Migranti, trafficanti e ong: i libici continuano a impartirci lezioni
da Il Mattino del 9 novembre (titolo originale “Il lato oscuro dell’accoglienza”)
Domenica scorsa Il Mattino aveva evidenziato l’ambiguità dell’attuale politica italiana nei confronti dell’immigrazione illegale dalla Libia parlando di una vera e propria “lotteria”.
Roma sostiene, addestra e finanzia la Guardia costiera libica affinchè blocchi i migranti illegali riportandoli indietro per affidarli a centri di detenzione e campi profughi da dove le agenzie dell’Onu provvederanno a rimpatriarli. Al tempo stesso però le navi italiane, della flotta Ue (Operazione Sophia) e delle Ong soccorrono gommoni e barconi che riescono a sfuggire alle motovedette di Tripoli e ne trasferiscono gli occupanti in Italia.
Per un migrante illegale, che ha corso molti rischi e speso migliaia di euro per cercare di raggiungere l’Europa, la differenza è sostanziale come è apparso drammaticamente evidente nella vicenda che ha visto lunedì scorso (video) i migranti raccolti da una motovedetta libica buttarsi in mare (5 i morti, incluso un bambino) per raggiungere la nave di una ong tedesca.
“Quando i migranti hanno visto la nave della ong si sono tuffati in acqua perché preferiscono essere salvati da loro per essere portati in Europa invece di essere salvati da noi che li riportiamo in Libia” ha dichiarato a Il Mattino l’ammiraglio Ayub Kasem (leggi l’intervista), comandante della Marina libica, minacciando di arrestare gli equipaggi delle navi “se le Ong continueranno a creare problemi”.
In questa vicenda sono almeno tre gli aspetti di rilievo. Il primo è che l’accoglienza ai migranti illegali praticata dall’Italia, che non ha chiuso la rotta libica ma dichiara solo di voler “governare i flussi”, continua a essere responsabile di molti morti in mare.
Il secondo è che ancora una volta sono le autorità libiche, di uno Stato che di fatto non esiste, a dare lezioni all’Italia la cui posizione sulla questione delle migrazioni illegali è talmente ambigua e imbarazzante dall’aver perso ogni credibilità.
Il terzo aspetto riguarda il permanere delle navi di alcune Ong nella gestione di un problema migratorio che investe direttamente la sicurezza nazionale degli Stati, Italia e Libia in primis, e che dovrebbe quindi essere gestito esclusivamente dagli apparati militari e di sicurezza pubblici, non da organizzazioni private che hanno interessi diversi e spesso divergenti da quelli degli Stati. Dopo quanto emerso circa il ruolo delle Ong e le inchieste giudiziarie in corso è inaccettabile che la Guardia Costiera italiana mantenga in atto convenzioni con le navi di queste organizzazioni.
A spiegare tale ambiguità non può bastare la più volte emersa rivalità tra il ministero dei Trasporti (che gestisce la Guardia Costiera), e quelli di Interno e Difesa a meno che non si dica chiaramente che il governo italiano non ha una politica unitaria né un vertice autorevole ma è diviso in feudi e orticelli che rispondono a personalismi e si dividono la gestione della cosa pubblica. Per liberare una volta per tutte il Canale di Sicilia dalle ambigue e ingombranti ong basterebbe vietare loro l’accesso ai porti italiani per sbarcarvi i migranti raccolti in mare.
Un’iniziativa necessaria per ridare credibilità alla lotta al traffico illegale di esseri umani e rinsaldare l’accordo con Tripoli, ma che da sola non risolverebbe l’ambiguità della politica di Italia e Ue sulla “rotta libica”.
Anche le navi militari italiane delle flotte europee, in misura anche maggiore a quanto fanno quelle delle Ong, sbarcano nei nostri porti i migranti sfuggiti alle motovedette libiche (che operano fino a 100 miglia dalla costa africana nell’ambito della loro area di ricerca e soccorso) contribuendo alla “lotteria del migrante” e a mettere a rischio vite umane.
E’ infatti del tutto evidente che se le navi militari consegnassero alla Guardia costiera di Tripoli i migranti soccorsi per farli riportare in Libia e rimpatriarli nei Paesi d’origine, i flussi dalla Libia cesserebbero in pochi giorni e a breve anche i flussi che dal Sahel portano migranti nella nostra ex colonia.
Del resto uno sforzo per rimpatriare i 120 mila migranti che secondo le stime si trovano in Tripolitania in attesa di salpare sarebbe alla portata dell’Europa e delle Nazioni Unite tenuto conto che nel 2011, durante la guerra civile libica, oltre un milione di lavoratori africani e asiatici fuggiti in Tunisia vennero riportati nei Paesi di origine da un ponte aereo gestito dall’Onu.
La certezza dell’impossibilità di raggiungere l’Europa rappresenta l’unico deterrente in grado di far cessare le partenze provocare il crollo del giro d’affari dei trafficanti azzerando così il numero sempre più elevato di morti in mare e nella traversata del deserto libico.
Certo crollerebbe anche il business del soccorso e dell’accoglienza, una vera e propria “industria” che in Italia assorbe 4/5 miliardi all’anno di stanziamenti pubblici coinvolgendo ong, cooperative ed enti strettamente legati alla politica e che costituiscono un serbatoio di voti rilevante per l’attuale maggioranza di governo.
La necessità di ridare un minimo di credibilità all’Italia impone però di scegliere tra interessi di lobby e interessi nazionali.
Foto: Guardia Costiera Libica, AFP, Reuters, CNN
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.