I “CALIFFATI” D’EUROPA SARANNO LE PROSSIME FALLUJAH?
La cattura di Salah Abdeslam consentirà forse alla polizia belga e francese di tirare un sospiro di sollievo dopo una caccia all’uomo durata oltre 4 mesi. La polizia belga segna un successo dopo le numerose figuracce rimediate e a Parigi qualcuno dichiara addirittura che la cattura di uno degli uomini chiave della strage di Parigi del 13 novembre rappresenta un durissimo colpo per lo Stato Islamico.
Forse è bello crederci e per noi tutti sarebbe splendido se fosse così ma purtroppo le cose stanno molto diversamente come è del resto facile intuire.
Salah è uno dei tanti balordi cresciuti nelle periferie dei grandi centri urbani europei, un teppistello che fumava, beveva e si dedicava col fratello a piccoli reati. Ma dopo che è stato arruolato dai jihadisti in carcere, dove ha iniziato il suo percorso ideologico, è divenuto un combattente e la trattativa avviata per evitare l’estradizione in Francia sta dimostrando la sua perizia.
Non si tratta solo di temporeggiare per ottenere qualche vantaggio o far guadagnare tempo ai compagni ancora in libertà barattando la sua supposta collaborazione con gli inquirenti ma di una precisa strategia politica e militare.
E’ evidente infatti che gli screzi che stanno creandosi tra Parigi e Bruxelles sulla questione dell’estradizione mostrano ancora una volta un’Europa divisa di fronte alla minaccia islamista e questo rappresenta già da solo un grande successo per lo Stato Islamico e in generale l’eversione jihadista.
Evidenziare queste spaccature nel fronte nemico è un obiettivo di valore strategico e Salah, che aveva mostrato finora la grinta del combattente, lo persegue ora mostrando la stoffa del leader.
Inoltre, negoziando con le autorità belghe che ha tenuto in scacco per quattro mesi, Salah Abdeslam si dimostra ancora protagonista attivo più che un prigioniero che dovrebbe apparire come già condannato per le sue orribili azioni. Un aspetto che forse indigna noi europei ma che galvanizza i jihadisti regalando loro uno spot propagandistico in cui Salah, anche dal carcere, detta le condizioni ai suoi carnefici con un’arroganza che indurrà molti altri giovani balordi ad aderire alla sua causa.
Purtroppo, grazie a un’Europa sempre più debole, divisa e insicura, arruolare altre centinaia o migliaia di Salah ci vorrà ben poco, anzi forse ci sono già molti altri ragazzi del genere in Europa pronti a uccidere e a morire: lo vedremo presto.
La conferma che Salah è rimasto nascosto per quattro mesi a Molenbeek, protetto dalla “sua gente”, dovrebbe aprire gli occhi a tutti circa quanto sta succedendo in molte metropoli europee dove aumentano le aree di fatto fuori dal controllo delle autorità locali, quartieri in mano a estremisti islamici in cui la legge (la nostra) non entra e l’omertà dilaga sconfinando in diffuso sostegno alla causa jihadista.
Nulla di nuovo a dire il vero. Negli stessi quartieri musulmani d’Europa esultarono in tanti, anche pubblicamente, davanti alle immagini di New York l’11 settembre 2001 o, più recentemente, dopo gli attentati a Madrid, Londra e Parigi.
Inutile e fin troppo comodo prendersela con i servizi di sicurezza, con le inefficienze della polizia o con la mancata integrazione dei servizi d’intelligence, come vorrebbero governi e forze politiche per distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica dalle lorio colpe per quello che sta succedendo in Europa.
Premier, ministri e governi di ogni colore politico che hanno guidato l’Europa negli ultimi 20 anni si sono macchiati di responsabilità gravissime per la sicurezza di noi tutti.
Hanno tollerato o addirittura incoraggiato un’immigrazione dai Paesi musulmani quasi sempre parassitaria, che brucia welfare producendo poca ricchezza e pochissima integrazione anche a causa di un ostentato complesso di superiorità dovuto all’appartenenza alla fede islamica.
Poitici europei di ogni colore hanno tollerato in nome di un multiculturalismo tanto idiota quanto aleatorio che nelle nostre città si creassero zione franche, aree extraterritoriali dove si sono insediati saldamente gli estremisti islamici e dove imam salafiti praticano indisturbati proselitismo alla causa jihadista ideologizzando migliaia di nuovi Salah.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: a Bruxelles, Londra, Rotterdam, Torino, Parigi, Malmoe, Marsiglia, e in tantissime altre città europee ci sono veri e propri ”califfati” o “emirati” dove la polizia non entra perché gli abitanti islamici del quartiere non la vogliono e perché le autorità cittadine ordinano agli agenti di tenersi alla larga.
Quartieri dove ogni traffico illecito è reso più facile dall’assenza di controlli, dal vuoto dell’autorità nazionale soppiantata da quella locale, fatta di criminali, jihadisti e imam o pseudo tali che predicano l’odio e indottrinano all’estremismo future generazioni di terroristi.
