LE ARMI DALL’UCRAINA PER IL MERCATO NERO EUROPEO
Prima il “golpe” delle forze filo Occidentali, poi oltre due anni di “guerra per procura” fra Nato e Russia che ha sconvolto il Paese, distrutto praticamente tutte le regioni orientali, aumentato a dismisura il potere delle frange estremiste e della criminalità. In un contesto in cui Stati Uniti e alleati europei forniscono armi e mezzi a Kiev per potenziarne le forze armate che fronteggiano i filo-russi del Donbass.
Come ha dichiarato Michael Carpenter, vice assistente del Segretario alla Difesa statunitense (responsabile per Russia, Ucraina e Eurasia), l’Ucraina ha ricevuto oltre 600 milioni di materiale bellico da parte di Washington, che si è anche dedicata all’addestramento di reparti delle Forze Armate e della Guardia Nazionale, allo scopo di incrementarne l’efficienza dopo che i “volontari” filo-Mosca avevano messo in seria difficoltà le truppe regolari inviate a riconquistare Lugansk e Donetsk.
L’arrivo di ingenti quantitativi di armi provenienti da occidente che si aggiungono a quelle preseni negli anmpi depositio ucraini, e il perdurare dello stato di guerra hanno anche favorito lo sviluppo di un redditizio mercato nero lungo il confine fra Ucraina e Romania.
Come ha riportato Sky News britannica,approfittando dello scarso controllo, nonché della concreta difficoltà per Bucarest di monitorare la vasta e boscosa area orientale del Paese, la mafia locale è riuscita ad organizzare un vero e proprio traffico di materiale d’armamento.
Degli inviati sul posto, inoltre, hanno incontrato direttamente una delle gang impegnate nello smercio, i cui membri non si sono fatti troppi problemi a mostrare il “catalogo” dei fucili e dei mitragliatori acquistabili, nonché il relativo munizionamento, e ad ammettere che per loro è assolutamente indifferente chi siano i compratori e quali attività essi svolgano.
In aggiunta, i contrabbandieri hanno anche confermato che l’Europa occidentale rappresenta il loro mercato principale, seguito dal Medio Oriente.
Sempre secondo le informazioni fornite da Sky, il prodotto più venduto è l’AK 47, il cui prezzo si aggira sui 1700 Euro, ma è possibile anche acquistare fucili di precisione austriaci Steyr da tiratore scelto a circa 3.000 Euro (nelle foto online, però, vengono immortalate solo carabine da caccia), nonché altri fucili di diverse marche.
Per i compratori più esigenti la gang rumena ha dichiarato anche di essere in grado di reperire, grazie agli ottimi rapporti con altri venditori, armi pesanti, granate, mine e lanciarazzi tipo RPG.
Lo scoop dell’emittente britannica è particolarmente importante perché dimostra sia che gli sforzi di Kiev per impedire che vi siano furti di materiale militare hanno scarso successo, sia che la criminalità organizzata è in grado di trasportare questo genere di beni all’interno dell’Area Schengen, creando paradossalmente concorrenza allo storicamente florido mercato balcanico.
L’Associated Press ha pubblicato un interessante reportage sul contrabbando di armi sorto a Kiev e gestito da ex militari o miliziani di estrema destra. Il 6 agosto scorso, ad esempio, un inviato dell’agenzia di stampa newyorkese è entrato in contatto con un venditore locale (ex membro di Pravij Sektor), che gli ha offerto una pistola Tokarev a 120 dollari o, in alternativa, un AK47 a 400 dollari. Vista l’ovvia riluttanza dell’interlocutore, l’ucraino ha rilanciato, affermando di potersi procurare anche dei lanciarazzi e delle armi pesanti.
Il giornalista di AP è riuscito anche a farsi raccontare più nel dettaglio il funzionamento del mercato nero locale, venendo a sapere che nell’est del Paese il prezzo delle pistole è sceso a circa 20 dollari l’una e che, secondo le stime dell’Associazione dei Possessori di Armi, attualmente i cittadini ucraini dispongono di oltre 5 milioni di armi non denunciate.
Alla luce dei dati sopra riportati è facile ipotizzare che una parte importante della responsabilità dell’esplosione del fenomeno vada attribuita ai quadri intermedi dell’Esercito e ai richiamati al fronte che, come accaduto in seguito alla caduta dell’URSS, cercano di sopperire alle scarse paghe vendendo il materiale in dotazione ai propri reparti.
A conferma di questo aspetto, sempre l’AP ha raccolto la testimonianza di un ex-combattente, che ha dichiarato che tutte le persone come lui mobilitate per sei mesi e inviate a combattere senza addestramento o paga, al momento di fare ritorno a casa hanno portato con sé almeno due o tre armi, che rappresentavano per loro l’unica possibilità di avere qualche introito extra per mantenere le famiglie.
Considerando che lo stipendio di un militare si aggira sui 300 dollari mensili è ragionevole supporre che lo stesso principio possa valere anche per coloro i quali hanno firmato un regolare contratto al momento dell’arruolamento.
Oltre a ciò, va anche sottolineato che il forte coinvolgimento di gruppi paramilitari sponsorizzati dall’estero o da magnati locali ha permesso la nascita di interi reparti pesantemente armati che non rispondono al Governo centrale ma solo ai propri finanziatori.
Una situazione particolarmente allarmante anche perché non vi sono informazioni precise su quali gruppi mediorientali possano sfruttiare la situazione per diversificare la provenienza geografica dei propri fornitori.
Oltre a ciò, l’Europa non sembra attualmente impegnata a contrastare adeguatamente il fenomeno e, come già evidenziato nei mesi scorsi, la battaglia condotta contro i legali possessori di armi da fuoco dimostra che Bruxelles è più preoccupata delle armi legali dei suoi cittadini che dei traffici di armi da guerra gestiti dalle mafie dell’Est Europa.
È necessario pertanto che vengano prese misure per rafforzare i controlli ai confini con l’Ucraina e aiutare la polizia locale a intensificare i controlli che, a detta degli stessi ufficiali di Kiev, non sono sufficienti ad arrestare il fenomeno.
Foto Skynews, AP e Valentina Cominetti
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.