Difesa antimissile: punto di non ritorno tra Nato e Russia?

Dopo l’ingresso annunciato del MOntenegro nella NATO e la la proposta del comandante supremo alleato in Europa di creare un contingente rotazionale da schierare in Polonia e nei Paesi Baltici lungo i confini orientali dell’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti confermano come la Rissia venga considerata “minaccia prioritaria” con il completamento, il 12 maggio, della base (costata 800 milioni dollari) del sistema di difesa contro i missili balitici situata in Romania, vicino al villaggio di Deveselu a circa 180 chilometri a est di Bucarest.

Il sistema difensivo fa parte della seconda fase del progetto varato dalla NATO nel 2010 che prevede lo spiegamento progressivo di intercettori missilistici e radar nell’Europa dell’est e in Turchia.

Dopo l’attivazione di un radar di scoperta aerea in Turchia AN/TPY 2 e del sistema di difesa anti-missilistico imbarcato sulle unità classe Arleigh Burke basate nel porto spagnolo di Rota, l’attivazione del sito rumeno, in preparazione dal 2013, rappresenta un salto qualitativo nella capacità di difesa missilistica NATO ai confini orientali dell’Europa.

La prossima tappa prevede l’attivazione di una base in Polonia, iniziata all’indomani del completamento di quella rumena. Una sorta di “tripla opzione” ad ambizione crescente i cui dichiarati scopi difensivi danno adito a più di qualche perplessità.

Per gli Stati Uniti si tratta di una mossa volta a difendere l’Europa dai cosiddetti “rogue states”, gli stati canaglia, ossia – secondo una celebre definizione del consigliere per la sicurezza nazionale USA Anthony Lake – quelle «nazioni che mostrano un’incapacità cronica a impegnarsi costruttivamente col mondo esterno».

Le caratteristiche che rendono uno stato “canaglia” sono sostanzialmente quattro: tentativi di produrre armi di distruzione di massa,; sostegno al terrorismo, trattamento biasimevole dei propri cittadini, propaganda ostile nei confronti degli Stati Uniti.

Nel rapporto Patterns of Global Terrorism del 2015 resa dal Dipartimento di Stato USA, la lista si limita a tre Stati: Iran, Sudan e Siria. Ed è infatti ufficialmente nei confronti della “canaglia” numero uno, ossia l’Iran, che è ufficialmente diretto lo “scudo” della NATO.

In realtà, nella strategia di rafforzamento del fianco nord- occidentale e nella riattivazione delle basi nell’Europa dell’est il Cremlino vi legge chiaramente una strategia per indebolire l’arsenale nucleare russo.

A poco servono le rassicurazioni del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg rese in occasione della cerimonia di apertura della base rumena. “In nessun modo – ha affermato – il sito di difesa missilistica mina o indebolisce il deterrente strategico nucleare russo”.

Gli intercettori sarebbero troppo pochi e la loro localizzazione troppo lontana o troppo vicina alla Russia per costituire una diretta minaccia ai missili intercontinentali russi.

Stoltenberg spiega infatti che gli intercettori sono designati per far fronte ad attacchi di missili balistici a corto – medio raggio provenienti dal di fuori dell’area “Euroatlantica”, in particolare dal Medio Oriente.

« Fino a che l’Iran continuerà a sviluppare e spiegare missili balistici, gli Stati Uniti lavoreranno con i loro alleati per difendere l’Alleanza», ha affermato il sottosegretario alla difesa statunitense Robert Work a sostegno della tesi.

La mossa statunitense è apparentemente giustificata da ragioni strategiche di ampio respiro: i missili balistici iraniani potrebbero colpire parti consistenti dell’Europa, in particolare dell’Europa dell’est, compresa appunto la Romania.

In questa logica l’ombrello difensivo deve venir esteso al massimo utilizzando tutti i siti opportuni, mentre è previsto che il controllo ed il comando della linea di difesa saranno esercitati da una base aerea in Germania.

