NUOVA “CAMPAGNA DI RUSSIA”. CUI PRODEST?

Oddio: 140 soldati italiani saranno schierati (a rotazione con altre nazioni) in Lettonia.
No… non oggi, ma nella primavera del 2017 nell’ambito di un’attività di rassicurazione NATO ai Paesi Baltici .
Da un punto di vista militare mi sembra che si tratti di evento totalmente insignificante.

I nostri soldati non andranno certo combattere! Il loro ruolo sarà puramente simbolico e di natura squisitamente politico–diplomatica: dimostrare la coesione dell’Alleanza e rassicurare gli Stati Baltici e (di riflesso) la Polonia della disponibilità dell’Alleanza a intervenire militarmente per difenderne i confini (il fatto che ci sia bisogno di una dimostrazione visibile potrebbe anche indicare che i dubbi sulla  coesione dell’Alleanza ci sono, eccome).

L’entità del contributo è così irrisoria che non potrà avere (a mio modestissimo avviso) neanche ricadute positive reali nel settore addestrativo.

Si tratta di un problema squisitamente politico e non militare.
Da un punto di vista formale si tratta di un compito perfettamente in linea con la missione principale e storica dell’Alleanza Atlantica: la difesa collettiva.

Nessun problema allora? Mah … non ne sarei così sicuro.
Intanto, per meglio capire come tale “simbolico” impegno possa essere percepito dal russo generico medio, può essere utile ricordare che in Lettonia, a fronte del 62% di popolazione di etnia lettone, ve n’è oltre il 30% di etnia russa e bielorussa, la cui naturalizzazione è resa decisamente ardua dalle autorità lettoni (in primis viene richiesta la conoscenza del lettone).

Più rilevante, invece, è che se lo schieramento di soldati NATO in Lettonia può essere percepito (a torto o a ragione, non importa) dalla Russia come una provocazione, non fa alcuna differenza se i militari italiani siano 2.000, 140 o zero. La “provocazione” viene percepita come portata avanti dalla NATO nel suo complesso.

È ben noto che la NATO decida esclusivamente all’unanimità. Pertanto, tutti i paesi membri sono corresponsabili dell’iniziativa (inclusa l’Islanda che notoriamente non dispone di Forze Armate proprie).

Ne consegue che ben poco importa se sotto la bandiera dell’Alleanza in Lettonia ci siano o no soldati italiani. In effetti, anche un solo governo poteva fermare l’iniziativa, se fosse stato contrario, in relazione alle modalità d’intervento o alla contingenza diplomatica internazionale in cui avrebbe luogo questo dispiegamento di forze (a mio avviso un po’ demodé).

Sia ben chiaro: lo schieramento “show the flag” avrebbe potuto comunque svilupparsi sulla base di accordi bilaterali tra gli USA e i singoli paesi interessati della “nuova Europa”, come la definì George  W. Bush.
Avremmo però marcato la nostra obiezione a manifestazioni di limitata efficacia militare reale ma potenzialmente foriere di innalzamenti della tensione con la Russia, che (a mio modestissimo avviso) potrebbero essere utile agli USA, ma non all’Italia.

Al riguardo, alcuni scettici insinuano che per obiettare, in ambito internazionale, occorre saper sostenere apertamente le proprie ragioni.

Più facile limitarsi a “non rompere il silenzio” quando le decisioni vengono assunte con la procedura del “silenzio assenso” o pronunciare un semplice “I agree”. Personalmente, però, ritengo tale visione ingenerosa e ingiusta nei confronti dei nostri rappresentanti.

Se anche non si vede apparentemente l’interesse nazionale a supportare, con contingenti italiani nei Baltici, iniziative pseudo muscolari da “articolo 5” che ci riportano a tempi precedenti agli incontri Reagan – Gorbaciov, ritengo che sicuramente la nostra diplomazia abbia chiesto e ottenuto (come logica contro-partita) dai paesi del Nord-Europa e dell’Est-Europa altrettanto visibili sforzi da parte loro in settori che sono invece sensibili per noi italiani (quali la collaborazione nel settore dell’immigrazione, la stabilizzazione della Libia e la lotta al fondamentalismo islamico, o almeno una collegiale pressione in ambito EU affinché la Commissione guardi con un occhio più benevolo alla manovra finanziaria che in questi giorni viene sottoposta a Bruxelles).

Vedremo … sperando che i fatti, come al solito, non demoliscano le mie pie  illusioni (in effetti, quando leggo che il Ministro Alfano, secondo l’AGI, avrebbe dichiarato in relazione all’immigrazione che “l’Europa ci ha tirato un bidone”, qualche dubbio sorge anche a un ottimista come me).

Nel caso specifico della Lettonia, si tratta di schieramento ripetutamente sollecitato dai Paesi Baltici e dalla Polonia (in primis) con il supporto di tutti gli ex del Patto di Varsavia, recentemente entrati a far parte della NATO, dove hanno portato anche un certo comprensibile livore anti-russo.

Schieramento sicuramente in linea con la missione della “difesa collettiva”, ma che, purtroppo, che sembra rispondere soprattutto ad esigenze prettamente statunitensi relative al loro confronto bipolare con la Russia.

Fonti ufficiali italiane hanno dichiarato che noi comunque siamo nei Baltici da anni per le operazioni di Air Policing.

L’affermazione mi sembra, però, fuori luogo. Non metterei sullo stesso piano l’attività di Air Policing (controllo e difesa dello spazio aereo) che viene da anni fornito dalla NATO a tutte quelle nazioni che non dispongono in proprio di assetti aerei idonei e che ha una ragion d’essere sia nell’integrazione dei singoli sistemi di difesa dello spazio aereo nazionale in ambito Alleanza sia nell’opportunità di evitare che piccole nazioni recentemente indipendenti debbano investire ingenti risorse per dotarsi di sistemi costosissimi.

