Migranti illegali: il decalogo di Conte per la Ue

I dieci punti della proposta italiana per affrontare su scala europea la crisi determinata dai flussi migratori illegali, presentata domenica scorsa al vertice Ue di Bruxelles dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, contiene elementi in parte già esplorati senza successo in ambito comunitario, in altri casi non risolutivi e in alcuni punti determinanti per imprimere una reale svolta all’emergenza.

Vediamoli uno ad uno.

  1. Intensificare accordi e rapporti tra Unione europea e Paesi terzi da cui partono o transitano i migranti e investire in progetti. Ad esempio la Libia e il Niger, col cui aiuto abbiamo ridotto dell’80% le partenze nel 2018.

Si tratta di una strada certo da percorrere ma nella consapevolezza che l’Africa non assomiglierà tra pochi anni alla Svizzera e che investire milioni o miliardi in quel continente non significa creare necessariamente sviluppo considerando i regimi e la corruzione endemica che caratterizzano quei Paesi. Semmai la leva degli aiuti finanziari andrebbe considerata come “bastone”, non come “carota”, per condizionare la concessione di aiuti allo stop ai flussi e ad accettare il rimpatrio dei propri connazionali giunti illegalmente in Italia e in Europa.

UYeE3vnP2. Centri di protezione internazionale nei Paesi di transito. Per valutare richieste di asilo e offrire assistenza giuridica ai migranti, anche al fine di rimpatri volontari. A questo scopo l’Ue deve lavorare con Unhcr e Oim. Perciò è urgente rifinanziare il Trust Fund Ue-Africa (che ha attualmente uno scoperto complessivo di 500milioni di euro) che incide anche su contrasto a immigrazione illegale su frontiera Libia-Niger.

I Paesi di transito dei migranti, e in particolare Libia, Tunisia e Algeria, hanno detto chiaramente di non voler accettare la presenza di hot spot o campi di accoglienza sui loro territori per non incentivare i traffici di esseri umani che arricchiscono una criminalità che costituisce un serio problema di sicurezza per quegli Stati che considerano tutti i migranti “illegali da espellere”. Sarà quindi possibile incentivare solo il rimpatrio dei migranti da questi Paesi a cura delle agenzie dell’ONU come già accade in Libia.

 

  1. Rafforzare le frontiere esterne. L’Italia sta già sostenendo missioni Ue (Eunavfor Med Sophia e Joint Operation Themis) e supportando la Guardia Costiera Libica: occorre rafforzare queste iniziative.

Un’ottima idea ma per fare cosa? Solo se queste forze coopereranno con la Guardia Costiera di Tripoli per riportare in Libia i migranti soccorsi in mare avrà un senso potenziarne le flotte che finora hanno solo contribuito a portare in Italia 750 mila clandestini dal 2013.

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  1. Superare Dublino. Nato per altri scopi, è ormai insufficiente. Solo il 7% dei migranti sono rifugiati. Senza intervenire adeguatamente rischiamo di perdere la possibilità di adottare uno strumento europeo veramente efficace. Il Sistema Comune Europeo d’Asilo oggi è fondato su un paradosso: i diritti vengono riconosciuti solo se le persone riescono a raggiungere l’Europa, poco importa a che prezzo.

Dublino è in realtà un falso problema poiché se anche tutti i Paesi Ue accettassero le quote di ripartizione esse riguarderebbero solo i migranti a cui l’Unione riconosce l’asilo. Cioè iracheni, siriani (ancora per poco, la guerra all’Isis sta terminando) ed eritrei, cioè nazionalità che rappresentano una porzione infinitesimale dei clandestini giunti in Italia per lo più dall’Africa Occidentale, dal Bangladesh e dal Pakistan. Occorre invece tornare alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che consente a chi fugge da guerre e persecuzioni di chiedere asilo dai campi dell’Onu posti al di là dei confini delle zone di guerra ma non consente di rivolgersi a criminali per attraversare illegalmente frontiere e raggiungere l’Europa.

