Manutenzione dell’F-35: Cameri resta al palo
Assegnate nel 2014 all’Italia le riparazioni, manutenzioni, revisioni e aggiornamenti (MRO&U in sigla) iniziali delle strutture degli F-35 europei e mediterranei, e alla Turchia le stesse attività sui motori, il 7 novembre scorso il Pentagono ha deciso anche chi farà che cosa al di fuori degli Stati Uniti per le innumerevoli componenti del “sistema aeroplano”, compreso l’ALIS, l’infrastruttura logistica integrata. Il lavoro commissionato per quelle che possono definirsi le parti più “nobili” dell’aereo da attacco di Lockheed Martin, riguarda per ora soltanto 65 componenti su 774, l’8 per cento del totale; per i restanti 709 il Dipartimento della Difesa deciderà fra due o tre anni.
I Paesi designati sono la Gran Bretagna, che si è vista assegnare lavoro su 48 dei 65 componenti, l’Olanda, con 14, e l’Australia, con 3. I tre paesi garantiranno l’efficienza dei 65 elementi del “sistema” per tutte le (per ora) 11 flotte non-USA del Joint Strike Fighter nel quinquennio 2021-2025. Fino al 2021 basteranno le aziende statunitensi a coprire ogni necessità per tutti, a cominciare ovviamente dalle tre forze armate nazionali.
Dopo il 2025, si procederà in termini di “regioni”, quella europeo-mediterranea (Danimarca, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda e Turchia come partner, più Israele come cliente “Foreign Military Sales”) e quella del Pacifico (Australia come partner, e Sud Corea e Giappone come acquirenti FMS). Per la prima, provvederà ancora la Gran Bretagna per 51 dei primi 65 componenti, e l’Olanda con gli stessi 14, mentre per la regione del Pacifico l’Australia se ne vedrà affidare 64 e la Corea uno.
“Divide et impera”
Quello che appare subito chiaro è che da qui a quando gli Americani stabiliranno a chi andrà il 92 per cento rimanente di lavoro, si scatenerà una lotta senza pari fra tutti i paesi utilizzatori del Joint Strike Fighter per accaparrarsi più commesse possibile. Sempre che la nuova stagione neo-protezionistica annunciata da Donald Trump non metta in discussione, almeno nel lungo periodo, i fondamenti stessi della globalizzazione delle forniture (“supply chain”) sulla quale poggiano i maggiori programmi aeronautici degli Stati Uniti.
Nella sua nota di novembre il DoD americano afferma che queste prime assegnazioni di lavoro extra strutture e motore non “precludono in futuro l’accesso a queste attività anche ai paesi designati per le MRO&U di cellula e motore”. Sul fronte europeo, comunque, la competizione per le nuove e verosimilmente più lucrose e tecnologicamente vantaggiose lavorazioni potrebbe contribuire a minare la già barcollante unità di intenti delle varie industrie nazionali come presupposto alla agognata Difesa comune dell’Unione Europea (il “divide et impera” non passerà mai di moda). E’ nell’ordine delle cose che le nuove assegnazioni in prima battuta non riguarderanno tanto i singoli Paesi – partner o FMS – quanto le varie società aerospaziali che avendo collaborato fattivamente allo sviluppo dei componenti, sperano di portare a casa (con l’aiuto determinante delle proprie autorità governative) lavoro MRO&U ad alta remunerabilità, con l’aggiunta di nuovi preziosi posti di lavoro.
I britannici si faranno tutto in casa
Spinto anche dalla necessità di conservare la massima sovranità possibile sul “sistema”, fra i partecipanti del programma s’è fatto largo (anche per controbilanciare l’assegnazione della FACO europea all’Italia) l’unico partner di primo livello, la Gran Bretagna, che della cellula dell’F-35 ha progettato e fornisce per tutti la sezione di coda, gli impennaggi verticali e orizzontali, le sezioni esterne ripiegabili della versione da portaerei e i portelli dell’ugello di scarico del motore per quella STOVL. Grazie alla sussidiaria americana, la britannica BAE Systems ha potuto occuparsi anche dello sviluppo e della produzione di parti fondamentali della dotazione elettronica e avionica, dal sistema di guerra elettronica al Vehicle Management Computer a componenti primarie per i comandi di volo, la comunicazione, navigazione e identificazione mentre Rolls-Royce si è dedicata alla parte “vertical lift”, il cuore dell’impianto propulsivo dello STOVL F-35B.
Col lavoro assegnatole a novembre, Londra può gettare le basi per una crescita nell’MRO&U che altri partner europei faticheranno a contrastare. Già dal 2018 su una ex base della RAF nel Galles settentrionale, Sealand, sarà operativo un nuovo complesso industriale costituito dalla Defence Electronics and Components Agency, da BAE Systems e dalla americana Northrop Grumman, che ha sviluppato e produce la gran parte dell’avionica e dei sistemi elettronici di bordo del Lightning II. L’accordo con quest’ultima è assolutamente strategico, per i Britannici significa poter lavorare sul suo avanzato radar APG-81, assicurando l’efficienza ed eventualmente anche l’upgrade di centinaia di questi apparati – un business e un’opportunità tecnologica che anni fa l’amministratore delegato dell’allora Selex Galileo sperava potesse andare appannaggio della società italiana.
