La Coalizione si rafforza ma calano i bersagli
Olanda e Belgio uniscono i loro F-16 alla Coalizione c he combatte il Califfato alla che in Siria sembra però soffrire già di penuria di obiettivi. Nella seconda giornata di incursioni sui territori siriani in mano ai jihadisti sono stati limitati. Secondo quanto riferito dal portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby attacchi aerei sono stati lanciati con la partecipazione dei jert di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti contro 12 siti petroliferi nelle aree di Mayadin, Hasakah, e Abu Kamal, in Siria orientale. Queste piccole raffinerie, spiega il Centcom, forniscono carburante per le operazioni dell’Is, ma sono anche una fonte di finanziamento per il gruppo terroristico. Producono “fra i 300 e i 500 barili di petrolio al giorno” e possono far guadagnare allo Stato Islamico “fino a 2 milioni di dollari al giorno”.Almeno 14 jihadisti dell’Isis e cinque civili sono rimasti uccisi secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, precisando che i miliziani sono morti nella provincia di Deir Ezzor (est), mentre i civili nei raid sulla regione di Hassaka (nordest).
Sempre secondo l’Osservatorio i gruppi ribelli del Fronte al Nusra e di Ahrar al Sham starebbero sgomberando nelle ultime ore da alcune delle basi in Siria colpite dalle incursioni aeree nella provincia di Idlib, nel nord-ovest del Paese. Il Central Command aveva reso noto che, nella seconda giornata di attacchi erano stati condotti cinque raid contro obiettivi in Iraq (quattro, due a ovest di Baghdad e due a sud-est di Erbil) e Siria (uno, nel nord-ovest), che hanno permesso di distruggere diversi mezzi dell’Isis e un deposito d’armi. Circa gli effetti dei primi bombardamenti gli Stati Uniti non possono confermare che il capo del gruppo Khorasan sia morto nei raid aerei. A dirlo sono stati sia Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Barack Obama, sia il segretario di Stato John Kerry, intervistato dalla Cnn.
“E’ solo l’inizio, siamo molto soddisfatti del nostro successo” ha detto Rice, intervistata dalla Nbc. Sulla morte del leader del gruppo Khorasan, ha detto che “non possiamo confermarla, al momento. Abbiamo visto delle testimonianze sui social network a questo proposito”. Kerry, intervistato da Christiane Amanpour, ha detto “di non poter confermare personalmente” la notizia della morte del leader estremista. Dall’8 agosto, gli Stati Uniti hanno condotto 198 raid aerei in Iraq e, dalla notte di lunedì, 20 attacchi in Siria.
Parigi ha confermato che continuerà a partecipare ai raid aerei con i suoi Rafale dopo la decapitazione di Hervé Gourvel, l’alpinista francese di 55 anni rapito domenica nelle montagne dell’Algeria e giustiziato ieri dai fondamentalisti islamici del gruppo jihadista Jund al-Khilafa, affiliato con i terroristi dello Stato Islamico.
L’Olanda ha deciso di assegnare alla missione 6 aerei da combattimento F-16 che opereranno solo nei cieli iracheni. A renderlo noto è stato il vicepremier Lodewijk Asscher all’Aja, precisando che verranno inviati anche 250 militari e 130 consiglieri militari nel paese. L’Olanda non prenderà invece parte agli attacchi in Siria
Anche il governo belga attende il via libera del Parlamento per inviare altrettanti F-16 in Giordania accompagnati da 120 avieri. Il Belgio è uno dei Paesi più esposti ai cosiddetti “foreign fighters”: sono circa 400 islamico con cittadinanza i belga andati a combattere in Siria e tornati in patria come potenziali terroristi.
Il flusso dei ‘foreign fighters’ che partono dall’Europa per andare a combattere in Siria e Iraq “è enorme” e “non è mai stato così grande prima”. E tra loro cresce il fenomeno delle donne, che – ad esempio – in Belgio sono il 18% di chi parte per la jihad. E’ la valutazione che ne fa Gilles De Kerchove, il coordinatore dell’anti-terrorismo europeo. in una audizione davanti alla commissione esteri dell’Europarlamento a Bruxelles. Parla di “oltre tremila persone”, ma è solo una stima.
