Operazioni navali e NGO
Alcuni giorni fa, in un articolo su questa testata affermavo che da parte del governo italiano era stato perlomeno miope invitare a Roma, il giorno dopo l’incontro di Parigi, solo al-Sarraj e non Haftar, il quale invece proprio con l’incontro di Parigi aveva ricevuto (anche in virtù della presenza dell’inviato speciale dell’ONU Ghassan Salamé) il riconoscimento politico internazionale quale uno dei due interlocutori ufficiali per il futuro della Libia.
L’incontro ha di fatto rinforzato a posizione internazionale di Haftar e indebolito quella di al-Sarraj e concludevo osservando che occorreva meditare sui magri risultati della nostra politica delle “mezze misure” e del “basso profilo”.
Non potevo, però, immaginare la serie indegna di figuracce messe insieme dopo l’altisonante annuncio di una nostra operazione navale nelle acque territoriali libiche. Figuracce, smentite e distinguo che forse avrebbero reso persino preferibile non fare niente!
Ovviamente, non appena il leader libico è tornato a Tripoli, i contesti e gli obiettivi della cosiddetta “operazione” navale italiana sono stati drasticamente ridimensionati dallo stesso al-Sarraj, che non è certo un novello Attilio Regolo (“pacta sunt servanda”) e la cui posizione politica è assolutamente debole ed evanescente anche all’interno del proprio esecutivo.
Si tratta, però, di cose che sapevamo o avremmo dovuto sapere bene anche prima di sbandierare l’operazione navale (sempre ammesso che possa essere definita “operazione” l’invio di due navi nel che, come ha dichiarato il Ministero della Difesa, saranno impiegate nelle aree dove i libici chiederanno aiuto, quindi, in pratica, on call da parte dei libici). E noi? Come al solito, abbiamo abbozzato!
Prevedibilmente, Haftar, che a Roma non è stato invitato o che (se lo era stato) non vi era andato, non avrebbe mai potuto accettare quell’accordo raggiunto dal suo rivale con una potenza europea che gli era stata sempre abbastanza ostile (anche se ho utilizzato il temine “potenza” mi riferivo all’Italia!)
Ovvio quindi che ora minacci ritorsioni, che non prenderei troppo sotto gamba. Non certo per le capacità offensive di Haftar o per il suo reale interesse a colpirci, ma in relazione allo tsunami che produrrebbe nei palazzi romani anche un attacco simbolico contro una delle nostre navi, anch’esse in “missione simbolica”.
Pur muovendosi con i piedi di piombo, il ministro degli Interni Marco Minniti , la cui competenza è indubbia e sembrerebbe apprezzata anche da gran parte dell’opposizione, ha redatto un articolato piano per tentare di regolamentare e monitorare le attività al momento totalmente incontrollate delle varie organizzazioni non governative dedite al trasporto di migranti attraverso il Mediterraneo.
In molti pensavamo che fosse un buon passo, anche se decisamente insufficiente!
Poi sono iniziati all’interno dello stesso governo i numerosi distinguo e il defilarsi di rappresentanti di spicco dell’esecutivo, dal viceministro degli Esteri, Mario Giro (in merito all’attività della Guardia Costiera libica tendente a riportare i migranti in Libia), al Ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio (in relazione ad un’eventuale chiusura dei porti italiani alle ONG non collaborative).
Ovviamente, ancora una volta, facciamo la voce grossa e subito dopo dobbiamo rimangiarci quanto minacciato!
A questo punto, probabilmente, sarebbe stato meglio non fare dichiarazioni (che si tratti di avvio di operazioni navali o di sia pur blande sanzioni nei confronti di ONG non collaborative), visto che regolarmente dobbiamo ritrattare o ridimensionare quanto annunciato.
Nel primo caso, avevamo negoziato un accordo con chi non era evidentemente in grado di garantirne l’attuazione (il debole al-Sarraj), nel secondo, prima ancora delle proteste delle nazioni delle ONG eventualmente “disturbate” dal nostro Ministero degli Interni, sono stati rappresentanti dello stesso governo che ne hanno minato la credibilità di riuscire a porre qualche regola. Le motivazioni (di natura etica o di natura elettorale) sono poco rilevanti.
Di fatto, il nostro governo appare ancora una volta propenso a minacciare senza alcuna reale capacità politica di dar seguito a quanto minacciato. Pulcinella, come al solito, docet. Presumo che in Nord Africa, nelle sedi delle Ong, ma anche in più di una capitale europea si rida di noi.
Boutros Boutros Ghali (Segretario Generale dell’ONU dal ’92 al ’96 e promotore di “An Agenda for Peace”), che certo non era un guerrafondaio, quando il Presidente Clinton dispose il ritiro delle forze USA che operavano su mandato ONU in Somalia, si lamentò pubblicamente dichiarando tra l’altro abbastanza seccato: “diplomacy without strength will not be regarded as serious.“ (“la diplomazia senza la forza non potrà essere considerata una cosa seria”- International Herald Tribune 20/11/1993).
Ciò vale ovviamente per l’intera politica estera e di sicurezza di una nazione. La forza, però, non è solo la forza militare, ma è anche la determinazione politica e la capacità (aldilà degli interessi partitici) a mantenere una rotta (quale che sia) chiara. Una tale determinazione politica da parte italiana non è certo apparsa evidente in relazione agli ultimi eventi riguardanti la Libia e il contrasto del traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo.
Foto: Ansa, MSF, AFP e Reuters
Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli
Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.