La “guerra dei contractors" a Kabul
L’Afghanistan e la sua capitale, Kabul sono state teatro della recrudescenza di un conflitto non solo bellico. Recentemente, infatti, alcune compagnie private militari e di sicurezza (PMSCs) si sono “date battaglia” per accaparrarsi lucrosi contratti per la sicurezza di ambasciate ed installazioni occidentali. La feroce concorrenza a suon di prezzi ribassati, indiscrezioni, udienze, alleanze e fusioni è sintomatica della natura di questi soggetti che, pur operando in campi sensibili come quelli di Sicurezza e Difesa, altro non restano che comunissime imprese commerciali.
Particolarmente coinvolta, sia in fase “offensiva” che “difensiva”, è la società britannica Aegis Defence Services.
Fondata nel 2002 da Tim Spicer ed acquisita recentemente dalla GardaWorld , si occupa di analisi e consulenze, addestramento e servizi di protezione in più di 60 Paesi, con una forza di oltre 3.500 dipendenti ed una flotta di più di 300 veicoli.
A fine agosto, la Aegis ha ottenuto dal Ministero degli Esteri australiano un contratto di tre anni del valore di $ 72,3 milioni per proteggere la struttura diplomatica di Kabul, scalzando la precedente società: dal 2010, Hart Security Australia addebitava a Canberra $ 36 milioni all’anno (80% in stipendi) per lo stesso servizio. Impiegava 120 operatori australiani selezionati esclusivamente tra ex appartenenti alle forze speciali e reparti di fanteria d’elite, pagandoli più di qualunque altro contractor in città.
Una scelta vincente se si considera che non sono accaduti incidenti seri in uno dei posti più pericolosi del pianeta. Dal punto di vista dei costi, l’elevata e ben referenziata qualità è risultata però eccessivamente onerosa per il committente. Per protezione ravvicinata di alto livello la Aegis paga ai suoi operatori $ 280 al giorno (lordi) contro i $ 550 (netti) della Hart. Incarichi meno qualificati come la guardia statica risultano ancora più economici e le turnazioni imposte sono di 9 settimane di servizio e 3 di riposo contro le 8 operative e 4 fuori servizio della Hart.
Nonostante molti professionisti considerino tali retribuzioni e turnazioni ridicole, la Aegis le ritiene comunque superiori a quelle dei concorrenti.
La sua offerta è risultata indubbiamente la migliore, non solo in termini di prezzo, ma anche considerando indicatori qualitativi come: esperienza ed addestramento di personale e società, possesso di licenze ed autorizzazioni, procedure d’acquisizione equipaggiamenti ed armamento, rispondenza al tender ecc. Anche la Hart Australia, dotata di un organico complessivo di 8.000 persone ed un giro d’affari annuo di A$ 640 milioni, aveva soddisfacentemente ottemperato ai requisiti imposti dal Ministero australiano per ben 5 anni. Pertanto la vicenda pare si sia esclusivamente giocata sul prezzo.
L’Australia, infatti, ha speso più di 250 milioni di dollari in PMSCs per la sicurezza di rappresentanze diplomatiche; solo per quelle di Iraq e Afghanistan ha sborsato ben $ 237 milioni negli ultimi cinque anni. Cifre notevoli considerando il periodo di crisi economica globale e austerity.
La scelta di Aegis ha sollevato dubbi e perplessità non solo perché basata quasi esclusivamente sul cost-saving, con ciò che potrebbe comportare in termini di qualità dei servizi ed incolumità del personale diplomatico, ma anche per alcuni suoi scomodi trascorsi.
Primo fra tutti la figura di Spicer, ex dirigente dell’arcinota Sandline International nonché mercenario o comunque legato a quel mondo. Un funzionario del ministero degli Esteri australiano avrebbe però ribadito che l’ex ufficiale britannico non ha più alcun ruolo nella società. Altra questione ingombrante è quella del cosiddetto “Trophy Video” del 2005 in cui un contractor della Aegis spara sui civili iracheni che incontra, per diletto.
