La Ue disarma i cittadini invece di terroristi e criminali
Il 18 novembre scorso, cinque giorni esatti dopo gli attacchi dei terroristi islamici a Parigi, la Commissione Europea ha avanzato una proposta per modificare la Direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi. Tale iniziativa ha scatenato l’immediata reazione degli addetti ai lavori, dei tiratori e dei cacciatori di tutta Europa, poiché di fatto essa attuerebbe un vero e proprio giro di vite.
La UE, infatti, pur individuando nell’uso di armi da fuoco da parte di criminali e terroristi le ragioni per cui essa si trova costretta ad agire, ha finito per realizzare una bozza di direttiva che, se approvata, colpirà solo ed esclusivamente i cittadini legalmente in possesso di armi da fuoco. Per contro, l’impegno a contrastare la fornitura illecita di armi è descritta in modo estremamente generico e l’unico riferimento diretto alle aree tradizionalmente legate al mercato nero (Balcani, Medio Oriente e Africa Settentrionale) è un richiamo alla riunione informale del Consiglio Europeo del 12 febbraio 2015.
Le ragioni della linea seguita da Bruxelles sembrano risiedere nella convinzione che siano proprio i privati cittadini (collezionisti, tiratori e cacciatori) a giocare un ruolo chiave nel rifornimento del mercato illegale.
Come ha scritto il Time in uno dei suoi approfondimenti dedicati agli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, però, la realtà è diversa, in quanto i terroristi e gli aspiranti tali possono dotarsi di armi automatiche (che non possono invece essere acquistate o utilizzate dai cittadini della UE) grazie agli stretti contatti che la criminalità europea (e soprattutto francese) è riuscita a creare con la malavita balcanica.
Il numero 4/2014 dello Small Arms Survey, infatti, riporta che nell’area compresa fra Croazia e Macedonia una popolazione di circa 25 milioni di persone è in possesso di 3.6 -6.2 milioni di armi non denunciate, che spesso finiscono nelle mani dei contrabbandieri locali.
Secondo il settimanale Vreme, invece, nella sola Serbia la cifra potrebbe essere il triplo di quella dichiarata nel 2005 dal Ministero degli Interni, che allora stimava l’esistenza di 1 milione di pezzi detenuti illegalmente.
Per capire l’importanza di questo aspetto basta pensare che gli organizzatori degli attacchi di Parigi acquistarono due versioni cinesi dell’AK-47 e due Zastava M70 da un venditore tedesco che sfruttava i canali offerti dal deep-web.
Singolarmente, però, nella proposta di direttiva avanzata dalla Commissione europea non è stato inserita alcuna misura atta a contrastare efficacemente questo fenomeno crescente, né sono stati previsti degli interventi mirati a scoraggiare la creazione di armi in casa, una possibilità resa più concreta grazie ai numerosi progetti facilmente reperibili online e alla diffusione di stampanti 3D.
Considerazioni che sembrano venire ignorate dall’Unione Europea che dal 2013 promuove un documento che limiti fortemente il diritto dei cittadini comunitari ad acquistare armi da fuoco. I principali esponenti di questo fronte “proibizionista” sono l’italiano Fabio Marini e la svedese Cecilia Malström, che da tre anni stanno conducendo un’accesa campagna politica e mediatica, spesso senza fornire delle ragioni convincenti a chi li accusa di voler semplicemente disarmare gli europei.
Per sostenere la propria posizione, infatti, i due si sono limitati a ribadire che le loro azioni sono guidate dalla ferrea volontà di limitare il numero di morti causati dall’uso di pistole e fucili e garantire l’incolumità dei cittadini. Per fare ciò, essi hanno spesso fatto ricorso ad immagini forti e utilizzato toni decisi, che in qualche modo instillano nell’ascoltatore o nel lettore l’idea che la situazione del Vecchio continente sia catastrofica.
La realtà, però, è ben diversa, poiché, come dimostrano le stesse statistiche della UE (si veda: Injuries in the European Union, 2008-2010), dei circa 4.600 omicidi annui commessi all’interno del territorio degli Stati membri, solamente il 17% (381) è causato dalle armi da fuoco, mentre ben il 34% da oggetti contundenti.
