Iran, il grande freddo tra l’Europa e Trump

da Il Mattino del 12 maggio 2018

Non hanno tardato a manifestarsi le prime conseguenze della decisione statunitense di uscire dall’accordo sul programma nucleare iraniano noto come Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa).

Almeno tre gli sviluppi di consistente rilievo strategico. Il primo è ben visibile sui campi di battaglia in Siria dove le incursioni israeliane contro le postazioni iraniane da cui sarebbero partiti razzi contro il Golan hanno raggiunto un’intensità che non si riscontrava dall’ultima guerra arabo-israeliana, quella dello Yom Kippur, nel 1973.

L’Operazione Scacco Matto, le incursioni israeliane contro le forze di Teheran in Siria, hanno permesso di colpire diversi depositi e postazioni anche se la difesa aerea siriana si è dimostrata ancora una volta efficace nell’abbattere una parte degli ordigni israeliani.

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Il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha inviato al presidente della Siria Bashar Assad a “buttare fuori gli iraniani dalla Siria” mentre Benjamin Netanyahu con l’uso della forza incassa un successo mediatico importante per il suo partito (il Likud) e la sua popolarità, in netto calo in seguito allo scandalo che lo vede sospettato di corruzione.

Secondo un sondaggio del quotidiano Maariv due israeliani su tre si dicono soddisfatti del modo con cui il premier ha gestito la crisi, il 54 per cento degli intervistati ritiene che un conflitto più ampio con l’Iran sia vicino e concorda con Netanyahu che è preferibile per Israele che esso avvenga adesso e non dopo che l’Iran abbia completato una rete di basi permanenti in Siria.

La seconda conseguenza della decisione di Trump, “ispirata” palesemente dallo Stato ebraico, riguarda l’annuncio con cui l’Iran si dice pronto a riprendere le attività di arricchimento dell’uranio “su scala industriale” e “senza alcuna restrizione”.

La nota, rilanciata su Twitter dal ministro degli esteri della Repubblica islamica, Mohammad Javad Zarif, conferma i timori che il ritiro di Washington renda di fatto inutile il Jcpoa, aprendo in tutta la regione mediorientale una nuova corsa agli armamenti, convenzionali ma anche nucleari dopo che anche i sauditi si sono detti pronti a dotarsi di armi atomiche.

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Riad dispone di missili balistici cinesi con raggio d’azione fino a 4mila chilometri, ha finanziato il programma atomico del Pakistan e non avrebbe difficoltà a ottenere da Islamabad testate missilistiche e tecnici per impiegarle.

A Teheran si respira del resto aria di guerra anche in seguito alla morte di molti militari sotto i missili israeliani in Siria. Dopo la preghiera del venerdì In migliaia hanno manifestato ieri sostegno al regime bruciando bandiere americane mentre il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, utilizzando toni autarchici, ha detto che “se gli stranieri investono in Iran accelereranno lo sviluppo del nostro settore petrolifero ma in caso contrario non moriremo”.

La ripresa dell’arricchimento dell’uranio iraniano resta per ora solo una minaccia (anche se Usa ed Israele sostengono che l’Iran porti avanti segretamente la ricerca per dotarsi di ordigni nucleari) e Teheran ha invitato gli altri paesi firmatari dell”intesa, in particolare Francia, Gran Bretagna e Germania, ad adottare misure tali da “salvaguardare l’accordo e attuare i loro impegni”.

Il terzo sviluppo determinato dalla crisi, anch’esso prevedibile ma forse non nelle dimensioni che stanno configurandosi, concerne proprio la reazione delle principali potenze europee alla decisione unilaterale di Trump.

Se su Medio Oriente e Golfo Persico i soffiano nuovi e più forti venti di guerra, le dure parole che Parigi e Berlino hanno usato contro gli Stati Uniti non si registravano dal 2003, ai tempi dell’invasione anglo-americana dell’Iraq fortemente osteggiata dai franco-tedeschi.

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Il più brusco è stato il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire (nella foto a lato), che di fronte alle sanzioni di Washington ha affermato che “l’Europa deve dotarsi di strumenti per difendere i propri interessi economici” chiedendo polemicamente: “Vogliamo essere i vassalli degli Stati Uniti che obbediscono senza fiatare? Vogliamo che gli Usa siano il gendarme economico del pianeta?”.

Gli ha fatto eco il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che allo Spiegel ha detto che “siamo pronti a dialogare e a trattare, ma se necessario anche a litigare per le nostre posizioni” sottolineando che le relazioni transatlantiche hanno già subito danni da tempo e “dobbiamo purtroppo prendere atto che da parte degli Usa non c’è’ disponibilità alcuna a prender sul serio gli argomenti degli alleati”.

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Per Angela Merkel (foto a sinistra) l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano è “un fatto deplorevole” che “danneggia la fiducia nell’ordine internazionale”. Toni morbidi che però demoliscono la credibilità della Casa Bianca ma l’aspetto più significativo è che la cancelliera ha reso noto un colloquio telefonico col presidente russo Vladimir Putin in cui i due leader hanno ribadito l’importanza di preservare l’accordo sul nucleare iraniano.

Un messaggio neppure tanto velato che la crisi sull’Iran potrebbe “allontanare” le sponde dell’Atlantico riavvicinando al tempo stesso l’Europa a Mosca, specie dopo la sempre più marcata insofferenza di molti membri Ue nei confronti delle sanzioni economiche alla Russia.

La determinazione delle potenze continentali nel tutelare gli interessi nazionali e comunitari contro l’unilateralismo degli Usa rappresenta un’occasione per dimostrare che l’Europa “esiste” come soggetto geopolitico, consentendo di valutare anche le dimensioni della crisi della Nato, accentuatasi negli ultimi anni dopo la sconfitta in Afghanistan e in seguito alla crisi ucraina.

@GianandreaGaian

Foto: AP, AFP, Teheran Times e web

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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