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  1. Superare il criterio Paese di primo arrivo. Chi sbarca in Italia, sbarca in Europa. Riaffermare responsabilità-solidarietà come binomio, non come dualismo. È in gioco Schengen.

Un principio che al lato pratico vale ben poco poiché, come ha ribadito il cancelliere Angela Merkel, non si può consentire al migrante illegale di scegliere lo Stato dove venire accolto perché da un lato tutti punterebbero ai Paesi del Nord Europa che offrono un welfare più ricco e dall’altro questa iniziativa alimenterebbe ulteriori flussi migratori illegali.

 

  1. Responsabilità comune tra Stati membri sui naufraghi in mare. Non può ricadere tutto sui Paesi di primo arrivo. Superare il concetto di ‘attraversamento illegale’ per le persone soccorse in mare e portate a terra a seguito di Sar. Bisogna scindere tra porto sicuro di sbarco e Stato competente ad esaminare richieste di asilo. L’obbligo di salvataggio non può diventare obbligo di processare domande per conto di tutti.

La misura, per essere efficace, dovrebbe prevedere che i migranti illegali soccorsi in mare da imbarcazioni civili o militari di ogni nazionalità debbano essere riportati negli Stati da cui sono salpati: Libia, Tunisia, in misura minore Marocco e Algeria. Solo i respingimenti assistiti e successivi rimpatri consentiranno di chiudere le rotte dell’immigrazione illegale.

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  1. L’Unione europea deve contrastare, con iniziative comuni e non affidate solo ai singoli Stati membri, la ‘tratta di esseri umani’ e combattere le organizzazioni criminali che alimentano i traffici e le false illusioni dei migranti.

Per raggiungere questo obiettivo occorre però rifarsi al modello australiano con campagne d’informazione nei Paesi di partenza tese a scoraggiare i flussi migratori illegali abbinate allo stop di ogni forma di accoglienza per chi giunge clandestinamente in Europa e al supporto alle forze locali per sbaragliare le gang di trafficanti.

  1. Non possiamo portare tutti in Italia o Spagna. Occorrono centri di accoglienza in più paesi europei per salvaguardare i diritti di chi arriva e evitare problemi di ordine pubblico e sovraffollamento.

Aumentare i centri d’accoglienza e distribuirli in tutta Europa è impossibile per l’opposizione di molti Stati membri Ue e costituirebbe comunque una forma di accoglienza che incentiverebbe nuovi flussi invece di scoraggiarli.

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  1. Contrastare i movimenti secondari. Attuando i principi precedenti, gli spostamenti intra-europei di rifugiati sarebbero meramente marginali. Così i movimenti secondari potranno diventare oggetto di intese tecniche tra paesi maggiormente interessati.

L’accoglienza diversificata in Europa non impedirebbe a chi è stato destinato a Italia, Grecia, Spagna o Portogallo di cercare di raggiungere con ogni mezzo il Nord Europa in cerca di migliori prospettive e di un welfare più generoso.

 

  1. Ogni Stato stabilisce quote di ingresso dei migranti economici. È un principio che va rispettato, ma vanno previste adeguate contromisure finanziare rispetto agli Stati che non si offrono di accogliere rifugiati”.

E dove la mettiamo la sovranità nazionale? Il diritto ad esempio dell’Ungheria e degli altri stati del Gruppo di Visegrad (tutti democratici e con governi votati dagli elettori) di non accogliere immigrati illegali e soprattutto islamici? Nessuno Stato Ue dovrebbe accogliere migranti economici giunti illegalmente mentre le quote d’ingresso vanno riservate a migranti legali (se necessari) selezionati in base al diritto di sceglierne la provenienza privilegiando persone di cultura, etnia e religione meglio integrabili nel tessuto nazionale invece di subire i diktat dei trafficanti o di Bruxelles.

@GianandreaGaian

Fonte: Nuova Bussola Quotidiana

Foto: Marina Militare, Adnkronos, Presidenza Repubblica Francese

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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