Quello che è certo è che l’Isis ed il Califfato autoproclamato sono “una minaccia enorme per tutto il mondo”, non solo per i paesi vicini come Libano, Giordania, Arabia Saudita e Turchia ma anche per i paesi del nordafrica. Il flusso, spiega De Kerchove, è alimentato non solo da motivazioni ideologiche ma anche dalla “frustrazione” per la percezione dell’anti-islamismo che si sta diffondendo in Europa e dalla retorica del guerriero che fa presa sui più giovani. “Molti – spiega – sono ragazzi delusi, emarginati, che hanno bisogno della suspense del conflitto armato”.
I paesi “più preoccupati” sono quelli da cui il flusso delle partenze è più grande: Belgio, Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Danimarca e Svezia. Ma, aggiunge, “alcuni vengono anche da Spagna, Italia e Austria”. Per il nostro paese le stime di polizia ed intelligence indicano in una quarantina i combattenti ‘italiani’. Si tratta di persone passate per il Paese, immigrati di seconda generazione, ma anche italiani convertiti. Quella dell’Isis, indicano i diplomatici europei del Seae che partecipano all’audizione, “non sarà una minaccia che sparirà in breve tempo”.
Anche perche’ il gruppo terroristico ha sviluppato una capacità di autofinanziarsi pari a “due milioni di dollari al giorno grazie ai traffici illeciti sul petrolio” che, secondo quanto emerge nel confronto con i parlamentari, “sono alimentati anche dall’Europa”. E questa capacità logistica ha un ulteriore risvolto, quello di alimentare la “concorrenza” con al-Qaeda che – avverte De Kerchove – potrebbe reagire con un attacco.
Per combattere l’Isis servirà quindi una “strategia di lungo termine” fatta non solo di azione militare ma di coinvolgimento degli attori regionali “che ora cominciano a vedere la minaccia” ma anche di sostegno ad un governo iracheno che “non ripeta gli errori” di Al Maliki. Contro i ‘foreign fighters’ invece serviranno sorveglianza continua, coordinamento di intelligence sfruttando al meglio strumenti come Europol, Eurojust ed il database di Schengen ma anche il controllo dei movimenti grazie al Pnr (la registrazione dei dati dei passeggeri). E non dovrà mancare una “offensiva” sui social network per favorire la “deradicalizzazione” in Europa.
La partecipazione ai raid contro il Califfato crea qualche tensioni nelle monarchie del Golfo dove parte dell’opinione pubblica sunnita simpatizza con i jihadisti.
I piloti sauditi che hanno condotto i raid contro le postazioni dello Stato islamico (Isis) in Siria sono statu minacciati di morte e sono ora “ricercati dall’Isis” ha sottolineato un utente su Twitter, mentre un altro ha promesso che le loro gole “verranno prima o poi squarciate”. E’ stata l’agenzia di stampa saudita Spa a pubblicare le foto degli otto piloti militari coinvolti nelle operazioni aeree contro i terroristi, nell’ambito dell’offensiva lanciata martedì dagli Usa con il sostegno di 5 Paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita. “Sono tornati sani e salvi dopo aver compiuto il loro dovere portando a termine raid efficaci e di successo contro l’organizzazione estremista dell’Isis”, ha scritto l’agenzia ufficiale di Riad. Secondo la stampa locale, uno di questi è figlio del principe ereditario, Salman bin Abdul Aziz. “I miei figli, i piloti, hanno soddisfatto il loro obbligo nei confronti della loro religione, la loro patria e il loro re”, ha commentato il principe ereditario, dicendosi “orgoglioso della professionalità e del coraggio” dimostrato.
Foto SPA, Reuters, US. DOD, Stato Islamico, Ministero Difesa francese
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