Il caso marò al Tribunale del Mare di Amburgo

Due giorni di dibattimento per il caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che per la prima volta in tre anni e mezzo vedono la loro vicenda affrontata in una corte non indiana. Il Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos) si è riunito il 10 e 11 agosto per esaminare il caso marò, non tanto nella sostanza di quanto accaduto il 15 febbraio 2012 tra la petroliera Enrica Lexie sui cui erano imbarcati i due militari e il peschereccio Saint Anthony, ma per rispondere alla richiesta italiana del 21 luglio scorso tesa a ottenere “misure cautelari” con carattere d’urgenza” a tutela dei sottufficiali di Marina.

Per ottenere cioè il rientro in Italia di Salvatore Girone (o il suo trasferimento in un Paese terzo), la permanenza in Patria di Massimiliano Latorre e mettere fine alla giurisdizione indiana sulla vicenda.

La legione straniera degli avvocati
Nonostante in Italia vi siano fior di giuristi esperti di diritto internazionale, il collegio che difende i due marò è guidato dall’avvocato britannico Daniel Betheleim 8foto sotto) già capo dell’ufficio legale del Ministero degli Esteri di Londra.

Da anni è membro del Comitato consultivo del “British Institute of International and Comparative Law”, è titolare di un prestigioso studio legale internazionale e ha partecipato a decine di procedimenti presso Corti arbitrali in contenziosi tra Stati.

Sul banco opposto il collegio indiano è guidato dalla signora Neeru Chadha, ex capo del servizio giuridico del ministero degli Esteri di Delhi, recentemente pensionata.

Nel team c’è anche l’avvocato dello Stato (‘Additional SolicitorGeneral’) P.S. Narshima, lo stesso che nelle scorse settimane ha duramente criticato sulla stampa indiana il ricorso italiano all’arbitrato. L’India ha assoldato due legali stranieri di grande esperienza internazionale: il francese Alain Pellet e l’americano Rodman Bundy. Quest’ultimo in particolare, dello studio Eversheds, viene descritto nell’ambiente come un avvocato dallo stile “duro e aggressivo”.
Il dibattimento ha visto l’ambasciatore italiano all’Aja Francesco Azzarello sottolineare “la frustrazione, lo stress, il deterioramento delle condizioni mediche delle persone direttamente e indirettamente coinvolte, che minacciano un grave danno ai diritti dell’Italia. Per questo bisogna risolvere la situazione con urgenza”.

Il precedente dell’Arctic Sunrise
Una causa perorata citando il precedente dell’Arctic Sunrise, la nave rompighiaccio di Greenpeace sequestrata nel settembre del 2013 dalle autorità russe dopo un blitz di protesta su una piattaforma di Gazprom nell’Artico.

L’intero equipaggio, composto da 28 attivisti (tra cui l’italiano Christian D’Alessandro) e due giornalisti freelance, fu arrestato. Portati a Murmansk e condannati a 2 mesi di reclusione, gli attivisti furono trasferiti in strutture di detenzione a San Pietroburgo il 12 novembre, e in seguito rilasciati su cauzione di 45 mila euro, ma senza poter lasciare la Russia.

L’Italia ha ricordato ai giudici di Amburgo che nel caso dell’Arctic Sunrise, battente bandiera olandese, il Tribunale internazionale del mare, chiamato in causa dai Paesi Bassi contro la Russia, prese atto che la detenzione dell’equipaggio prolungata, in attesa della soluzione alla controversia, avrebbe provocato un “danno” all’Olanda. Il Tribunale riconobbe inoltre il carattere di “urgenza” sottolineando che “ogni giorno passato in detenzione è irreversibile”, frase che l’Italia cita nel proprio documento a tutela dei marò.

In quel caso l’Itlos decise in poche settimane, le “misure cautelari” a tutela dell’equipaggio, ordinando a Mosca di liberare gli attivisti e di consentire alle persone coinvolte e alla nave di lasciare il Paese non appena l’Aja avesse versato una cauzione di 3,6 milioni di euro. La vicenda finì il 18 dicembre dello stesso anno con l’amnistia decisa dalla Duma su proposta del presidente Vladimir Putin in occasione dei 20 anni della Costituzione russa post-sovietica.

Scontro in aula
Il documento presentato da Roma ha ribadito che Girone “è trattato come un ostaggio, costretto a restare in India nonostante non sia stato ancora incriminato”, visto che Delhi lo considera “una garanzia che Latorre tornerà alla fine della sua permanenza in Italia”.

Per quanto riguarda Latorre “gli ultimi rapporti medici sullo stato di salute evocano rischi che potrebbero verificarsi se fosse costretto a tornare in India”, compreso il “rischio per la sua sicurezza e la sua vita. In mancanza di un capo d’accusa, le restrizioni alla libertà dei due Fucilieri e la loro durata sono arbitrarie e ingiustificabili”, con possibili “conseguenze irreparabili perla loro salute e il loro benessere”, costituendo perciò “una violazione dei loro diritti fondamentali.

Ogni attentato ai diritti, alla salute e al benessere dei fucilieri di Marina minaccia direttamente i diritti dell’Italia”, prosegue il documento. L’India viola inoltre “i suoi obblighi internazionali impedendo all’Italia di esercitare la propria giurisdizione” sul caso che riguarda due militari in servizio per conto dello Stato su una nave battente bandiera italiana”. Va infatti ricordato che l’autorità giudiziaria indiana non ha mai nemmeno risposto alle richieste della Procura di Roma di accesso agli atti del processo che Delhi dice da anni di voler imbastire.

