La crisi finanziaria dello Stato Islamico
ANSA – L’Isis sta affrontando ristrettezze finanziarie senza precedenti dalla nascita del ‘Califfato’ fra Siria e Iraq, nel giugno 2014. E gli attentati di Parigi e Bruxelles sarebbero anche una risposta a queste difficoltà, dovute all’offensiva della coalizione a guida Usa.
Lo affermano fonti dell’antiterrorismo Usa, citate dal Washington Post, che per la prima volta in maniera esplicita sottolineano come la strategia voluta dal presidente Barack Obama stia funzionando e come mesi di bombardamenti aerei sui siti petroliferi e sulle istituzioni finanziarie dei jihadisti abbiano ridotto drasticamente la capacità dell’autoproclamato Stato islamico di pagare i suoi militanti e di portare a compimento operazioni militari o terroristiche.
Le informazioni di intelligence parlano di contrasti mai così duri ai vertici dell’organizzazione jihadista, dovuti proprio alle crescenti ristrettezze finanziarie, con accuse reciproche di corruzione, cattiva gestione delle risorse e anche furti di denaro. A dare un duro colpo alle casse dell’Isis è soprattutto
la distruzione di campi petroliferi, raffinerie e mezzi di trasporto del greggio, che avrebbero portato a una riduzione del business del petrolio di almeno il 50%, con un taglio della produzione pari a un terzo. Senza contare gli effetti dovuti al drastico calo dei prezzi del greggio.
Risultato: molti dei combattenti in Siria e in Iraq sono stati messi a ‘mezza paga’, con la defezione di tanti militanti che da mesi non ricevevano salario.
Anche perché – sottolineano gli esperti – il territorio in mano agli uomini del ‘Califfo’ Al Baghdadi si è ristretto di circa il 40%, con conseguente calo della popolazione su cui imporre tasse e balzelli.
A tutto questo si aggiunge anche l’uccisione del ‘ministro delle finanze’ dell’Isis, Haji Imam, in un recente raid Usa. Nonostante ciò dall’amministrazione Usa si predica grande prudenza. Prudenza perché è ancora presto per parlare di Isis al collasso.
I jihadisti infatti controllano ancora il 60% del petrolio siriano e il 5% di quello iracheno.
Foto AP, Stato Islamico e YPG
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