Ma nemmeno l’identificazione esplicita del nemico serve a placare le ansie russe. Nel clima da guerra fredda che di volta in volta si ripropone negli ultimi mesi, con brevi tregue seguite da numerosi inasprimenti, non si è ancora innescata una vera e propria escalation.

La rinnovata “strategia del contenimento” sta diventando sempre più soffocante per Mosca.

Le spiegazioni statunitensi non convincono il Cremlino e il tentativo di relegare la Russia in un angolo sempre più stretto è già chiara da tempo. Se il problema del nucleare iraniano è stato almeno ufficialmente eliminato con l’accordo firmato a Vienna, gli USA non hanno fatto un passo indietro nei loro progetti di difesa missilistica.

E l’attivazione della base rumena è suscettibile di rappresentare un vero e proprio punto di rottura nelle relazioni già più che tese tra la NATO e la Russia.
In luglio, al summit di Varsavia, il sito di Deveselu sarà ufficialmente integrato nel sistema di difesa missilistica NATO, mentre si prevede l’arrivo di due dozzine di missili intercettori SM-2.

Il sito appena inaugurato difficilmente potrebbe compromettere l’arsenale russo, anche in caso di ampliamento, ma sicuramente esso potrebbe rappresentare un fattore strategico non trascurabile, anzi potenzialmente significativo nel caso di un conflitto su scala limitata.

L’installazione rappresenta un incremento significativo della capacità difensiva NATO ma della natura puramente difensiva del sistema si può ben discutere.

Ed è proprio questo il punto focale che rende questa seconda fase del più ampio progetto NATO un punto di non ritorno nei rapporti NATO – Russia e USA – Russia, capace di attivare degli scenari da guerra fredda che sono stati finora scongiurati.

La fase di Adaptive Approach sperimentata in Turchia ed in Spagna lascia spazio ad quello che potremmo definire un Incremental Deterrent.

L’ambasciatore statunitense presso la NATO, Douglas Lute, ha descritto l’attivazione del nuovo sistema missilistico come un segno dell’impegno del paese all’articolo 5 del Trattato, per mezzo del quale tutti i 28 membri NATO convengono, nel caso un attacco armato contro una o più di esse, ad assistere la parte o le parti attaccate intraprendendo l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza.

In realtà, l’inaugurazione della base missilistica dà consistenza alle intenzioni di containment politico del Cremlino, aggiungendo un fattore di containment militare. Le infrastrutture militari alleate si stanno man mano avvicinando ai confini della Russia.

I radar ad ampio spettro presenti nella base possono essere facilmente utilizzati per spiare nello spazio aereo russo mentre i missili e il sistema di difesa contro vettori balistici è una versione “terrestre” dell’AEGIS impiegato a bordo delle navi statunitensi. Quest’ultimo è n’incarnazione meno ambiziosa del sistema Anti Ballistic Missile (ABM) che ha rimpiazzato il progetto iniziale già concepito dall’amministrazione Bush.

In concomitanza all’attivazione della base, il termine containment viene evocato esplicitamente da un funzionario del ministero degli esteri russo, il quale afferma che in questo modo gli Stati Uniti stanno vanificando gli sforzi per migliorare le relazioni tra Mosca e la NATO.

L’Ammiraglio Vladimir Komoyedov definisce il sito di difesa missilistico una vera e propria minaccia alla sicurezza russa. Non al 50% o al 100% ma al 10.000 %. L’ambasciatore russo presso la NATO Alexander Grushko si dichiara non convinto delle spiegazioni ufficiali NATO,

mentre Dmitry Peskov, portavoce di Putin, ha  fatto sapere che Mosca si sta già preparando a prendere le misure necessarie per “assicurare il necessario livello di sicurezza in Russia” ed ha promesso ritorsioni.