La posizione italiana alla base delle richieste all’Itlos, è che “Roma ha sempre rivendicato l’esclusiva competenza giuridica, trattandosi di nave battente la nostra bandiera per fatti accaduti in acque internazionali”. Inoltre i due militari svolgevano funzioni ufficiali e quindi devono godere della relativa immunità funzionale prevista dal diritto internazionale.

La risposta indiana non si è fatta attendere. Per Delhi, che chiede venga respinta la richiesta italiana di arbitrato internazionale e ribadisce la sua giurisdizione su un fatto accaduto fuori dalle acque territoriali (12 miglia) ma dentro le acque contigue (24 miglia), è “inappropriato e offensivo” definire Girone “un ostaggio” poiché a Delhi “gode di una vita confortevole” mentre “la salute di Latorre potrebbe migliorare nei prossimi mesi” consentendogli di tornare in India

L’India accusa inoltre l’Italia di “malafede” per “non aver mantenuto promesse solenni” in passato. Il testo si riferisce al permesso concesso dalla giustizia indiana ai marò di rientrare in Italia per le elezioni del 2013. Il governo italiano (quello di Mario Monti) annunciò che i due non sarebbero tornati in India, ma dopo le proteste di Delhi fece marcia indietro e i due fucilieri vennero rispediti a Delhi nei tempi previsti dagli accordi.

L’ambasciatore italiano Francesco Azzarello ha definito “del tutto inaccettabile” l’accusa indiana poiché gli impegni presi con New Delhi “sono sempre stati onorati”, precisando che non “possono essere messe in discussione i sentimenti dell’Italia nei confronti delle famiglie dei pescatori uccisi” Valentine Jalestine e Ajeesh Pink). G

li avvocati di Delhi hanno definito la decisione italiana di risarcire le famiglie dei pescatori e l’armatore del peschereccio (Freddie Bosco) come un’ammissione di colpevolezza dei due fucilieri ma Azzarello ha ribattuto che è l’India a “sfruttare questa situazione con l’unico scopo di creare un pregiudizio contro l’Italia” davanti all’Itlos.

Duro anche l’intervento di Sir Daniel Bethlehem, capo del team legale italiano. “L’India gioca a un gioco pericoloso, ha costruito un castello di carta” solo allo scopo di “continuare a esercitare la propria giurisdizione” su Girone e Latorre. Inoltre i due marò “non sono stati incriminati per omicidio dalla giustizia indiana” ma New Delhi li ha già condannati. Gli avvocati indiani hanno manifestato “sorpresa” per le argomentazioni dell’Italia L’Italia «non può appellarsi alla Corte (in India) e poi dire che non riconosce la giurisdizione» ha sottolineato Bundy seguito da Pellet che ha contestato pure la richiesta di arbitrato internazionale aggiungendo che «se Salvatore Girone venisse autorizzato a rientrare in Italia, ci sono forti possibilità che non tornerebbe in India per farsi processare, nemmeno se l’arbitrato internazionale dovesse decidere che la giurisdizione sul caso dei marò è indiana».

“La presentazione dell’Italia mi è parsa efficace, ferma e ricca di puntualizzazioni molto importanti sui fatti come si sono svolti”, ha detto l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Santagata (foto a sinistra) in un’intervista a QN. Terzi si riferisce al rapporto stilato dall’ufficiale che comandava i poliziotti saliti a bordo. Ha dichiarato di aver tenuto sotto pressione i militari italiani che non volevano rispondere e ha ammesso di aver preteso che accettassero l’interrogatorio. S

ono parole che fanno giustizia di molta confusione”. Quella dell’arbitrato, precisa, “era la prima carta da giocare e non l’ultima. Si è data la sensazione che l’abbiamo scelta, perché non era rimasto nient’altro. Le udienze di Amburgo hanno dimostrato che questa controversia doveva essere
gestita in altro modo fin dall’inizio”. Ovvero “come un conflitto specifico sull’interpretazione della Convenzione sul diritto del mare fra due grandi Paesi che l’hanno ratificata. Era il modo per tenerla separata dal complesso dei rapporti con l’India“.

Due settimane e due anni
Dopo i due giorni di dibattito,  la decisione dell’Itlos sulle richieste italiane è attesa per il 24 agosto. L’Itlos dovrà decidere se ha la giurisdizione sul caso, se le richieste italiane di “liberare” Latorre e Girone  sono ammissibili, se esistono motivi di “urgenza” o il rischio di “danno grave e irreparabile” tali da dover decidere sulle misure cautelari prima che venga costituito il tribunale arbitrale. Le decisioni dell’Itlos sono vincolanti Italia e India e non appellabili.

Sarà invece la Corte arbitrale dell’Aja, una volta diventata operativa, a decidere nel merito del caso. Un procedimento che, sostengono gli osservatori, durerà due o tre anni.

Il Tribunale sarà composto da 21 giudici da nominare entro il 26 agosto, con un mandato di 9 anni, che garantiscono una ripartizione geografica equa e una rappresentazione dei principali sistemi giuridici mondiali. L’attuale presidente è il russo Vladimir Golitsyn.

Nel collegio c’è un giudice indiano, P. Chandrasekhara Rao, mentre in base allo statuto l’Italia ha potuto nominare un giudice ad hoc, il prof. Francesco Francioni. Entrambi sono stati inoltre nominati “arbitri” nel procedimento arbitrale all’Aja, mentre altri tre membri del tribunale arbitrale devono ancora essere nominati, possibilmente di intesa tra Italia e India. In mancanza di un accordo sui nomi, verranno decisi dall’Itlos.

(con fontei Ansa e Nuova Bussola Quotidiana)

Foto: Itlos, Ansa, Indian Express, web

 

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