I Paesi europei combattono il terrorismo ma finché non faranno la guerra all’estremismo il cancro islamista continuerà ad estendersi e ad arruolare seguaci con una propaganda che si nutre della nostra manifesta debolezza, dell’incapacità politica dell’Europa di pretendere di avere il controllo sul suo territorio e persino di impedire a chiunque non sia in regola con la legge di penetrarvi.
Nei giorni scorsi sono balzati all’onore delle cronache alcuni imam salafiti che in Belgio propugnano il rogo per gli omosessuali e in Germania giustificano stupri e molestie alle donne europee, colpevoli di girare per strada “seminude e profumate” mentre in Danimarca addirittura il governo negozia con gli iman salafiti che applicano le decapitazioni degli ostaggi effettuate dallo Stato Islamico.
Non sorprendono certo le opinioni dei salafiti, in fondo si tratta della stessa ideologia di al-Qaeda, indigna però che i nostri governanti abbiano consentito e consentano anche oggi a predicatori di tale ideologia di gestire moschee più o memo legali nelle nostre città dove si diffondono tali ideali.
Tanto varrebbe consentire di riaprire le sedi delle SS, riabilitare i regimi nazista e sovietico. Il problema, prima ancora che di sicurezza, è di valori. Non dovrebbe esserci posto in Europa per chi non si riconosce nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo promulgata dall’Onu nel 1947 e mai firmata (guarda caso) da nessun Paese islamico perché ritenuta contraria ai principi della sharia.
Ci sono stati anche in Italia (dove secondo uno studio di Michele Groppi ci sono oltre cento moschee più meno legali in mano a predicatori estremisti) numerosi casi di segnalazioni effettuate dai servizi di sicurezza circa le attività di imam e altri personaggi legati all’Islam radicale. Segnalazioni che sono state puntualmente ignorate dalle autorità per evitare problemi con le comunità islamiche.
A forza di “evitare problemi” oggi abbiamo interi quartieri off-limits per la polizia dove si commerciano kalashnikov contrabbandati dai Balcani come fossero noccioline, dove se passeggi bevendo una birra ti si affianca qualche censore barbuto per dirti che da quelle parti vige la sharia e bere alcool è proibito. Cose che accadono Londra e a Rotterdam, non a Riad o Gedda.
Oggi in ognuno dei principali Paesi europei sono presenti centinaia di foreign fighters potenziali e terroristi e decine di migliaia di estremisti: quale servizio di sicurezza potrebbe controllarli tutti per 24 ore al giorno?
Politici miopi, o ubriacati dal devastante cocktail culturale che miscela tardo sessantottismo a terzomondismo, pur di evitare la responsabilità di affrontare i problemi determinati dalle comunità islamiche hanno finito per creare le basi affinché il prossimo Califfato venga proclamato in qualche banlieue europea.
Inutile stupirsi se Salah Abdeslam e chissà quanti altri come lui possono nascondersi tranquillamente per mesi nei quartieri islamici, ghetti e al tempo stesso roccaforti, protetti dall’omertà di una comunità che per paura o condivisione di ideali li difende.
Non si può spiegare diversamente come Salah sia potuto sfuggire per così tanto tempo alla caccia all’uomo scatenata dalle polizie belga e francese che infatti fino a qualche settimana or sono erano convinti che il terrorista fosse riparato nei Balcani o addirittura in Siria.
Il vero dramma non è rappresentato tanto dalla conferma che la minaccia jihadista non è solo in Siria e Libia ma anche nelle nostre strade, quanto dalla constatazione che i governi europei continuano a calare le braghe davanti a un islamismo fin troppo scopertamente finanziato da monarchie sunnite del Golfo i cui regnanti sono abituati a vedere i leader europei genuflessi ai loro piedi in cambio di investimenti e acquisti di armamenti.
Braghe calate anche davanti a un’immigrazione illegale fuori controllo e per la quasi totalità islamica gestita dalla Turchia e dai suoi alleati libici del governo islamista di Tripoli attraverso cosche criminali legate strettamente all’eversione islamista.
Dopo aver accolto per anni chiunque pagasse il biglietto ai trafficanti oggi l’Europa deve oggi fare i conti con un deficit di credibilità spaventoso e senza precedenti nella Storia.
Gli immigrati clandestini pretendono di venire accolti, mantenuti e di poter andare dove preferiscono nel Vecchio Continente dopo aver venduto tutti i loro averi per pagare i criminali che li hanno traghettati al di qua del Mediterraneo: pretese che mai si sognerebbero di avere nei loro Paesi di origine.
Al tempo stesso i cittadini europei hanno tutti i motivi per nutrire sempre meno fiducia nella Ue e nei governi dei singoli Stati, ormai incapaci di garantire legalità, sicurezza e rispetto dei diritti e dei valori su cui l’Europa si basa da oltre 70 anni.
Meglio quindi essere consapevoli che applicando questa politica suicida non solo si moltiplicano i Salah ma si gettano le basi per trasformare i tanti Molenbeek d’Europa in future Fallujah.
Foto: AP/SIPA, Reuters, TEun Voeten, Insurgentintelligence
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.