La componente subacquea della Marina Sudcoreana
Parlare dell’evoluzione della componente subacquea della Republic Of Korea Navy (ROKN) significa dover in qualche modo partire dalla singolare considerazione in base alla quale, nell’ambito del complessivo processo di potenziamento di tale Marina, i suoi sviluppi finiscano con l’essere in qualche modo oscurati da quanto succede per i programmi relativi alle unità di superficie. I cacciatorpediniere KDX, le fregate FFX, o la grande unità anfibia Dokdo (con le sue possibili evoluzioni future), rappresentano infatti degli elementi particolarmente appariscenti, tali da testimoniare la parallela (e per certi versi impressionante) evoluzione della Marina di Seoul da un lato e dell’industria del Paese dall’altro.
Eppure, nonostante questi ultimi aspetti siano d’indubbio interesse, quanto sta succedendo (per così dire) sotto la superficie del mare è, per certi versi, ancora più interessante. Nel giro di un numero piuttosto ridotto di anni, la Corea del Sud è stata infatti in grado di allestire non solo una flotta di unità quantitativamente e qualitativamente di rilievo ma, di più, è anche riuscita oramai ad acquisire quelle competenze tecnologiche che nei prossimi anni le consentiranno (dopo una stagione di produzioni su licenza) di sviluppare in maniera sempre più autonoma i propri nuovi progetti.
I primi passi: i “Midget” delle classi Dolgorae e SX-756/K
Occorre dire che la scelta della ROKN di avviare il proprio percorso, e si era nella seconda metà degli anni 80, nel campo delle unità subacquee proprio con questo tipo di battelli risponde in realtà ad almeno un paio buone ragioni.
In parte perché la stessa Marina Sudcoreana avvertiva sempre di più il bisogno di addestrare le proprie unità di superficie nel campo dell’ASW (Anti-Submarine Warfare) laddove questi piccoli sottomarini erano nel frattempo diventato uno dei sistemi più insidiosi tra quelli a disposizione dell’arsenale del Paese al tempo stesso fratello e nemico: la Corea del Nord. Riprodotti infatti in decine di esemplari (di diversi modelli, talvolta di dimensioni in realtà superiori ai classici limiti di dislocamento dei “mini-sottomarini”), questi battelli sono stati, e lo sono ancora oggi, impiegati per l’infiltrazione/esfiltrazione di team di sabotatori, per l’interdizione di punti di passaggio obbligati, per l’eventuale posa di mine ma anche per l’attacco a navi avversarie; così come tristemente avvenuto nel caso dell’affondamento della corvetta Cheonan. Dunque una minaccia tanto particolare quanto reale, tale comunque da costringere la ROKN ad affrontarla con decisione. …
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.