All’indomani dell’attivazione del sito rumeno, i lavori di costruzione sono iniziati come previsto in Polonia, a Redzikowo, dove un sito ABM dotato di tecnologia AEGIS BMD 5.1 e di missili SM- 3 sarà completamente attivato entro il 2018, a coronamento della linea di difesa proposta ormai originariamente un decennio fa.

I funzionari americani del resto mantengono il riserbo sull’eventualità di una possibile riconfigurazione degli scudi e di un loro possibile utilizzo in un eventuale conflitto contro la Russia.

D’altra parte, l’intelligence statunitense è convinta che la Russia violi il trattato che vieta alle due potenze di sviluppare e dispiegare in Europa missili balistici e da crociera basati a terra a medio raggio, con una portata compresa tra i 500 ed i 5.500 chilometri.

Dal punto di vista russo invece l’attivazione della base è vista anche come una violazione dello spirito del Trattato INF (Intermediate Range Nuclear Forces) firmato nel 1987 tra Washington e Mosca e che – ricordiamo – pose fine alla vicenda degli euromissili, ovvero missili nucleari a raggio intermedio installati sia da USA e URSS sul territorio europeo.

In realtà uno dei possibili scenari va in direzione della violazione del trattato stesso da entrambe le parti, e non solo del suo spirito.

Recentemente Mosca ha insistito più volte sulla necessità di giungere ad un accordo vincolante sui progetti antimissile statunitensi in Europa ma Washington ha finora rifiutato l’idea di sedersi al tavolo negoziale, nonostante ribadisca gli sforzi per tenere aperti i canali diplomatici con Putin.

Il Direttore del Dipartimento di controllo e non proliferazione delle armi del ministero degli esteri Mikhail Ulyanov definisce l’iniziativa di aprire la base NATO/USA in Romania come un grave errore capace di minare la stabilità strategica.

Come dire: punto di rottura di un equilibrio implicito che si era instaurato tra un containment ancora prettamente politico e la sua accettabilità dal punto di vista della strategia di sicurezza del Cremlino.

La base missilistica con il suo sistema di lancio verticale Mk-41 uguali a quelli imbarcati sulle unità Aegis della Us Navy, potrebbe essere usata per lanciare missili da crociera e ciò costituirebbe la prima vera e propria violazione dell’INF, come denunciato da Mosca.

Dalla base rumena si potrebbe colpire, nel più disastroso degli scenari, la residenza di Putin a Sochi, mentre quella in Polonia potrebbe arrivare a colpire direttamente Mosca.

In sostanza, la pericolosità della base statunitense in Romania risiede nel fatto che essa può essere utilizzata sia per la difesa antimissile che per distruggere obiettivi vitali strategici anche impiegando missili con carica nucleare. Mosca si dichiara quindi pronta a prendere misure per mantenere la “parità strategica”.

L’espressione, che evoca inevitabilmente il concetto di corsa agli armamenti e di rafforzamento del potenziale strategico offensivo, era stata utilizzata da Putin già un anno fa in occasione di una lunga intervista con il Corriere della Sera.

Ma ora che la minaccia è stata concretizzata, il Cremlino teme che la nuova base possa dare la possibilità all’Alleanza Atlantica di mettere in atto un primo attacco nucleare senza dover impiegare missili balistici intercontinentali.

La sindrome dell’accerchiamento è sostenuta dalla convinzione che anche lo statunitense PGS (Prompt Global Strike Systems) potrebbe essere usato contro la Russia.

Queste serie minacce richiedono quindi dal punto di vista di Mosca un qualche tipo di massive response.

Si stanno discutendo le possibilità di dipiegare i missili balistici a medio raggio Iskander nell’enclave di Kaliningrad e in Crimea per tenere sotto tiro le basi in Polonia e Romania peraltro alla portata anche dei missili da crociera imbarcati sulle navi.

Foto AP, Cremlino, Marina Russa e US Navy

Mappa: RFE/RL

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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