I fatti di Parigi impongono realismo
I recenti attacchi jihadisti a Parigi hanno messo fine all’illusione, molto diffusa, che il nostro continente fosse pressoché immune alla piaga che aveva già aggredito altre parti del mondo a noi vicine.
L’azione dei fratelli Kouachi e di Amedi Coulibaly ha infatti dimostrato chiaramente che la Francia e tutto l’Occidente non sono preparati a sopportare eventi del genere e, soprattutto, ad accettare che la jihad possa fare dei morti anche in casa propria.
Ciò è reso evidente anche dal fatto che, sebbene nelle stesse ore Boko Harem avesse ucciso oltre duemila persone in Nigeria, questa notizia, in quanto “ordinaria” per le zone coinvolte, è stata sovrastata dagli aggiornamenti continui provenienti dalla capitale francese.
Il differente peso che viene dato alle vittime dell’estremismo islamico in funzione della loro provenienza geografica, come se ci fossero morti di serie A e di serie B, ha certamente contribuito a creare in molti Europei una percezione errata della reale gravità che questo fenomeno ha raggiunto.
Più in generale, il modo in cui le notizie sono state accolte ha dimostrato alcune contraddizioni interne ai nostri paesi a cui sarà necessario porre rimedio quanto prima se, come affermato da più fonti vicine ai principali Servizi europei, questo genere di eventi sarà destinato drammaticamente a ripetersi nel prossimo futuro.
E’ emersa, innanzitutto, la diffusa convinzione che il coinvolgimento, diretto ed indiretto, in teatri di crisi come la Siria e l’Iraq o l’inazione, come nel caso Libico, non abbiano alcuna conseguenza spiacevole.
Ciò ha portato buona parte dell’opinione pubblica a disinteressarsi dell’invio di armamenti e supporto tecnico ai combattenti anti-Assad, che venivano dipinti tutti ed indistintamente come sinceri sostenitori della democrazia, ma soprattutto a non prendere sul serio la minaccia rappresentata dalle migliaia di foreign fighters partiti dal territorio dell’Unione Europea e dai Balcani.
In alcune realtà si è addirittura sostenuto che questi, una volta tornati a casa, avrebbero abbandonato ogni proposito ostile nei confronti degli stati ospiti e si sarebbero finalmente integrati in una società in cui, in realtà, hanno sempre rappresentato dei corpi estranei.
Come si è tristemente potuto constatare nel caso dell’eccidio nella redazione di Charlie Hebdo, non è così. Infatti, è proprio grazie all’addestramento ricevuto in quelle zone e, probabilmente alla sottovalutazione del problema da parte delle Autorità francesi, che i terroristi hanno compiuto il massacro, dimostrando fra l’altro una freddezza ed una precisione che fino ad ora non avevamo mai visto sul nostro territorio.
La sottovalutazione del pericolo rappresentato dai combattenti nostrani che decidono di andare in prima linea per supportare lo Stato Islamico è banalmente confermata anche dal disinteresse di molti Parlamentari Italiani per la relazione del Ministro Alfano sulle minacce dirette al nostro Paese, quasi a voler autoconvincersi che noi siamo immuni da certi pericoli.
Un altro aspetto che ha lasciato perplessi gli addetti ai lavori è quello dell’incredibile esplosione numerica dei sedicenti esperti in materia di Islam, estremismo e questioni militari.
In questi giorni, infatti, i principali media (ma anche i social network), sono stati letteralmente presi d’assalto da chi, pur non avendo nessuna formazione specifica in materia, si è sentito comunque in grado di dire la sua sul tema, spesso ripetendo concetti triti e ritriti o chiamando in causa i “poteri forti”.
Ha preso così il via una campagna virtuale di sostegno alla tesi del complotto, a difesa della quale sono intervenuti improvvisati specialisti di balistica e di armi individuali, che hanno evidenziato le presunte ragioni per cui l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo sarebbe stato in realtà condotto con l’ausilio di armi a salve.
Per quanto riguarda il fenomeno dello jihadismo, invece, si sono confrontati due mantra: da una parte quello di chi continua ad affermare che tutti i musulmani sono malvagi e, dall’altra, quello di chi rimarca che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Posto che sostenere che oltre un miliardo e mezzo di persone siano fondamentalmente cattive sembra un concetto appoggiato solo da slogan politici e da nessun dato credibile, il problema vero sta nell’incapacità della maggior parte dei sostenitori delle due facce dell’Islam di indicare una via per aiutare quella “moderata” a prevalere su quella radicale.
Fino ad ora infatti l’entusiasmo con cui alcuni governi hanno sostenuto la “primavera araba” o hanno cercato di esportare la democrazia occidentale non solo non ha portato a nessun miglioramento apprezzabile, ma, anzi, ha contribuito a far esplodere l’integralismo in tutte le regioni interessate da questi interventi. In tutto ciò, comunque, ai veri studiosi di cultura araba e di Islam viene riservato uno spazio limitato su giornali e TG.
In conclusione, quanto successo ha dimostrato ancora una volta che è impensabile pretendere che intelligence e forze dell’ordine abbiano il controllo totale sulle potenziali minacce.
Non solo si tratta di cellule dalle dimensioni ridotte, e dal sempre maggior livello di specializzazione, ma, soprattutto, di combattenti che si mimetizzano nella vasta comunità di religione musulmana che vive in Europa.
Per avere una maggiore sorveglianza come richiesto a gran voce da molti leader influenti, sarebbe necessario investire ingenti risorse nel settore, ossia il contrario di quanto hanno realizzato i sempre maggiori tagli al settore sicurezza e difesa, e soprattutto accettare di vivere in ciò che si avvicinerebbe molto ad uno stato di polizia.
Foto: AFP, Reuters, Getty Images
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.