Le pressioni anti-russe di USA e UE su Belgrado (e Praga)
In questi mesi di forte tensione tra NATO e Russia, la storica parata organizzata ogni 9 maggio a Mosca, per celebrare la vittoria della II Guerra Mondiale, si è trasformata in uno spinoso problema politico. Mentre da un lato Putin cerca di garantirsi la partecipazione degli Stati europei alleati durante il conflitto, dall’altro gli Stati Uniti spingono affinché l’invito venga rispedito al mittente, cogliendo quindi l’occasione per evidenziare nuovamente l’isolamento politico del Cremlino.
La prima Nazione a trovarsi nel mezzo di questo contrasto è stata la Repubblica Ceca, che per bocca del suo Presidente Miloš Zeman (foto sotto), però, ha risposto picche alla richiesta dell’ambasciatore USA di non recarsi a Mosca nel Giorno della Vittoria. Inutile dire che questo “gran rifiuto” è stato abbondantemente celebrato dai media filorussi, con l’intento neanche troppo velato di spingere gli altri paesi indecisi a fare lo stesso.
Fra tutti gli stati coinvolti nella diatriba, comunque, uno di quelli più in difficoltà è sicuramente la Serbia, che al momento conduce una politica estera di attento equilibrismo fra le due parti. Sebbene sia sempre più vicina all’Alleanza Atlantica e all’Unione Europea, Belgrado cerca anche di preservare buoni rapporti con la Russia, sia in campo economico che militare (come dimostra l’organizzazione di un nuovo addestramento congiunto russo-serbo).
Nonostante questo il 6 aprile il Presidente Tomislav Nikolic ha dichiarato, con un breve comunicato apparso online, che l’Esercito parteciperà alle celebrazioni a Mosca, sottolineando che tale decisione è assolutamente rispettosa della Costituzione e delle leggi nazionali in materia di Forze Armate.
Secondo la ricostruzione del quotidiano Vecernje Novosti, la rappresentanza sarà affidata alla Garda, reparto dell’élite dell’esercito serbo, addestrato sia per impegni operativi che di cerimoniale.
La presa di posizione del Capo di Stato è stata accolta positivamente in Serbia, soprattutto dal vasto fronte interno contrario all’adesione della Serbia alla NATO e sostenitore di un più stretto rapporto col Cremlino.
Si tratta comunque di una scelta non scontata, soprattutto perché i vertici politici serbi prestano sempre molta attenzione a non contrariare apertamente gli Stati Uniti, che si fanno spesso sentire in maniera “decisa” per bocca del loro Ambasciatore, e l’Unione Europea.
Proprio ieri, infatti, Politika, il quotidiano belgradese più autorevole, aveva espresso il timore che la partecipazione alle cerimonie avrebbe causato dei problemi al Paese, poiché questo era stato ammonito da Bruxelles ad adeguarsi al boicottaggio deciso dalla maggioranza degli stati europei.
Lo stesso giornale ha evidenziato però come fosse difficile per la Serbia rinunciare all’invito dopo che ad ottobre dello scorso anno Vladimir Putin in persona aveva presenziato alla parata militare organizzata per celebrare i 70 anni dalla liberazione della capitale serba avvenuta nel 1944. Va anche ricordato che durante la manifestazione era stato riconosciuto, per la prima volta dalla fine della guerra, l’importante ruolo avuto dall’Armata Rossa nella presa di Belgrado, che era sempre stata attribuita ai soli partigiani jugoslavi.
La reazione della UE non si è fatta attendere e proprio Eduard Kukan, che aveva messo in guardia la Serbia dal prendere decisioni contrarie a quelle della maggioranza, ha ricordato che “il Presidente [Nikolic] deve essere conscio che un tale gesto può avere delle conseguenze sul processo di integrazione nell’Europa”.
A tal proposito è interessante il punto di vista di Boris Malagurski, regista serbo-canadese impegnato politicamente e famoso per la sua posizione “NATO-scettica”.
Intervistato in esclusiva da Analisi Difesa per capire meglio le ragioni del fronte pro-parata, ha dichiarato senza troppi fronzoli che la partecipazione all’evento è semplicemente “in linea con gli interessi nazionali” e che “una decisione contraria avrebbe mandato al mondo il messaggio che la Serbia si vergogna del proprio passato e della vittoria sul nazi-fascismo”.
Liquidata la critica di Kukan con una frase al vetriolo, “il Paese da cui viene lui sarebbe parte della Germania nazista se i russi non avessero sfondato il fronte [tedesco]”, Malagurski ha messo l’accento su un aspetto che al momento è al centro della politica nazionale serba, ossia il filo che secondo lui (ma non solo) lega l’ingresso nella NATO con la membership nella UE. Egli ha anche aggiunto che il suo Paese “non desidera essere parte di una macchinazione guerrafondaia anti-russa che non è utile né all’Europa, né alla Russia né alla Serbia”, soprattutto ora che il mondo è tornato “multipolare” e che Belgrado “può trovare altri partner fuori dalla UE”.
Vista dall’esterno la decisione di Nikolic (foto a fianco) è stata quasi inevitabile, poiché rinunciare all’invito fatto da Putin (peraltro già atteso nel 2010) avrebbe significato dare un’altra delusione ad un’opinione pubblica già innervosita da alcune importanti questioni di politica estera (ma non solo).
Fra queste spiccano soprattutto l’eterna questione Kosovara (complicata dalle posizioni nazionaliste del premier albanese Rama), il costante avvicinamento alla NATO e la recente crisi diplomatica con Zagabria causata da alcune esternazioni dell’ultra nazionalista Vojslav Šešelj contro la Croazia (di cui ha bruciato anche la bandiera) alle quali è seguita l’accesa reazione del governo croato.
In aggiunta a tutto ciò va considerato anche un problema interno, ossia la forte polemica esplosa in questi giorni a causa della ricostruzione ufficiale dello schianto in fase di atterraggio di un elicottero militare (i cui sette passeggeri sono tutti morti) che, ormai tre settimane fa, stava trasportando d’urgenza nella capitale un bambino malato proveniente da Novi Pazar.
Foto: Cremlino, CTK, Beta, AFP Getty Images,
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.