Missione in Niger: è in gioco la nostra credibilità internazionale

L’atteso, auspicabile, necessario cambio di rotta nella politica estera italiana non implica cambiamenti della nostra collocazione internazionale, del tradizionale approccio multilaterale, di accordi sottoscritti ed alleanze, bensì va riferito ad azioni da intraprendere, ad uno spazio maggiore per le competenze, alle riforme interne delle amministrazioni, ad atteggiamenti meno subordinati, deleganti, inconcludenti che hanno colpevolmente indebolito, intaccandone la credibilità internazionale, il nostro Paese. Per andare sul concreto una delle primissime grane da risolvere per il nuovo governo sarà quella del caso Niger.

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Trattato superficialmente con ambiguità e “felpata inconsistenza diplomatica” si è riusciti a trasformare un’iniziativa positiva, finalmente frutto di una strategia di politica estera a medio termine, in un pasticcio dai contorni umilianti per l’Italia con conseguenze tali da ledere perfino la dignità delle nostre Forze Armate.

E’ forse questo uno degli aspetti prioritari su cui ci si sofferma poco per scarsa propensione alle analisi fattuali, alle lezioni apprese, ma a cui classe politica, alti dirigenti statali avrebbero dovuto invece dedicare massima considerazione nella preparazione prima e in seguito nella gestione dell’operazione fuori confine.

I fatti sono chiari, difficilmente contestabili: da mesi una quarantina di militari italiani guidati da un Generale di Brigata sono relegati sotto le tende presso l’aeroporto di Niamey, capitale del Niger, ospitati nella base statunitense, occupando il terreno del campo di pallacanestro non più fruibile dai militari a stelle e strisce, praticamente a fare nulla o quasi, in attesa di decisioni delle autorità nigerine e nostrane (responsabili del loro impiego) alfine di approntare una base logistica italiana presso lo stesso aeroporto ove sono già operative analoghe basi logistiche e di supporto francese, americana e tedesca.

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La base logistica italiana al pari delle altre forze straniere presenti in Niger, includendo anche canadesi e istruttori algerini di cui poco si parla, si rende necessaria per poter operare con formatori militari, eventuali civili nel difficile territorio a nord del Niger, da Agadez verso il confine libico.

Difficile poter immaginare, pena dover prendere atto purtroppo e chiaramente della totale irrilevanza italiana , che in tanti incontri fra le massime autorità italiane, premier del passato governo, ministri degli esteri, della difesa, interni e Presidenti della Repubblica e ministri nigerini, francesi, cancelliere Merkel, vertici UE ecc. non si sia esposto e trattato l’argomento della presenza italiana in Niger né tantomeno, considerata la notoria prudenza italiana, che non vi siano state autorizzazioni preliminari.

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Peraltro la firma di accordi di cooperazione militare con il Niger (settembre 2017), la sbandierata missione africana del ministro Angelino Alfano, in Niger per inaugurare l’apertura della nostra Ambasciata il 4 gennaio 2018, l’accordo di collaborazione nel Sahel con il presunto amico e partner francese, confermato nelle riunioni bilaterali e nei vertici UE, G5 Sahel ecc. non potevano che sancire la fattibilità della missione italiana approvata dal nostro Parlamento al pari dello stanziamento di ben 100 milioni di euro a favore del Niger considerato Paese prioritario in Africa per la cooperazione civile e militare.

La situazione di stallo, assolutamente non preventivata, sicuramente mal gestita, affrontata con scarsa conoscenza delle realtà e degli usi del Paese che ci dovrebbe ospitare, probabilmente frutto di ambiguità e finti malintesi fra italiani, francesi e nigerini, pone al nostro Paese un grave problema di credibilità, dignità e rispetto da risolvere al più presto con chiarezza lasciando da parte retoriche e ambiguità.

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A prescindere da torti e ragioni, non si possono lasciare per mesi 30, 40 ,50 o anche 10 militari italiani, comandati da un Generale di Brigata, alto grado che si giustifica solo per i contatti ad alto livello che egli dovrebbe avere e mantenere con pari grado locali e degli altri contingenti internazionali, a non fare nulla o quasi, relegati in aeroporto senza neppure uno straccio di accordo di status giuridico e operativo con il Niger.

