Pechino accetterà la sfida di Trump sulla corsa al riarmo?

Quest’anno la Cina aumenterà il bilancio delle Forze armate “di circa il 7%”, vigilando sulle “intromissioni esterne” nelle sue dispute territoriali, frase che delinea un riferimento alla politica statunitense di sostegno ai Paesi alleati nel Mar Cinese Meridionale e Orientale.

È quanto ha dichiarato la portavoce Fu Ying, in una conferenza stampa che ha anticipato l’Assemblea nazionale del popolo in cui ha anche precisato che il futuro delle spese militari della Cina dipenderà da ciò che gli Stati Uniti faranno nella regione.

Pechino sta attuando la militarizzazione di alcune isole e atolli, fino a pianificarvi l’installazione di rampe di lancio per missili terra-aria e afferma di voler difendere la sua sovranità e salvaguardare la libertà di navigazione nella zona benché la militarizzazione susciti timori e critiche dagli altri Paesi della regione, che rivendicano anche loro la sovranità su alcune delle isole. Fra essi vi sono Vietnam, Filippine, Malaysia, Brunei, Taiwan che vedono nella presenza militare degli Stati Uniti una garanzia contro i soprusi della Cina.

Pur con un incremento in trend calante (+ 10,1% nel 2015, + 7,6% l’anno scorso  e + 6,7% quest’anno) le spese militari cinesi hanno raggiunto nel 2017 la cifra record di oltre mille miliardi di yuan, pari a 145 miliardi di dollari. Cifra che risente della svalutazione della valuta cinese e del fatto che non tutte le spese militari sono assegnate al Ministero della Difesa. Considerato che nel 2016 la Cina ha speso nel settore militare 191,8 miliardi di dollari (fonte IHS Markit) quest’anno l’ammontare supererà i 200 miliardi al valore monetario dell’anno scorso.

“Il presidente Usa Donald Trump ha prospettato una crescita del 10% delle spese militari nel suo Paese, la tensione sta portando a un’escalation militare di tutti i Paesi della regione” e “aumentare le capacità della Cina aiuterà a mantenere la pace e la stabilità nella regione, piuttosto che il contrario” ha detto la portavoce che ha poi sottolineato come per la Difesa la Cina spenda l’1,3% del Pil contro oltre il 3 per cento degli Usa che premono sui partner Nato per destinarvi il 2%.

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Fu Ying ha spiegato che la Cina chiede “una soluzione pacifica delle dispute territoriali attraverso il dialogo e la consultazione ma “allo stesso tempo abbiamo bisogno di salvaguardare la nostra sovranità, i nostri interessi e i nostri diritti e in particolare abbiamo bisogno di vigilare contro l’intromissione di nazioni esterne nelle dispute”.

L’incremento delle spese militari cinesi di quest’anno è in linea con quello del recete passato. Fino a due anni fa l’incremento era del 10-12% annuo ma la crisi economica e la flessione del PIL lo hanno ridotto a circa il 7% benchè vi siano forti pressioni affinché la Cina aumenti in modo più marcato i fiondi per la difesa.

Fu ha ribadito che le forze militari cinesi hanno lo scopo di “pura difesa” costituendo una forza di stabilizzazione dell’Asia invece che una minaccia. “Il gap della nostra capacità rispetto agli Usa è enorme, ma lo sviluppo e la costruzione delle nostre forze armate continuerà in base alla necessità di rispettare i bisogni di Difesa della nostra sovranità e sicurezza nazionali”.

A margine della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, che si tiene quasi in contemporanea con l’Assemblea nazionale del popolo, un generale in pensione, Wang Hongguang (uno dei più ascoltati analisti militari cinesi noto per le sue posizioni da “falco” nei confronti di Stati Uniti e Taiwan), ha dichiarato che “siccome il bilancio militare degli Usa è aumentato del 10%, anche noi abbiamo il dovere di garantire incrementi a due cifre intorno al 12 per cento.

Analisi Difesa valuta che l’obiettivo di Trump sia di indurre la Cina a una corsa al riarmo che non potrà economicamente e socialmente sostenere, specie in caso di forte flessione dell’export (lo stesso schema adottato da Ronald Reagan con l’Unione Sovietica negli anni’80). L’impressione è che a Pechino il dibattito sulla spesa militare sia improntato ad accettare la sfida facendo quindi “il gioco di Trump”.

Il futuro della sicurezza in Asia è in gran parte legato alle “intenzioni strategiche” degli Usa e non della Cina, ha concluso Fu, sostenendo che il vero punto che merita un attento esame è capire se Washington “perseguirà una sicurezza comune o una sicurezza esclusiva”.

(con fonte AP, Asianews e Ansa)

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