Kiev come Porto Rico: il governo lo detta Washington
Il 3 dicembre è stato varato a Kiev il governo guidato da Arseni Yatseniuk, sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare. Il nuovo esecutivo ha il difficile compito di risollevare il Paese dal baratro politico-economico, tra la guerra con i separatisti filorussi nel Donbass e lo spettro del default, evitato per ora sola grazie agli aiuti dell’Occidente e in particolare ai 15 miliardi di euro donati a vario titolo da quell’Unione Europea così inflessibile con i suoi partner meridionali in difficoltà e che non rispettano il rapporto deficit/Pil al 3% (quello dell’Ucraina è all’8 per cento in costante crescita).
Il governo nasce tra le perplessità e le divisioni ma soprattutto è con tutta evidenza un governo dettato da Washington. Tutti i ministri, a partire dal premier, sono più che graditi agli Stati Uniti e le loro iniziative sono state sempre guidate, fin dalla rivolta- golpe del Maidan, dal Dipartimento di Stato tramite l’ambasciata statunitense a Kiev.
L’arrivo di tre ministri stranieri nella nuova compagine di governo, di cui due rappresentanti di fondi d’investimento, alla guida di ministeri economici chiave la dice lunga circa la repentina trasformazione dell’Ucraina in satellite degli USA, qualcosa di simile a Porto Rico.
Certo in Ucraina pesa anche l’influenza tedesca e polacca ma i veri “padroni” sono oggi gli americani che hanno di fatto assunto il controllo de Paese.
Per salvare le apparenze, in modo un po’ ridicolo, ai tre ministri i stranieri il presidente Petro Poroshenko ha concesso la cittadinanza ucraina proprio in vista della loro nomina. All’americana d’origine ucraina Natalie Jaresko, tra i fondatori della società finanziaria Horizon Capital (attivo in Europa centro-orientale), Kiev ha consegnato di fatto il portafogli affidandole il dicastero delle Finanze.
Il lituano Aivaras Abromavicius, partner del fondo svedese d’investimento East Capital, è invece il nuovo ministro dell’Economia mentre Alexander Kvitashvili – ex ministro della Sanità georgiano sotto l’ex presidente Mikhail Saakhasvili (oggi sotto processo in patria e rifugiatosi negli Usa) ha assunto il controllo dello stesso ministero a Kiev.
Si tratta di tre nomine di alto valore simbolico (gli ucraini non possono essere governati da ucraini ?) di cui almeno due strategiche di fronte alla crisi economica che investe il Paese e alle impopolari riforme che potrebbero essere alle porte.
Soprattutto pare imminente la svendita delle numerose aziende e assetti pubblici che favoriranno molto probabilmente i fondi d’investimento internazionali e in particolare statunitensi interessati a mettere le mani su un apparato produttivo certo da ammodernare ma i cui costi sono facilmente ammortizzabili grazie a una mano d’opera qualificata ma a basso costo.
L’evidente influenza statunitense nella formazione del governo indebolisce Il presidente Poroshenko (foto a sinistra) che riesce però a confermare i “suoi” ministri a Esteri e Difesa, il diplomatico Pavlo Klimkin (ex ambasciatore in Germania ai tempi del governo filo russo di i Victor Yanukovich) e il generale Stepan Poltorak.
A ritardare la formazione della compagine – completata a più di un mese dalle elezioni legislative che hanno visto trionfare i partiti filo-occidentali, ma divisi tra loro – sono stati i primi dissapori all’interno della nuova maggioranza e soprattutto la rivalità sotterranea tra Iatseniuk e Poroshenko.
Durante il suo discorso in parlamento il presidente ha motivato la scelta di cooptare per la prima volta cittadini stranieri al governo sottolineando l’assoluta necessità di portare in Ucraina leve provenienti dai Paesi alleati occidentali. Secondo molti analisti si tratta di un segnale evidente dell’orientamento filoamericano di Kiev a discapito del dialogo con la Russia e in sostanza un’arma adoppio taglio.
Da un lato l’affido di due ministeri come finanze ed economia ad ex rappresentanti di fondi privati d’investimento dovrebbe secondo gli intenti facilitare la ripresa dell’economia ucraina grazie anche a migliori rapporti con il Fondo monetario e gli investitori internazionali.
Dall’altro il marcato orientamento non faciliterà certo le relazioni con la Russia, sia nell’ottica di breve periodo per la risoluzione della crisi nel Donbass, che in quella del lungo, con lo sguardo ai rapporti commerciali ed energetici tra Mosca e Kiev. Nonostante i toni enfatici e propagandistici, determinati anche dalla nuova “guerra fredda” con Mosca, l’impressione è che la massiccia presenza di lobbysti stranieri nei ministeri chiave del governo sancisca la fine dell’indipendenza dell’Ucraina e il suo sostanziale “commissariamento”.
Foto: NBC, Eliseo Bertolasi, Reuters, web
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.