Themis: verso un cambio della policy italiana nella Ricerca e Soccorso

Quando, fra alcuni decenni, si scriverà la storia d’Italia di questi anni e dei cambiamenti sociali che l’hanno contraddistinta, un rilevante capitolo dovrà essere dedicata ai massicci arrivi di immigrati via mare iniziati con l’Operazione Mare Nostrum e poi proseguiti, sino ad oggi, con le operazioni Ue Triton ed EunavforMed.

Ci si chiederà allora chi e perché decise di assegnare al nostro Paese il ruolo di unico hub mediterraneo di arrivo dei migranti salvati in mare, anche al di fuori dell’area si soccorso (Sar) di competenza italiana, in prossimità della Libia ed all’interno di quella di responsabilità maltese

Perplessità furono espresse da subito, al momento del lancio di Mare Nostrum nell’ottobre 2013 durante il Governo Monti (Ministro della Difesa Mauro, e Ministro Esteri Bonino), da Gianandrea Gaiani il quale notò  che ”se il compito è solo quello di soccorrere in mare e portare in Italia gli immigrati africani allora la missione rischia di essere senza fine perché la presenza navale italiana incoraggerà i flussi migratori e ingigantirà il business delle organizzazioni criminali” (Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2013).

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Sta di fatto che la missione, nonostante le sue indubbie finalità umanitarie, fu bollata come “pull factor” dalla Gran Bretagna. Ciononostante, quando al suo termine essa fu rimpiazzata dall’operazione Triton, non si ebbe nessun dubbio nel continuare a designare l’Italia come unico Place of Safety (Pos), vale a dire, secondo la regolamentazione IMO, luogo sicuro “nel quale siano garantiti assistenza, cure, cibo e protezione dei diritti personali, in vista del raggiungimento della meta finale” ove sbarcare i migranti salvati.

Non è chiaro chi lo decise allora senza coinvolgere il Parlamento in una scelta che  già oggi è considerata critica per la storia del nostro Paese, stante le più di 600.000 persone sbarcate in Italia nel quadriennio 2014-2017.

Ma la ex Ministro Bonino ha sentito il bisogno di dichiarare, in proposito che “all’inizio non ci siamo resi conto che era un problema strutturale e non di una sola estate. E ci siamo fatti male da soli” (Fatto Quotidiano, 5.7.2017).

imagesCerto che ad avvantaggiarsene furono, oltre a Malta i cui porti grazie a noi furono blindati, tutti i partner europei che poterono mostrare la loro solidarietà imbarcando migranti sulkle loro navi militari trasportandoli in Italia.

E’ poi storia recente la crisi migratoria del luglio 2017 in cui, difronte ai quotidiani massicci arrivi nei nostri porti di persone salvate si pensò di ipotizzarne, come effetto annuncio, la chiusura e si decise di frenare, con un rigoroso Codice di condotta, l’anarchico attivismo delle Ong che, addirittura sotto il controllo della nostra Guardia Costiera, operavano a ridosso delle coste libiche con attività in alcuni casi etichettate come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dalle Procure siciliane.

In quel contesto maturò la nostra richiesta a Frontex di modificare i piani di Triton, stabilendo tra i Paesi partecipanti forme di condivisione dell’onere di essere il Pos.

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Dopo varie resistenze l’Agenzia ha ora concordato con noi e gli altri partner una soluzione di compromesso: sbarcheranno in Italia solo le persone salvate nell’area delle 24 miglia.

All’esterno di essa, verso l’alto mare, varranno invece le regole stabilite dall’IMO che assegnano la competenza a definire il Pos al Paese responsabile della zona SAR. Lo stesso dovrebbe avvenire per l’operazione EunavforMed Sophia.

Da qualche giorno non è perciò in vigore la sorveglianza di Frontex nell’area di 138 miglia dalla Sicilia parzialmente sovrapposta alla zona Sar maltese, affidata all’Italia sia per il coordinamento dei soccorsi che per l’accoglienza in propri Pos. Si ritorna così al passato ed alle dispute sui limiti delle due zone e sulla scelta del Pos che Valletta  pretende di identificare aprioristicamente nel porto più vicino al luogo di soccorso cioè a dire gli approdi tunisini o di Lampedusa.

Purtroppo l’Ue ha già escluso che i migranti possano essere trasportati proprio in Paesi extraeuropei come la Tunisia. Stando così le cose, è verosimile che il MRCC della nostra Guardia costiera continuerà a ricevere le chiamate di soccorso provenienti da tutto il Mediterraneo Centrale e, di fronte al rifiuto o all’impossibilità di far intervenire altri Paesi, opererà al solito come se si trattasse della zona Sar italiana secondo il modus operandi instaurato nel 2013 con Mare Nostrum.

(FILES) This file photo taken on November 05, 2016 shows migrants and refugees on a rubber boat waiting to be evacuated during a rescue operation by the crew of the Topaz Responder, a rescue ship run by Maltese NGO "Moas" and the Red Cross, on November 5, 2016 off the coast of Libya. Italian Foreign Minister Angelino Alfano on April 29, 2017 said he "agreed 100 percent" with a prosecutor Carmelo Zuccaro who has repeatedly suggested charity boats rescuing migrants in the Mediterranean are colluding with traffickers in Libya. / AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO

E’ dunque possibile considerare positivamente il lancio di Themis, ma solo a condizione di ritenerlo il primo passo di un difficile cammino a ritroso: si tratta di svincolare il nostro impegno nel Sar dall’onere di essere l’unico Paese di sbarco dei migranti salvati da Unità Ue, Ong e mercantili, operanti sotto il nostro coordinamento.

Come è stato detto, a proposito dei grandi sforzi da noi profusi nel Sar,  “…le istituzioni coinvolte, a partire dalla Guardia Costiera, non potevano fare di meglio, in assenza di obiettivi chiari, che investire sulle attività che davano maggior lustro e cioè proprio il soccorso ai migranti. Ma creando così un involontario effetto distorsivo che ha –di fatto se non nelle intenzioni- incentivato i viaggi migratori” (Limes, 6, 2017, 32).

Un cambio di strategia –o, meglio, la definizione di una strategia di protezione degli interessi nazionali- si impone ora che la Ue ha percepito la nostra indisponibilità a continuare ad essere l’unico paese di accoglienza dei migranti salvati. Segnali positivi si intravedono dietro la proposta del Parlamento europeo di modificare il sistema di Dublino, svincolando il porto di primo approdo dalla competenza a concedere protezione internazionale.

La gestione del Sar appare, a questa stregua, non solo un’attività tecnica, ma anche un fattore di rilevanza politica che richiede un cambio di passo con decisioni coraggiose nel solco della tradizione marittima italiana incentrata sulla cooperazione tra tutti i Paesi rivieraschi del Mediterraneo

 

Foto: Marina Militare, EPA e AFP

 

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E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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