Per la Merkel (e gli USA) il vero nemico è la Russia

Uno degli aspetti recenti più sorprendenti della crisi che sta scavando un solco fra Usa-Europa da una parte e Russia (e Cina) dall’altra è rappresentato dall’improvvisa accelerazione in materia di politica estera voluta dalla Bundeskanzlerin Angela Merkel. Inizialmente fredda sul tema delle sanzioni e fautrice di una linea più morbida verso Mosca, la leader tedesca ha deciso di cambiare passo, lanciando pesanti accuse contro il Cremlino e il suo modo (giudicato troppo aggressivo) di difendere gli interessi Nazionali. La posizione espressa dalla Cancelliera è stata subito fatta propria dai principali esponenti del suo governo che, come riporta Der Spiegel, si sono scagliati contro l’imprevedibilità delle azioni di Putin e la veemenza di quest’ultimo nel cercare di espandere la propria influenza in talune parti del mondo.

Nello specifico, durante il G-20 australiano, la leader tedesca ha ammonito l’Europa a non considerare la crisi Ucraina come una questione prettamente nazionale perché, a suo dire, essa riguarda l’intera regione. Usando parole insolitamente dure, ha anche affermato di essere allarmata per la sorte di Georgia, Moldavia, Serbia e, addirittura, di tutti i Balcani occidentali, zone che, secondo lei, sono in cima alla lista dei desiderata di Mosca.

Tale pesante accusa arriva poco tempo dopo una dichiarazione di tono simile rilasciata a Bruxelles dal Primo Ministro Georgiano Irakli Garibashvili che, come sottolinea il Wall Street Journal, ha pesantemente attaccato la Russia colpevole, a suo avviso, di volersi “chiaramente impadronire” di Ossezia del Sud e Abkhazia.

Sebbene sembri chiaro che queste dichiarazioni sono il frutto della strategia politica della Merkel per aumentare l’influenza di Berlino in aree storicamente di interesse russo, stupisce che svariati media tedeschi e statunitensi si siano dimostrati altrettanto preoccupati per le azioni di Putin.

Il già citato Der Spiegel, ad esempio, ha confermato che i grattacapi della Bundeskanzlerin sono giustificati perché, secondo il settimanale, la Russia già da tempo sfrutta il suo soft power e le leve economiche per cercare di minare la supremazia Occidentale, soprattutto nell’area Balcanica.

Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno iniziato una vera e propria campagna di “riconquista” dei Paesi ancora esterni all’ambito euro-atlantico, con lo scopo dichiarato di favorirne quanto prima l’ingresso nella UE e, soprattutto, nella NATO. Si tratta, però, di un progetto estremamente ambizioso che, oltre a non tenere in considerazione le inclinazioni delle popolazioni in questione, si basa sul presupposto che tutto ciò debba avvenire a tappe forzate, al fine di impedire a Mosca di riottenere il prestigio perduto e ostacolare il piano.

Tale programma rischia, però, non solo di acuire le tensioni già esistenti nell’area, ma anche di irritare ulteriormente la Russia, già preoccupata dall’avanzata di Unione Europea ed Alleanza Atlantica verso i suoi confini ed infastidita dal vedersi sbattere la porta in faccia in un’area culturalmente, religiosamente e linguisticamente vicina.

Dei vari problemi che potrebbero verificarsi, uno dei principali è collegato al fatto che Washington, per affermarsi nello spazio balcanico, dall’inizio degli anni ’90 ha appoggiato attivamente, insieme a certi stati dell’Unione, alcuni gruppi religiosi ed etnie locali, fornendo assistenza in campo politico, economico e militare.

Ciò ha contribuito a radicare l’idea, soprattutto fra i Serbi, che gli USA siano disposti a collaborare con tutti i popoli ostili a Belgrado, un concetto rafforzatosi in seguito alla recente crisi diplomatica che ha visto coinvolte l’Albania e la Serbia.

Prima di procedere ad integrare altri Paesi, apparirebbe quindi più funzionale cercare di risolvere quelle situazioni che limitano drasticamente il dialogo fra realtà confinanti e che contribuiscono ad avvelenare il clima politico. Se ciò non venisse fatto, si rischierebbe di favorire la membership nella NATO o nella UE di Stati abitati da popolazioni maggioritariamente ostili a tali organizzazioni e russofile, assorbite nell’ambito euro-atlantico solo per volontà dei rispettivi governi.

Oltre a ciò, una nuova piccola guerra fredda con la Russia per ottenere l’egemonia sui Balcani rischierebbe di mettere in secondo piano un elemento di fondamentale importanza per la sicurezza dell’Europa: l’estremismo islamico. La competizione con Mosca, infatti, toglierebbe energie e risorse altrimenti impiegabili nella lotta contro il fanatismo religioso, sempre più diffuso in alcune delle ex repubbliche jugoslave, e, anzi, rischierebbe anche di incrementare quei malumori e dissidi che favoriscono il reclutamento di nuovi jihadisti.

Nel corso delle recenti indagini condotte in Bosnia, infatti, gli inquirenti hanno scoperto che le organizzazioni terroristiche operanti nel paese possono spesso contare su agganci in paesi “insospettabili”, come il Canada, oppure sull’appoggio di ex membri delle forze di polizia. Concentrarsi sul tentativo di escludere Mosca, inoltre, potrebbe facilitare la politica estera di quelle nazioni Islamiche che, approfittando della povertà e del disagio di molti fedeli, hanno sfruttato lo strumento religioso per migliorare il proprio status nell’area, spesso proponendosi come fari per i credenti in difficoltà.

Per evitare questo e garantire la stabilità e la crescita dei Balcani è necessario che questi possano contare su un periodo di tranquillità e stabilità, non ottenibile se si intende trasformarli nell’oggetto della contesa fra potenze regionali.

Se davvero Bruxelles e Washington desiderano limitare la minaccia del Cremlino (e magari anche quella dell’estremismo), esse dovrebbero cercare di coinvolgere Mosca nel tentativo di favorire lo sviluppo delle repubbliche ex-jugoslave, non additarla come nemico. Così facendo, infatti, si rischia soltanto di irritare la forte componente russofila, spingendola esattamente nelle braccia di Putin, e di far apparire la NATO e la UE come due organizzazioni interessate esclusivamente a danneggiare la Russia, ma non disposte ad offrire nulla agli Stati cui chiedono collaborazione.

Foto Cremlino, Eliseo Bertolasi, AFP, Business Insider

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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