Di tale attività (condotta dalla NATO già da una decina di anni) hanno beneficiato, oltre alle tre repubbliche Baltiche, l’Islanda, l’Albania e la Slovenia.

Certamente la percezione politico-diplomatica di tale attività (protratta nel tempo e non limitata ai Baltici) non può apparire particolarmente ostile nei confronti della Russia. Diverso è il caso di uno schieramento “preventivo” in un paese con una consistente minoranza russofona e in un periodo di vertiginoso riacutizzarsi della tensione USA – Russia.

Purtroppo, una qualsiasi discussione sulla valenza di tale schieramento viene falsato da interpretazioni a puri fini di politica di bottega interna, che tendono a manipolare “ad usum delphini” ben più serie e durature problematiche internazionali.
In Italia, in relazione al prossimo referendum su Renzi (scusate il lapsus, sulla riforma costituzionale) e negli USA in relazione allo scontro presidenziale Clinton-Trump, dove entrambi i contendenti sembrano mettere a rischio in maniera spregiudicata i rapporti degli USA con la Russia.

Una seria valutazione della problematica, a mio avviso, dovrebbe esulare dai numeri di militari impegnati (fattore insignificante) così come dai riflessi elettorali a brevissima scadenza.

Occorre tener conto della percezione generale dell’intervento nell’attuale contesto geo-strategico.
È sotto gli occhi di tutti che i rapporti tra USA e Russia stiano divenendo sempre più tesi.

La Siria, come ha evidenziato recentemente il presidente Assad (e come scritto su AD molto più modestamente dal sottoscritto), è diventata uno dei principali terreni di scontro tra USA e Russia.

La Russia di Putin sta progressivamente incrementando la sua influenza anche nei confronti di Turchia, Egitto e Libia.

L’annessione della Crimea ha gettato nel panico le cancellerie occidentali che hanno risposto con sanzioni di dubbio valore economico, ma certamente controproducenti politicamente (l’esperienza delle sanzioni emanate dalla Società delle Nazioni nei confronti dell’Italia fascista non ci ha veramente insegnato niente?).

In questo scorcio di seconda presidenza che chiude otto anni in cui certo non si può dire che la politica estera statunitense sia stata assertiva (pensiamo al balbettio in merito all’Afghanistan, con continue dichiarazioni di date di ritiro, regolarmente smentite, e senza mai un reale impegno politico nel paese) lascia perplessi questo puntiglio e questa improvvisa suscettibilità dell’amministrazione Obama. Non è chiaro se voglia essere il canto del cigno di un’amministrazione che in politica estere non sembra aver brillato molto (eppure dopo George W. Bush non sarebbe stato difficile fare bella figura) oppure se sia una posizione dettata dall’esigenza di sostenere Hillary Clinton nel suo duello con Donald Trump.

In Medio Oriente gli USA continuano a perdere terreno nei confronti della Russia.

Inoltre, in Europa è innegabile che la percezione della minaccia russa da parte dei Paesi Baltici, della Polonia e dei Paesi Scandinavi sia ben diversa di quella che abbiamo noi mediterranei.

Insistere sulla questione ucraina, accondiscendere a richieste di visibile supporto militare dai paesi baltici, sono tutte misure che sicuramente giovano agli USA in questo confronto con la Russia, ma giovano anche a noi?

Per inciso, anche in merito all’autodeterminazione dei popoli in relazione a caratterizzazioni etniche, occorre rilevare che sembrano applicarsi due pesi e due misure (se il Kosovo a maggioranza albanese si può staccare dalla Serbia è difficile spiegare ad un russo perche la porzione serba del Kosovo, a nord dell’Ibar, o la Repubblica Srpska di Bosnia non possano riunirsi alla Serbia o perché la Crimea, in gran parte russofona, non possa essere annessa alla Russia).

Lo schieramento, mi si dirà, ci è stato chiesto dalla NATO non dagli USA.

È vero. Allora ricordiamoci che nella NATO ognuno dei 28 paesi membri ha la stessa dignità (se sa farla valere) e non esiste un paese che possa imporre agli altri le proprie decisioni se questi non concordano.

Ricordiamoci che l’obiezione franco-tedesca ha fatto sì che nel 2003 la NATO non intervenisse in quanto tale in Iraq e le nazioni che hanno voluto seguire gli USA, come l’Italia, lo hanno fatto in seno ad una “coalition of the willing”.

Peraltro, quando i paesi membri concordano, se ne assumono individualmente le responsabilità di fronte a paesi terzi (in questo caso la Russia).

Non sto’ dicendo che i nostri soldati non dovrebbero andare in Lettonia né che ci debbano andare.

Non so, ovviamente, quali contropartite il nostro governo abbia chiesto in altri campi per farsi ricompensare per la solidarietà dimostrata. Immagino che ci siano e siano rilevanti.

Voglio solo dire che prima di mandare anche solo un paio di soldati in qualche paese straniero per missioni “simboliche”, perché lo ha chiesto qualcuno, è opportuno che ne vengano valutate le implicazioni di secondo e terzo tempo per il nostro paese.

Se ci prestiamo ad essere strumenti di un’escalation di tensione che è solo funzionale a USA e Russia, dobbiamo esserne consapevoli e aver ben valutato le implicazioni negative a fronte di certe contropartite che possiamo ottenere.

Foto: EPA, AP, Reuters, AFP, Difesa.it, RT, Cremlino, Nato e Getty Images

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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