Ogni Stato deciderà il destino dei propri foreign fighters
Il destino di circa 700 combattenti stranieri detenuti in Siria dalle Forze democratiche siriane (FDS), coalizione di arabo-curde sostenuta da USA e Francia, sarà deciso a discrezione da ciascun Paese a cui foreign fighter appartengono.
Lo ha detto il 6 dicembre il ministro della Difesa canadese Harjit Sajjan, dopo una riunione internazionale tenuta a Chelsea, nei pressi di Ottawa, che ha visto impegnati i ministri o alti funzionari della Difesa dei 13 Paesi membri della Coalizione internazionale in Iraq e in Siria guidata dagli Stati Uniti.
Tra i partecipanti al vertice, Australia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti. Dunque nessun accordo globale. Il ministro canadese ha aggiunto che nel frattempo “sono stati fatti molti investimenti nei centri di detenzione per assicurarsi che siano conformi ai nostri standard (occidentali)”.
Le FDS detengono miliziani dell’Isis di 40 nazionalità diverse secondo il segretario alla Difesa americano Jim Mattis. Alcuni Stati membri della Coalizione non vogliono rimpatriare i combattenti a causa delle difficoltà nel raccogliere prove in una zona di guerra e per evitare la radicalizzazione delle loro prigioni.
Ma Washington sollecita i Paesi di origine a rimpatriare i propri foreign fighter, non ritenendo le SDF, organizzazione non statale, in grado di detenere queste persone a lungo termine.
Il regime siriano e i suoi alleati contestano la legittimità del controllo effettivo della Coalizione sui territori della Siria nord orientale a maggioranza curda. Gli occidentali replicano di voler “stabilizzare” il nord dell’Iraq per evitare il risorgere dell’Isis nella regione e continuare a combattere le informazioni jihadiste e le reti di propaganda.
Durante i preparativi dell’incontro di Ottawa “le delegazioni degli altri Paesi sono state abbastanza categoriche: continuiamo la lotta contro l’IS – ha osservato Mattis – C’ è ancora del lavoro da fare”.
(con fonte AFP)
Foto: Stato Islamico e US DoD
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