Se questi elementi possono essere usati per mettere in cattiva luce la vincitrice dell’appalto, per correttezza bisogna dire che anche il suo predecessore/concorrente non è immune. La Hart, ridenominata Chelsie Holding nell’ottobre del 2014,
è finita sotto i riflettori nel 2004, quando si è scoperto che un suo ex dipendente comandava un’unità speciale del regime sudafricano in Zimbabwe e compiuto attacchi dinamitardi contro esponenti dell’African National Congress.
Il passato torbido accomuna anche la United Resources, responsabile della sicurezza dell’ambasciata australiana in Iraq ($ 95 milioni dal 2010): nel 2006/2007, suoi uomini sono stati coinvolti in due conflitti a fuoco culminati con la morte di civili inermi. E che dire della ex Blackwater, oggi Academi? A inizio mese si è aggiudicata un appalto ad affidamento diretto del Pentagono in Afghanistan del valore di 8.3 milioni di dollari.
Anche su quest’operazione sono piovute critiche, non solo per le vicende burrascose della società, recentemente tornate a galla con l’incriminazione di 4 ex operatori per la strage di Piazza Nisoor, ma anche per la modalità di assegnazione che può incentivare frodi, corruzione e sprechi. Con un giro d’affari decisamene inferiore a quello della Blackwater dei tempi d’oro (ma pur sempre “rispettabile”!), quest’anno Academi ha ricevuto $ 12 milioni in contratti governativi; $ 65 milioni nel 2014, quando, con una sorprendente manovra speculativa è stata rivenduta e fusa con uno dei suoi maggiori concorrenti, Triple Canopy. Entrambe sono confluite nel Constelli’s Group, uno dei principali fornitori del Governo statunitense.
Pur desiderosa di liberarsi dallo scomodo passato attraverso una nuova proprietà, management e nome, anche Academi non è risultata completamente “pulita”: esportazione illegale di munizioni e giubbotti antiproiettile in zone di guerra costatole una multa di 7.5 milioni di dollari nel 2012, preceduta da un’altra di $ 42 milioni in un procedimento collegato.
Tornando alla Aegis, a fine luglio ha citato per la seconda volta in tribunale Gary Pease, ex suo dipendente e la Chenega-Patriot Group, società concorrente per una dichiarazione mendace sulla non divulgazione di segreti commerciali nell’ambito della gara d’appalto per il lucroso contratto “WPS” del Dipartimento di Stato (volto a garantire l’incolumità di personale e strutture diplomatiche statunitensi). Trattandosi della sua fonte principale d’introito degli ultimi 5 anni ed essendo una delle otto società precedentemente selezionate per parteciparvi, la Aegis – responsabile anche della sicurezza dell’ambasciata statunitense di Kabul – è stata invitata dal Dipartimento di Stato a partecipare alla nuova gara d’appalto.
Gary Pease, nonostante il ruolo chiave nella precedente gara “WPS” e l’accordo di non concorrenza sottoscritto, avrebbe iniziato a collaborare con Chenega-Patriot Group, rivelando segreti che, a detta di Aegis, potrebbero escluderla dal nuovo appalto.
Dopo aver agito legalmente una prima volta a giugno, la ex società di Spicer era stata “rassicurata” da Chenega che nessun segreto commerciale le era stato rivelato e che avrebbe immediatamente troncato ogni rapporto col Sig. Pease.
Tuttavia, un perito forense ha scoperto che materiale sensibile sarebbe stato copiato su varie chiavette USB: prezzi, retribuzioni, dati sul personale, contatti e info varie sull’appalto. Nonostante i difensori di Pease abbiano contestato, l’utilizzo delle stesse impostazioni, dati, metodi ed informazioni sensibili sarebbe evidente.
Ha fatto quindi seguito la seconda querela con la quale Aegis ha accusato Chenega Patriot di corruzione, appropriazione indebita di segreti commerciali ed interferenza illecita, pretendendo dalla stessa $ 10 milioni di risarcimento e la sua esclusione dalla gara d’appalto.
