips venne poi liberato il 12 aprile del 2009 grazie a un risoluto intervento dei Navy Seal, mentre i pirati furono crivellati dai colpi dei tiratori scelti statunitensi, ad eccezione di Abduwali Muse, attualmente detenuto in un penitenziario dell’Indiana e condannato a 33 anni di detenzione. Gran parte delle riprese di Captain Phillips sono state realizzate in mare aperto in una sfida personale del regista determinato a ricreare un clima di assoluta veridicità e aderenza alla storia originale. Per questo sono state effettuate diverse ricerche che facessero luce sul fenomeno della pirateria. In Somalia, ad esempio, tutto è cominciato con uno sfruttamento eccessivo che ha portato all’impoverimento della pesca al largo delle coste somale. Eppure, le cause vanno ricercate anche in un contesto politico “fragile” con la Somalia devastata tra dittature e guerre intestine. Una situazione che inevitabilmente ha generato anarchia e insicurezza, con notevoli violazioni dei confini marittimi locali.
Ben presto la pirateria è diventato un business. Una fonte criminale di reddito ancora più importante del mercato nero delle armi. Gli stessi signori della guerra hanno fiutato l’affare entrando in pianta stabile all’interno di vere e proprie organizzazioni che arruolano costantemente “personale” : ex pescatori, utili per la loro conoscenza del mare, ex miliziani, per la loro dimestichezza con le armi ed esperti nel settore tecnico, fondamentali nel saper utilizzare apparecchiature come i GPS. Il fenomeno somalo si è poi ampliato nel corso degli anni, in un circuito criminale transnazionale con finanziatori dalla stessa Europa e dal Nord America. Il tutto gestito come una nefasta associazione mafiosa con “mandanti” e “sicari”. Questi ultimi effettuano fisicamente l’assalto alla nave mercantile ingaggiando una lotta impari con l’equipaggio del cargo che, per definizione, trasporta esclusivamente merci, non presentando armi di difesa o di attacco.
Negli ultimi anni diverse compagnie di navigazione hanno deciso di ingaggiare delle guardie armate a protezione del carico, e della nave stessa, nelle zone di navigazione ad “alto rischio”. Una strategia che sembra almeno parzialmente ripagare: negli ultimi due anni, infatti, gli attacchi dei pirati nel Corno d’Africa sono nettamente diminuiti. Secondo un indagine pubblicata dal settimanale britannico The Economist, in sette anni, dal 2005 al 2012 sono stati pagati riscatti tra i 330 e i 410 milioni di dollari per riprendere il possesso delle navi sequestrate. Il bottino medio è, invece, di circa 2,7 milioni di dollari a cargo. Ogni pirata può guadagnare, per una singola nave, fino a 75mila dollari, più un bonus di 10 mila dollari nel caso fosse il primo a salire a bordo durante l’attacco.
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