Libia: difficile abbinare basso profilo e leadership

Il Wall Street Journal ci ha informato lunedì dell’accordo che consente agli Stati Uniti di far decollare droni armati da Sigonella per operare in Libia.

No … niente tweet da Palazzo Chigi al riguardo.  Non saprei perché … scarsa rilevanza dell’argomento, intasamento di tweet relativi alla “stepchild adoption”, o forse solo sano senso di mantenere fede sempre e comunque alle migliori tradizioni nazionali (anche all’8 settembre sono stati gli anglo-americani a definire quando gli italiani dovevano/potevano essere informati).

Messe da parte le sterili lamentele, tipiche di noi “popolo di mugugnatori”, non posso non rilevare come si tratti una svolta importante nel nostro atteggiamento nei confronti dell’ISIS in Libia o, meglio, dell’ISIS tout court. Bene, ragazzi, spolveriamo le armi. Perché? Beh, in un certo senso siamo ora “cobelligeranti”.

Non è poco, ma forse neanche molto …troppo per essere ritenuto insignificante dai nemici, troppo poco per essere considerato significante dagli alleati (ebbene sì, il solito déjà vu!).

Comunque, siamo realistici … per il popolo che ha fatto della ricerca del compromesso a qualsiasi  prezzo la sua ideologia e del buonismo “di facciata” la sua bandiera (bandiera di pace, per carità, non “di guerra”), direi che si tratta già di un passo molto importante.

Ciò detto, visto che mi sembra che si voglia continuare ad assumere in ruolo di osservatori “imparziali” rispetto a ciò che ci avviene intorno, possiamo stare tranquilli sulla base di quanto sinora concordato?

Sarò il solito pessimista che regolarmente vede il bicchiere mezzo vuoto, ma qualche piccola perplessità io l’avrei.
Sinceramente, sono le soprattutto rassicurazioni romane che preoccupano.

In primo luogo, si continua a rivendicare con fastidiosa insistenza l’attribuzione all’Italia di  “un ruolo di leadership” in Libia, pur senza impegnarvi risorse militari o politiche adeguate.

Nel far questo, i nostri “political masters” mi ricordano quei bambini viziati che, pur senza saper giocare a calcio, pretendono fare il “capitano” della squadra (magari perché l’unico posto per giocare è nel giardino  di casa loro).

Si tratta di una posizione che paga, se poi non si è in grado di  supportare questo ruolo con autorevolezza politica, affidabilità in termini di supporto  finanziario alle fazioni sul terreno (supporto più o meno cristallino, ma sempre più apprezzato quello ” meno” cristallino), credibilità militare e assetti efficaci e realmente impiegabili?

Personalmente, ho sempre ritenuto che, alla fine, in qualsiasi situazione di tensione non comandi chi ha il grado più elevato cucito sulla giubba, ma chi quel grado lo rivesta negli occhi di coloro che sono disposti a combattere. Non sempre le due figure coincidono.

Inoltre, a Roma ci si affretta a dichiarare che i droni saranno impiegati solo “per la protezione delle Forze Speciali operanti a terra” e che ogni volta gli USA dovranno chiedere alle autorità italiane l’autorizzazione a decollare (…ragazzi: veramente riteniamo che gli USA  si sottopongano a questo iter quando devono fornire sicurezza ai propri uomini?). Personalmente,  ho qualche dubbio.

Quando in Afghanistan operavano sia Enduring Freedom che ISAF, noi di ISAF avevamo grossissime difficoltà a sapere in anticipo dove Enduring Freedom intendesse condurre delle CAS (Close Air Support, cioè incursioni aeree)  nei nostri settori e i reports di Forze Speciali di Enduring Freedom scambiate per talebani perché operavano nei nostri settori senza averci detto niente erano quasi all’ordine dl giorno!

Lecito dubitare che la procedura descrittaci possa essere alla lunga realisticamente praticabile (per fattori di operational security, tempestività d’intervento, comprensibile diffidenza a fornire informazioni dettagliate ad un alleato che –al momento- non ha propri uomini in operazioni sul terreno, ecc).

Temo che gli USA, che già hanno aspettato ben un anno per raggiungere quest’accordo (pensavo che la Libia fosse innanzitutto una nostra priorità!), dopo il primo tentativo andato a vuoto per le nostre lungaggini, rinuncino a chiederci alcunché se dovranno fare cose veramente serie, limitandosi a chiederci l’autorizzazione formale per gli interventi di routine (proprio quelli di cui, ritengo, non ci interessi).

Un fallimento, quindi? Assolutamente no!  Da parte  italiana , l’obiettivo politico sarà stato comunque raggiunto: se qualcosa dovesse andare  storto (o meglio: quando qualcosa andrà storto), noi ci potremo ergere offesi gridando al tradimento statunitense : “noi non eravamo stati informati, gli USA non si sono attenuti alle procedure!!”

Da parte loro, gli USA faranno ciò che riterranno opportuno, sentendosi pienamente giustificati a farlo, visto che loro hanno gli uomini sul terreno.

Tutti felici e contenti quindi, ma anche efficaci?

Foto: US DoD, AP, Reuters, Usaf, Ansa

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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