Quei volontari italiani in guerre lontane
da Il Mattino del 18 marzo 2019
Idealismo, spirito d’avventura, a volte una marcata fede ideologica. Queste le caratteristiche dei volontari italiani, che hanno scelto di combattere sotto bandiere diverse dal tricolore in guerre lontane. Lorenzo Orsetti si era arruolato nelle milizie curde che combattono lo Stato Islamico e fronteggiano i turchi per fedeltà “ai miei ideali di giustizia, uguaglianza e libertà” ha scritto nel suo testamento.
Valori che dopo 13 anni di lavori “normali” nel settore della ristorazione lo avevano spinto a mollare tutto e raggiungere la Siria aderendo alla causa curda convinto “dagli ideali che la ispirano, una società più giusta e più equa, l’emancipazione della donna, la cooperazione sociale e, naturalmente, la democrazia”.
Motivazioni comuni a molti degli italiani (una dozzina almeno) e degli altri volontari stranieri che negli ultimi cinque anni si sono arruolati con i curdi iracheni e siriani.
Giovani spavaldi? Non tutti se si considera che Giovanni Asperti, il primo volontario italiano nelle milizie curde a morire in Siria, di anni ne aveva 53, era un geologo bergamasco e a casa aveva lasciato due figli di 13 e 14 anni.
Nel suo caso, a decidere di mettere in gioco la sua vita nella guerra contro l’Isis avevano contribuito forse ragioni ideologiche ereditate da una famiglia con profonde radici comuniste.
Erano invece per lo più di destra la trentina di giovani italiani che negli anni ’90 si arruolarono nelle milizie croate che si richiamavano agli ustascia per combattere i “comunisti” serbi in Krajna e in Slavonia Orientale, o la ventina (sono solo stime di massima) che più recentemente si sono divisi tra ucraini e filorussi sui fronti del Donbass.
Alcuni schierati con le forze irregolari di Kiev ideologicamente ispirate al nazismo, altri schierati invece con i secessionisti filorussi per adesione al “putinismo”, o spinti da sentimenti ostili agli Usa o a una visione della Russia come ultimo difensore dei valori cristiani.
Tra questi ultimi almeno tre hanno combattuto sul fronte di Donetsk nel 2015. I loro nomi? “Spartak”, “Arkhangel” e Luigi, dissero a un reporter che li incontrò nelle retrovie: i primi due lombardi e il terzo sardo.
“Ho perso il lavoro, non avevo altro da fare, potevo dedicarmi a fare qualcosa di utile per questa gente che, molti non lo sanno in Italia e in Europa, è vittima di crimini di guerra” riferì Luigi.
Motivazioni quasi banali che oggi rischiano di apparire pretestuose o incomprensibili in un Occidente che ha rimosso anche il concetto di guerra ma che meno di un secolo or sono inducevano ancora molti giovani e meno giovani ad arruolarsi nella Legione Straniera francese e combattere gli arabi in Marocco. Alcuni per fuggire dai creditori, altri per puro spirito d’avventura o per “diventare uomini” o per lasciarsi alle spalle le delusioni di un amore non corrisposto.
Prima di considerare pazzi o esaltati questi volontari è meglio ricordare i tanti che, spinti da valori ideologici contrapposti, presero parte alla guerra civile in Spagna tra il 1936 e il 1939, chi aderendo alle milizie anarchiche o comuniste chi alle falangi franchiste.
Anche se in tutti i paesi europei la legge punisce chi aderisce a milizie irregolari o combatte oltremare sotto diverse bandiere (indipendentemente dal fatto che ci si arruoli con i “cattivi” del Califfato o con i “buoni” curdi) occorre cautela anche nel definire questi uomini “mercenari”.
In fondo non erano tali neppure coloro che si arruolarono nella Legione Straniera, corpo militare francese che a fronte di una vita molto dura offre retribuzioni non certo competitive col mercato civile.
Come per gli oltre 30 mila “foreign fighters” che hanno militato con l’Isis o le tante migliaia che hanno combattuto per al-Qaeda, non è infatti quasi mai la paga a indurre ad arruolarsi nelle milizie irregolari. Specie gli europei e occidentali difficilmente saranno attratti da retribuzioni che nel Donbass come in Kurdistan non superano spesso i 100 euro al mese.
Molto meno delle migliaia di dollari mensili (più benefit, licenze pagate e assicurazione) percepiti dai “contractors”, ex militari che lavorano all’estero per società private statunitensi, britanniche o russe che hanno stipulato contratti diretti o mediati con i governi nazionali.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.