Guerra ai jihadisti: le due facce del Pentagono
L’intervento terrestre statunitense in Iraq è da escludere, però è possibile, ma forse no. Quando si parla di guerra l’Amministrazione Obama fa facilmente confusione e il conflitto contro il Califfato non costituisce certo un’eccezione come dimostra quanto accaduto ieri.
Gli Stati Uniti non si coordineranno e non collaboreranno con il regime del presidente siriano Bashar al-Assad. Lo ha dichiarato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Chuck Hagel, in un’audizione davanti al Senato in cui ha aggiunto che gli Usa continueranno a monitorare i gruppi dell’opposizione siriana che ricevono aiuti. Gli Stati Uniti, ha detto Hagel, hanno compiuto oltre 160 raid aerei in Iraq contro i militanti sunniti, in “operazioni che hanno danneggiato” il gruppo estremista. Sull’Iraq, il segretario alla Difesa ha detto che le forze americane non saranno impegnate in una missione di combattimento, ma sosterranno quelle irachene e curde, perché spetta principalmente alle “forze locali combattere” la minaccia.
Di fatto Hagel ha ribadito i punti fermi della “dichiarazione di guerra” di Barack Obama allo Stato Islamico. Di fianco ad Hagel, sempre in Senato, il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate americane, non ha invece escluso il ricorso a truppe terrestri statunitensi se la coalizione internazionale mobilitata dovesse fallire.
“Se vi fosse una minaccia diretta per gli Stati Uniti” o “se ad una certo punto ritenessi necessario affiancare con i nostri soldati le truppe irachene per colpire specifici bersagli andrei dal presidente per raccomandargli il ricorso anche a truppe da combattimento a terra”, ha detto Dempsey incalzato dai senatori. “No boots on the ground”, cioè a dire nessun soldato americano impegnato in combattimenti terrestri, era stato uno dei punti principali nel discorso alla nazione dal presidente Barack Obama e nel varo della “Core Coalition” al vertice della NATO in Galles.
I contrasti di vedute tra i vertici politici e militari del Pentagono sembrano ormai una costante insanabile e palese. Sembra essersene accorto anche Obama con il suo portavoce Josh Earnest, che ha sentito il dovere di precisare che “è responsabilità del comandante in capo definire una chiara politica e il presidente è stato chiaro in che cosa consiste” e cioè non ci saranno truppe di terra in Iraq. Secondo Earnest, Dempsey si riferiva ad uno scenario ipotetico nel quale potrebbe raccomandare al presidente l’uso di truppe. Più probabile che Dempsey sia l’ennesimo vertice militare statunitense insofferente verso Obama per la sue mediocre gestione dei conflitti, almeno da un punto di vista strettamente militare.
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