Il Califfato recluta nei Balcani
Sebbene fosse risaputo che i Balcani rappresentavano un grande centro di reclutamento per le truppe del Califfato, l’attenzione sul tema è tornata a crescere in seguito alla notizia secondo cui anche dalla Croazia sarebbero partite delle volontarie. Come riportano i maggiori quotidiani locali, infatti, quattro giovani convertite si sarebbero spontaneamente recate nei territori controllati dall’ISIS al fine di seguire il marito jihadista o sposare qualche combattente locale. Questo fatto ha creato molto scalpore, sia a causa dell’età delle ragazze, sia perché più volte i vertici politici del Paese avevano garantito che non vi erano rischi legati al terrorismo internazionale e che Zagabria era in grado di controllare eventuali minacce interne.
Ciononostante, tali affermazioni sono state più volte messe in dubbio dai media croati, che hanno evidenziato come il territorio nazionale costituisca un ottimo corridoio per i volontari europei che desiderano raggiungere la Bosnia o gli altri centri di reclutamento (nella foto volontari bosniaci uccisi in Siria). La decisione delle giovani di abbracciare l’estremismo religioso, poi, ha spinto alcuni giornalisti, fra cui Krešimir Žabec, ad evidenziare un fatto a cui era dato poco peso fino ad ora, ossia che anche in Croazia, paese storicamente cattolico, vi è la possibilità che persone poco più che adolescenti decidano di convertirsi all’Islam e intraprendere la via del Jihad.
Oltre a ciò, recentemente alcuni quotidiani hanno anche sottolineato che negli ultimi anni alcuni esponenti wahabiti provenienti dalla Bosnia hanno cercato di “esportare” nel paese vicino il proprio sistema di radicamento sul territorio (basato sulla costruzione di centri culturali), ma sono stati bloccati prima di riuscirvi. Ciò comunque non ha impedito agli estremisti di rafforzare la propria posizione in Slovenia e in Austria, tanto che gli esperti di Croazia e Serbia reputano che Vienna sia ormai diventata il vero centro direttivo del terrorismo nell’area Balcanica.
Sebbene il livello di guardia si stia alzando in tutte le repubbliche ex-jugoslave, la Bosnia resta il paese maggiormente in difficoltà. Ciò è dovuto, fra le altre cose, non solo all’insoddisfazione generalizzata frutto della cattiva gestione politica e dei difficili rapporti interreligiosi, ma soprattutto all’imperante crisi economica, che ha fatto arrivare il tasso di disoccupazione al 44% (con punte di oltre il 50% per quella giovanile). Tale situazione facilita le operazioni di predicatori radicali come Bilal Bosnić (arrestato agli inizi di settembre con l’accusa di essere i leader dello jihadismo locale – nella foto a sinistra), che possono trovare un terreno fertile su cui far attecchire le proprie idee.
Ecco, quindi, che giovani musulmani insoddisfatti vengono allettati dalla possibilità di far parte di un’organizzazione forte e attraente che non solo promette la dignità cui non possono ambire nella loro patria depressa ma soprattutto offre sia ricompense nell’aldilà, che migliori condizioni di vita.
Per avere una conferma di quest’ultimo punto, è sufficiente ricordare che, secondo i dati forniti dall’Istituto di Statistica della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (l’entità a maggioranza musulmana del Paese), lo stipendio medio si aggira attorno ai 430 Euro. Unendosi all’ISIS invece, il volontario può contare su molti “benefits”: come sottolinea il Washington Post, ad esempio, ogni combattente, una volta sposato, ha in teoria diritto ad un’abitazione, a 1200 dollari una tantum e, ogni mese, a circa 100 dollari per ogni moglie e 50 per ciascun figlio. In aggiunta a ciò, lo Stato Islamico ha anche promosso una pratica poco conosciuta in Occidente: quella della vendita di schiave cristiane o yazide agli jihadisti, che in alcuni casi le possono ricevere come pagamento per l’impegno bellico. Le stime attualmente disponibili parlano di circa 500-2500 donne coinvolte in questa tratta.
L’aspetto che forse colpisce maggiormente se paragonato, ad esempio, ai livelli di reddito bosniaci, è quello della paga fissa che l’ISIS versa ai volontari stranieri. Come riporta la NBC, infatti, il re di Giordania ha dichiarato che tale cifra si aggira attorno ai 1.000 dollari al mese, mentre altre fonti, come Haaretz, parlano di importi molto più elevati, che in alcuni casi raggiungerebbero addirittura i 150 dollari al giorno (quasi quanto un contractor occidentale agli inizi della sua “carriera”).
La forza dell’ISIS, quindi, sta proprio nel saper coniugare tutti questi aspetti, andando incontro sia ai desideri morali che alle necessità pratiche degli aspiranti combattenti. E’ pertanto chiaro che per limitarne l’influenza non è sufficiente agire solo sul piano coercitivo o vietare l’arruolamento all’estero, poiché in vaste aree dell’ex Jugoslavia questi movimenti islamisti godono di relativa impunità. Questa è frutto del loro radicamento sul territorio avvenuto già durante l’era socialista, ma rafforzatosi negli anni del conflitto Bosniaco con l’arrivo di migliaia di mujaheddin stranieri.
Questi, insieme agli abitanti locali che avevano abbracciato il wahabismo, sono riusciti a creare delle vere e proprie sacche estremiste, nate nei villaggi lasciati deserti dopo la guerra e trasformati in centri dell’integralismo religioso. Come riporta il Večernji List, un caso emblematico è quello del già citato Bosnić che, grazie a notevoli risorse economiche, negli ultimi mesi è riuscito ad acquistare svariati edifici e appezzamenti di terreno in Bosnia e in Croazia al fine di creare delle zone “franche” in cui far stabilire alcuni membri della comunità wahabita, separandoli dagli abitanti di credo differente.
Fortunatamente per Sarajevo, comunque, la cooperazione con Italia e Slovenia ha permesso di reperire prove sufficienti per allungare di altri due mesi la sua detenzione, che altrimenti sarebbe dovuta già scadere.
Foto AP, Independent Balkan News Agency
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.