Verso l’interdizione delle acque territoriali alle Ong?

Si parla di blocco delle acque territoriali italiane alle navi di Ong trasportanti migranti imbarcati in zone di mare avanti alla Libia. E si immagina, stando a quel che riportano i media, di emanare con decretazione d’urgenza un provvedimento che “inibisca l’ingresso delle Ong nelle acque territoriali per ordine pubblico”.

La misura sembra innovativa ma in realtà rappresenta solo l’attuazione della normativa della Convenzione del Diritto del Mare (CNUDM) che qualifica come pregiudizievole alla “pace, al buon ordine o sicurezza“ dello Stato costiero il transito nel mare territoriale di navi coinvolte in varie attività, compresa l’immigrazione irregolare.

Rilevante, come fonte giuridica di riferimento, è l’art. 83 del Codice della Navigazione:  “Il ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.

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In questo modo si realizzerebbe quella protezione della sicurezza delle acque territoriali italiane che  dopo la fine della Guerra Fredda, quando le navi sovietiche cercavano di violare la nostra sovranità, era divenuta sempre meno stringente.

La minaccia dei traffici illeciti può infatti assumere, via mare, varie forme: nonostante l’opinione contraria manifestata di recente da un noto ex magistrato, tra i rischi alla sicurezza marittima non può essere escluso nemmeno quello di sbarco sulle nostre coste di persone intenzionate ad entrare in clandestinità per compiere attentati.

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Tuttavia il problema non sta soltanto nella sorveglianza per evitare ingressi illegali nelle 12 miglia adiacenti alle coste, ma anche nel tipo di misure da adottare. Sembra che il dispositivo navale di controllo sarà schierato in acque internazionali per intimare alle navi con migranti dirette verso l’Italia di invertire la rotta prima di entrare nelle nostre acque territoriali; le motovedette della Guardia Costiera, di fronte al “rifiuto di obbedienza” ed all’inosservanza del provvedimento dell’Autorità, dovrebbero poi scortare le imbarcazioni fuori delle acque italiane.

Le indiscrezioni sull’emanando provvedimento si fermano qui. Corretto appare che ad occuparsi della questione siano i ministeri dei Trasporti e dell’Interno quali Amministrazioni aventi competenze in mare e quali referenti dei due Corpi delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera e Guardia di Finanza cui competono funzioni di polizia marittima.

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Al Corpo della Guardia di finanza spetta in particolare, secondo il decreto del Ministro dell’Interno del 15 agosto 2017, il comparto della “sicurezza del mare”, quale unica Forza di polizia deputata ad assicurare i servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica in ambiente marino.

Tutto bene, dunque? Certo, nella misura in cui lo Stato prende finalmente coscienza dell’importanza della sorveglianza marittima in prossimità delle coste e della necessità di contrastare minacce e provocazioni (tale è stato interpretato dal Governo il comportamento della Sea Watch 3) dando un chiaro segnale di fermezza.

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Fermo restando tale assunto, riteniamo utile riflettere sulle seguenti criticità e zone d’ombra:

  1. Bisogna essere realisti sull’efficacia di misure coercitive in mare, stanti i limiti giuridici e morali all’uso della forza in operazioni in cui siano coinvolte persone inermi ed al rispetto del divieto di respingimenti collettivi. Il drammatico “caso Sibilla” del 1997 costituisce una lezione appresa: di fronte all’incoscienza dello scafista albanese, a pagare è stato il comandante di un’unità della nostra Marina “reo” di aver applicato regole di comportamento ministeriali. Simile sorte avversa è in parte toccata alla catena di comando della Guardia di Finanza coinvolta nel trasporto verso Tripoli di migranti salvati in alto mare, in applicazione dei Protocolli Italia-Libia 2007 e 2009.
  1. Non è da escludersi che Ong, scafisti e migranti coinvolti adottino strategie per impedire il respingimento: in questo caso le unità navali potrebbero essere costrette a interventi Sar (ricerca e soccorso) e qualora venisse richiesto soccorso dovrebbero trasportare in Italia le persone salvate.

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  1. L’esecuzione di misure coercitive comporta una dimensione militare delle attività da svolgere: esse possono essere certamente affidate alla Guardia Costiera, stanti gli aspetti di tutela della vita umana. Tuttavia va considerato che il Corpo fa parte della Marina solo dal punto di vista ordinativo. Tra l’altro, Il ruolo della Marina militare in simili operazioni di contrasto non può essere sottovalutato, considerato anche che esso è riconosciuto sia dall’art. 11 della legge 189-2002 “Bossi-Fini”, sia dal discendente DM 19 giugno 2003 il quale stabilisce un dispositivo integrato di vigilanza, prevenzione e contrasto articolato su Marina, Finanza e Capitanerie;
  1. La stessa Bossi-Fini appare tuttora come uno strumento di riferimento anche se stabilisce che le navi fermate nelle acque territoriali siano sequestrate e condotte in un porto italiano. La sua valenza va verificata soprattutto nella parte (mai applicata sinora) in cui prevede siano esercitati poteri di polizia nella zona contigua. Quest’area tra le 12 e le 24 miglia dalle linee di base del mare territoriale è una sorta di zona filtro in cui la CNUDM contempla un regime di prevenzione e repressione delle violazioni alle norme sull’immigrazione.

Ben venga quindi un nuovo provvedimento incentrato sul rispetto della regolamentazione internazionale sul traffico inoffensivo, ma non dimentichiamoci delle norme nazionali già esistenti, delle implicazioni legali relative a limiti di uso della forza e degli obblighi SAR oltre al ruolo della nostra Marina basato sulle attribuzioni stabilite dal Codice dell’ordinamento militare agli artt. 111 e 115. Oltretutto, la razionalizzazione della spesa pubblica impone un impiego sinergico degli assetti navali appartenenti a tutti i comparti, Difesa compresa, che svolgono “funzioni di Guardia costiera”.

Foto:  Ansa, Sea Watch e Marina Militare

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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