In pratica formalmente non possono uscire dalla base…americana e girare in città. Per dei soldati di qualsivoglia contingente la situazione rappresenterebbe una grave lesione della loro dignità di militari (lo sarebbe anche per dei civili) e una mancanza di rispetto da parte dei rappresentanti politici del Paese nei loro confronti.

Avendo maturato lunghe esperienze di lavoro con i militari italiani e di altre nazioni alleate nel contesto di ricostruzioni internazionali post belliche in località estremamente difficili e complesse unite a esperienze di vita, lavoro e negoziati in paesi africani, ritengo sia giunto il momento di lanciare un forte appello per il ripristino della dignità e del rispetto dovuti al nostro Paese e ai suoi rappresentanti siano essi civili o con le stellette.

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Dignità e rispetto che vanno conquistati non solo con retoriche e formalismi bensì con azioni e atteggiamenti giusti, generosi, autorevoli, fieri, con negoziati chiari e determinati nel rispetto delle tradizioni del Paese che ci ospita ma anche pretendendo il rispetto per il nostro Paese e le nostre tradizioni. Perfino una prudente politica estera fin troppo accomodante non può derogare a tali principi basilari, essenziali per sviluppare relazioni vere e costruttive nel reciproco interesse.

Non è certo con le donazioni sanitarie e/o alimentari, effettuate peraltro con scelta poco felice subito prima e durante il periodo del Ramadan, come le 27 tonnellate fatte affluire fra aprile e maggio in Niger con voli militari finanziati da fondi della cooperazione italiana, che si migliorano situazioni compromesse.

Si rischia perfino di ledere ulteriormente l’altrui e la nostra dignità. In effetti le donazioni sono state accolte con fredda cortesia e dall’assenza di alte autorità locali (si intende ministri di primo piano) all’aeroporto, ignorate o quasi dalla stampa locale in genere propensa ad ampi articoli e titoloni. Non si poteva evitare con conoscenza di causa una scelta così poco felice date le circostanze?

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Meglio richiamare i nostri militari al più presto e far intendere con atti concreti a nigerini e francesi il nostro malcontento. Con schiena dritta, tralasciando finalmente felpati e inconcludenti passi diplomatici, sostituendoli con franche discussioni e passi conseguenti.

Anche in diplomazia ci si potrebbe far ascoltare e rispettare se si agisse con chiara, rispettosa determinazione e non si creassero situazioni di debolezza negoziale percepite dagli interlocutori come ambigue, frutto di eccessiva prudenza a volte fuori luogo e contesto.

Se i militari di altri Paesi, francesi, americani, canadesi e perfino i tedeschi in Mali, agiscono in Niger anche con truppe speciali accompagnando, formando e combattendo con le truppe locali, possono gli ultimi arrivati designarsi un ruolo esclusivo, forse non concordato con tutti gli interlocutori, di formatori in aree dove anche la formazione non escluderebbe affatto possibili situazioni di attentati e combattimento contro agguerriti jihadisti?

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I militari italiani sono apprezzati, non inferiori a nessuno e ben consapevoli del loro ruolo, adeguati ad affrontare qualsiasi circostanza. O si inviano in missione, con tutte le prudenze e le autorizzazioni necessarie, e ci si accorda per perseguire un nostro obiettivo nazionale ed europeo quale la lotta contro il jihadismo e i traffici di esseri umani adeguandosi tuttavia anche ad altri alleati e al contesto Paese, oppure è preferibile bloccare l’immigrazione illegale nel Mediterraneo, legittimamente, incrementando parallelamente le misure di riaccompagnamento dei migranti in territorio libico, nigerino ecc.

Le crisi asimmetriche regionali, le battaglie nel deserto non consentono più la disinformazione dell’opinione pubblica né tantomeno formule ambigue che ci espongono a svantaggi superiori ai presunti vantaggi, indeboliscono ulteriormente le nostre posizioni, umiliano le Forze Armate, permettono ad altri (Francia, GB ad esempio) di occuparsi anche dei nostri interessi prioritari per escluderci da aree a noi favorevoli.

Una sfida da raccogliere per un governo che vuole essere “di cambiamento”, meno delegante e maggiormente impegnato anche nella difesa visibile e concreta dell’interesse nazionale e del ruolo italiano in ambito internazionale.

Foto: AP, Ministero Difesa italiano, CNN e US Army

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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