Ma i Britannici non si accontenteranno del ruolo di hub europeo per le attività di manutenzione e upgrade dell’avionica e quant’altro (circuiti idraulici, seggiolini eiettbaili, ecc). Sulla base aerea che schiererà le prime aliquote della loro futura flotta di JSF, a Marham (contea di Norfolk), stanno sorgendo impianti e installazioni per un valore di quasi 200 milioni di sterline per l’addestramento, il sostegno logistico e per attività di manutenzione della cellula di portata tale da richiedere impianti di ri-verniciatura e di verifica della Low Observability.
Gli stessi che ci sono a Cameri. Dove, andrà ribadito, al momento sono previsti lavori di “heavy maintenance”, cioè revisioni generali ed eventuali interventi strutturali. A Marham la Royal Air Force e la Royal Navy eseguiranno la manutenzione ordinaria dei loro F-35B utilizzando impianti che sulla scorta delle precedenti decisioni di Washington, potranno anche affiancare quelli italiani per la stessa heavy maintenance nel caso questi ultimi non potessero soddisfare tutte le richieste.
Dalla possibilità di estendere le lavorazioni anche alle revisioni strutturali alla pretesa di condurle “tout court” per la propria flotta di F-35 e – abbastanza verosimilmente – anche per quella della Norvegia (con cui l’anno scorso Londra ha sottoscritto un accordo di collaborazione nel sostegno logistico e l’addestramento), togliendo in questo modo due “clienti” importanti a Cameri, il passo è breve oltre che tutto sommato naturale (e si vedrà a chi l’US Air Force Europe affiderà le lavorazioni MRO&U per i 48 F-35A che schiererà su un’altra base RAF, Lakenheat).
Storicamente l’aeronautica militare di Sua Maestà non ha mai delegato a terzi la gestione tecnica e il controllo dell’efficienza dei propri aerei da combattimento, ed è poco credibile che si risolva a farlo ora con il JSF. Prescindendo da “antipatie”, gelosie industriali e/o sempre possibili attriti diplomatici – che certo la Brexit non contribuirà a scongiurare – mandando i loro caccia oltre Manica i militari britannici vedrebbero compromessa una parte decisiva della sovranità operativa per motivi squisitamente tecnici: tocca a chi esegue le manutenzioni più “pesanti” stabilire eventuali limitazioni all’inviluppo complessivo di impiego (a cominciare da quello di volo) per preservare la vita delle strutture.
Allo stesso modo Londra difficilmente manderà i motori dei suoi F-35 in Turchia per le manutenzioni maggiori, in ossequio a quanto stabilito nel 2014. La Turchia sta negoziando con Mosca e Pechino l’acquisto di sistemi d’arma strategici con i quali paradossalmente gli F-35 europei e la stessa NATO, di cui Ankara fa parte, un giorno potrebbero confrontarsi (si parla addirittura del sistema missilistico russo superficie-aria S-400). E’ prevedibile che gli Inglesi preferiscano l’Olanda, “second source” (come Marham lo è per Cameri) per le specifiche attività di MRO&U sul propulsore, oltre che assegnataria da novembre come la Gran Bretagna di altro lavoro MRO&U.
A Cameri le manutenzioni sulla cellula dal 2018
In entrambe le ipotesi – lavorazioni in casa per l’aereo e in Olanda per il motore, utilizzando da subito impianti “di rincalzo” a quelli principali italiani e turchi – i Britannici stravolgerebbero in qualche modo la base degli accordi fin qui resi ufficiali sugli assegnamenti delle commesse di MRO&U, finendo per godere di un maggior favore da parte degli Americani. Vedremo come andrà a finire.
Nel frattempo gli impianti piemontesi dovranno essere pronti a iniziare le loro attività manutentive sulle – ribadiamo – sole strutture degli F-35 già dal 2018. Si tratta indubbiamente del lavoro meno pagante sotto ogni punto di vista di tutto quello richiesto per mantenere in efficienza negli anni un avanzatissimo “sistema di sistemi” qual è il Joint Strike Fighter. Alla luce dei fatti, non si vede come per lunghi anni la Difesa abbia potuto sbandierare Cameri come unico “hub europeo per l’efficienza e il sostegno” di 600 aeroplani, che in realtà con le attuali prospettive sono la metà (che resta comunque una quantità ragguardevole).