Per avere un’idea più chiara di quanto sia stato artificialmente ingrossato il problema a livello mediatico è sufficiente considerare che nel 2010 lo sport ha causato la morte di circa 7.000 persone, soprattutto a causa di affogamenti o cadute. Ovviamente nessuna proposta di direttiva è stata avanzata per proibirlo.
Oltre a ciò, è necessario sfatare anche un altro mito, ossia quello che vorrebbe far sembrare all’opinione pubblica che la situazione europea e quella statunitense siano assolutamente identiche. Questo è assolutamente lontano dalla verità, poiché secondo i dati ufficiali rilasciati dal Dipartimento della Salute degli USA, nel 2013 nei 50 Stati dell’Unione vi sono stati oltre 2.200 omicidi perpetrati con armi da fuoco. Ciò significa che il dato relativo allo stesso tipo di crimine commesso in Europa nel 2010 rappresenta il 17% di quello americano.
Considerando anche che l’Europa ha 187 milioni di abitanti in più rispetto agli Stati Uniti, si capisce perché questo genere di comparazione non sia solo fuorviante, ma anche assolutamente impropria.
La scarsa validità della proposta della Commissione, comunque, sembra essere dimostrata anche dal fatto che il Regno Unito, il Paese con la legislazione più severa e restrittiva in materia di armi, è anche quello con il maggior numero omicidi all’interno dell’Unione Europea. Nel 2012, ad esempio, in Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord vi sono stati 644 delitti (fonte Eurostat), ben 66 in più della Germania, che occupa il secondo posto in questa triste classifica, ma che ha anche 16 milioni di abitanti in più e quasi il triplo di armi legalmente registrate.
Anche l’Italia, spesso additata da Oltremanica come la Patria della malavita, ha un numero di omicidi nettamente inferiore (563), pur avendo la leadership continentale quanto ad armi registrate.
Tornando alle intenzioni della Commissione è possibile affermare che, stando ai documenti attualmente disponibili, essa intende bandire tutte le armi semiautomatiche che, a suo avviso, ricordino anche lontanamente modelli militari. Ciò non tiene conto, però, delle differenze strutturali spesso esistenti fra modelli “civili” e modelli “militari”, né del fatto che attuare un giro di vite sulle carabine in possesso dei cittadini europei non contribuirà in nessun modo ad evitare che la malavita e i terroristi continuino a dotarsi delle armi necessarie a compiere azioni criminali.
In aggiunta, la UE si sta dimostrando insensibile agli effetti economici che tali azioni potranno avere sui Paesi produttori di armi come Italia, Austria, Germania o Repubblica Ceca.
In un momento di forte crisi, quindi, Bruxelles non sembra interessata a scongiurare un certo aumento della disoccupazione.
Il reale scopo di Juncker e dei suoi collaboratori, pertanto, sembra essere quello di disarmare gli europei, senza però avere il coraggio di ammetterlo chiaramente, dimostrando ancora una volta che essi preferiscono informare i propri cittadini solo dopo aver preso le decisioni, come conferma anche il caso del TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti).
Appassionati e addetti ai lavori hanno avanzato diverse teorie sulle ragioni che stanno portando la Commissione ad imboccare questo sentiero, tuttavia nessuna ipotesi ha trovato ancora una conferma.
L’interpretazione più convincente sembra essere quella di coloro che ritengono che l’Europa tema la presenza di cittadini armati e non certo per le ragioni ufficialmente addotte.
Come rimarcato già sopra, infatti, se lo scopo dei leader europei fosse quello di garantire la sicurezza all’interno dei confini comunitari, essi si sarebbero dovuti orientare su altre misure, come la lotta al mercato nero (ricco di fucili d’assalto automatici), la ricerca delle armi non dichiarate (che secondo alcune stime di Firearms United potrebbero essere fra 67 e 200 milioni) e, soprattutto, il monitoraggio degli “aiuti militari” inviati a forze combattentistiche impegnate, ad esempio, in Medioriente.
Come dimostra il caso del Califfato, i nostri nemici si impadroniscono del materiale d’armamento che doniamo ai nostri “partner” per combattere al posto nostro e lo impiegano contro di noi.
Foto: armi sequestrate a terroristi e criminali (AP. AFP, Reuters e EPA)
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.