Con il ritiro quasi completo delle truppe Nato ed un Paese in cui la violenza continua ad imperversare, il ruolo ed il numero dei contractors è andato progressivamente crescendo. Questo nonostante la messa al bando di tutte le società private non al servizio di ambasciate ed organizzazioni internazionali.
Una misura adottata nel 2012 dal presidente Karzai per contrastare il crescente potere di vere e proprie milizie private e frenare le scorribande di alcuni “cowboys “ occidentali.
Secondo Ryan Crocker, ex ambasciatore americano in Iraq “non possiamo fare nulla in Iraq o Afghanistan senza di loro”, perciò gli Stati Uniti hanno proceduto ad aumentare il livello di responsabilità dei contractors con provvedimenti mirati al miglioramento e velocizzazione delle politiche investigative, nonché al rafforzamento delle varie procedure.
Mentre il giro d’affari globale delle Private Military Companies nel 2015 è stimato aggirarsi tra i 13 e i 20 miliardi di dollari, altri importanti contratti relativi all’Afghanistan erano stati annunciati dal Pentagono il 31 Dicembre 2014: $ 100 millioni per DynCorp International, LLC, per “consulenza, addestramento e supporto” ai Ministeri della Difesa e dell’Interno afghani, $12.8 milioni per Six3 Intelligence Solutions Inc., $ 36 milioni per IDS International Government Services, LLC e uno da $ 6.9 milioni a Battlespace Flight Services, LLC, per lavori “da eseguirsi a Jalalabad”.
Nel terzo quadrimestre 2015, a fronte di 9.800 militari statunitensi in Afghanistan, vi erano circa 29.000 operatori privati al servizio del Dipartimento della Difesa. Di questi, solo il 6% si occupava di sicurezza, il resto era suddiviso tra logistica, manutenzione, trasporti, management ecc. Riguardo alla nazionalità, 10.000 erano americani, 6,700 di altri paesi e 12.200 afghani.
Visto che la richiesta non manca – i contractors aumentano notoriamente al finire delle guerre! – e le cifre dei contratti sono di tutto rispetto, la concorrenza risulta essere asprissima, ribassando i prezzi fino all’ultimo centesimo: si preferisce ad esempio impiegare quanti più operatori locali possibili ed in prima linea.
Essi risultano molto più economici, sia come stipendi che in risarcimenti per infortuni o decessi. Eventuali loro perdite, infatti, sono ancora più trascurabili di quelle di un operatore appartenente ai cosidetti “Five Eyes” (Stati uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda), la cui professionalità e, quindi il costo, è nettamente superiore.
Per quanto riguarda gli “scheletri nell’armadio”, quasi tutte le PMSCs ne hanno, anche solo per il fatto che un loro impiego così massiccio ed in costante contatto con i civili non si era mai verificato prima. Tale fenomeno ha avuto il battesimo, rodaggio e pure imperdonabili incidenti e vittime proprio in Iraq ed Afghanistan; quelle che Ann Hagedorn, autrice di Invisible Soldiers, ha definito “le prime Guerre dei Contractors”. Come sostiene Erik Prince, “[…]
Siamo stati sfortunati con alcune cattive assunzioni […] Noi impieghiamo migliaia di esseri umani, non macchine. Perfino i motori a reazione, con solo una manciata di componenti mobili a volte si rompono. […]”. La professionalità delle PMSCs è comunque sempre stata generalmente molto alta, come testimoniano le performances della Hart oppure della Blackwater con zero clienti caduti in migliaia di missioni in Iraq.
Se aggiungiamo poi episodi “leggendari” come la difesa del quartier generale della CPA a Najaf o il salvataggio in extremis dell’ambasciatore polacco in Iraq , questo risulta ancor più evidente.
Foto CNN, Nextnewsnetwork, NBC News,John Moore/Getty Images, Aegis, Hart Security,Justin McManus
Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.