Leonardo-Finmeccanica a Cameri ha già i suoi grattacapi, non ultimo il disagio che serpeggia tra i suoi tecnici a causa della esternalizzazione a società di consulenza di varie attività di ingegneria di produzione. Aziende che impongono costi complessivi per lo più pari a quelli interni (a cominciare da quello orario) e drenano prezioso skill tecnologico alla più grande industria aeronautica nazionale. Quella che una volta si chiamava Alenia Aermacchi si risolverà in definitiva a eseguire sul JSF i consueti lavori di “lattoneria”, secondo una definizione non nostra ma dello stesso capo di Leonardo, l’ingegner Mauro Moretti. Il quale due anni fa dichiarò di aspettarsi in aggiunta alla “lattoneria” un “coinvolgimento di Finmeccanica anche su altre componenti di qualità dell’aereo, come l’avionica e l’elettronica, che (…) produrrebbe ulteriori importanti benefici in termini di posti di lavoro, di ricerca e innovazione”.
Siamo sempre fermi agli “auspici”
Così non è. La data del 2018 ha poi scarso significato. Le 5 stazioni di manutenzione a fianco delle 11 per allineamento sub-assiemi del velivolo e assemblaggio/allestimento finale previste dal progetto FACO, cominceranno a lavorare solo dopo che i velivoli consegnati all’Aeronautica e alla Marina avranno accumulato un certo numero di ore di volo (almeno 450-500 per la prima ispezione maggiore), ossia, dato anche il rallentamento delle consegne di velivoli nuovi, fra almeno tre anni. Tanto Leonardo dovrà aspettare per cominciare a vedere qualcosa della reale profittabilità degli impianti di Cameri anticipata a suo tempo al Parlamento dal predecessore di Moretti, Alessandro Pansa, e promessa dalla Difesa nel momento – era il 2008 – di chiedere alla politica il via libera alla costruzione della FACO.
L’Italia assemblerà anche una trentina di F-35A dell’Olanda, è vero, ma solo a partire dall’inverno 2018-2019, il che vuol dire che le prime manutenzioni “pesanti” per gli F-35 di Amsterdam partiranno ancora più in là. Intanto sono stati completati i primi sei esemplari italiani: 4 sono e resteranno negli USA, mentre la cerimonia per l’arrivo ad Amendola dei primi 2 velivoli operativi, fissato secondo fonti locali interpellate da Analisi Difesa per lunedì 12 dicembre, secondo le stesse fonti sarebbe stata spostata un po’ più in là come possibile (ancorché singolare) effetto del terremoto politico seguito al voto referendario di domenica 4 dicembre.
La FACO di Cameri sta ora ultimando ulteriori 2 velivoli del lotto a basso rateo LRIP-8 e lavorando su altri 2 del LRIP-9, mentre il contratto Pentagono-Lockheed Martin per il LRIP-10 (ancora solo 2 aerei per l’Italia) dato per firmato il 23 novembre, in realtà riguardava solo il rituale anticipo al costruttore (per 1,3 miliardi di dollari, sui previsti totali 7,2).
Nulla di concreto per ora per gli impianti italiani per ulteriori commesse da parte degli altri utilizzatori europei e mediterranei: la Danimarca non ha ancora fatto sapere dove farà assemblare e manutenere i suoi 27 F-35A, Israele si farà tutto in casa, e la Turchia, partner sempre meno europeo, potrebbe finire per far fare tutto negli States.
Quanto alla Norvegia, che secondo i piani dovrà cominciare a ricevere 6 aerei all’anno già dal 2017, l’esplorazione preventiva di un possibile accordo con la FACO/MRO&U italiana non ha ancora avuto un seguito concreto. Le logiche industriali non consentono però di ridurre la già bassa soglia di lavoro sulle stazioni di assemblaggio novaresi, in attesa della commessa olandese e dato il rallentamento degli ordini italiani. Gli impianti dovranno/dovrebbero tuttavia continuare a produrre, eventualmente anche assemblando velivoli destinati ad altri Paesi qualora Roma dovesse continuare a rallentare gli ordini.
Smaltito il grosso degli assemblaggi, il progetto degli impianti in provincia di Novara – illustrato nei dettagli da un documento della Difesa del 2013 – prevede la progressiva trasformazione di parte e poi di tutte le 11 stazioni di allineamento/assemblaggio in altrettanti impianti MRO&U, con l’idea di utilizzarle tutte (11 più 5) per queste attività. Nel caso non bastassero ancora, nelle immense aree dell’arsenale piemontese si potrebbe trovare lo spazio per ulteriori 8 impianti.
Non è chiaro a quale configurazione delle attività MRO&U l’ingegner Pansa si riferisse, ma è incontestabile che là dove nel documento di tre anni fa si affermava che “tutti gli F-35 che operano nell’area europea/mediterranea sono potenziali clienti” degli impianti di Cameri, si faceva riferimento a semplici ipotesi. Così come i 6.700 nuovi posti di lavoro creati da quell’ipotetico hub reclamizzati tutt’ora nella sezione “Italy” dal sito ufficiale dell’F-35, ripresi “copia e incolla” qualche settimana fa spacciandoli per “verità” assoluta da un nuovo quotidiano italiano.
Foto: Alenia Aermacchi (Leonardo-Finmeccanica), La Stampa e Difesa.it
Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli
Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.