Il bilancio del Pentagono per l’anno fiscale 2020
Prima di entrare nel dettaglio di un bilancio della Difesa che per le sue dimensioni si presenta piuttosto complesso ma di altrettanto enorme portata, corre in qualche modo l’obbligo di fare un paio di precisazioni.
A costo infatti di fornire notizie ai più note, si evidenzia che negli Stati Uniti, il budget federale (di cui è parte quello della Difesa) non coincide con l’anno solare ma risulta uniformato a quello fiscale. Nel dettaglio, il Fiscal Year inizia l’1 di ottobre e termina il 30 settembre dell’anno successivo. Ciò spiega perché se ne cominci a parlare addirittura a marzo.
Un tema, quest’ultimo, legato alla seconda considerazione. Quanto recentemente presentato dall’Office of Management and Budget della Casa Bianca in realtà la richiesta del Presidente degli Stati Uniti in merito al bilancio della Difesa stesso. Quest’ultimo, infatti, sarà poi discusso dal Congresso americano, con la possibilità da parte sia del Senato, sia della Camera dei Rappresentati di intervenire su di esso. In questo senso, va evidenziato che il Congresso medesimo non lascia mai inalterato quanto presentato dal Presidente, intervenendo talvolta in maniera anche profonda su quanto richiesto dalla Casa Bianca (e dal Pentagono, cioè dal Department of Defense o DoD).
A ogni buon conto, è evidente che l’impianto generale non potrà certo essere stravolto. Dunque, l’analisi dei (molti e dettagliati) documenti resi pubblici ci restituisce un bilancio che, per quanto ampiamente anticipato, non ha mancato e non mancherà di far discutere; anche per i molti “punti di rottura” con il passato, determinati dalla volontà di adattare il più rapidamente possibile alle nuove sfide lo strumento militare americano.
Il bilancio 2020 nel suo complesso
Il primo elemento che emerge con chiarezza da una prima visione d’insieme non è tanto la cifra in sé (sempre e comunque “importante”) quanto, piuttosto, la sua composizione.
Nel dettaglio, le scelte operate sul Bilancio della Difesa richiesto per l’anno fiscale 2020 prevedono un ampio ricorso ai fondi stanziati per le «Overseas Contingency Operations» (OCO); infatti, dei 718,3 miliardi di dollari di previsto stanziamento per il DoD, 544,5 sono legati al cosiddetto «Base Budget», cioè quello che potremmo definire il “normale” bilancio della Difesa, mentre addirittura altri 164,6 sono quelli stanziati per le appena citate OCO. A completare il quadro, i 9,2 miliardi destinati alla voce «Emergency».
Un’autentica anomalia, nella misura in cui uno stanziamento del genere non è certo giustificato dall’attuale impegno militare americano in operazioni all’estero, certo molto ridotto rispetto al recente passato. Perché dunque questa scelta?
Tutto nasce con il “Budget Control Act”, cioè quel provvedimento varato nel 2011 e mirato a evitare il “default” sul debito USA e, al tempo stesso, imporre un più stretto controllo sulla spesa federale al fine di limitare il deficit. Tra gli altri meccanismi introdotti, anche quello del “budget cap”, cioè tetti automatici di spesa ai vari Dipartimenti, incluso quello della Difesa.
Non caso, in tutti questi anni il dibattito intorno al rispetto o meno di quei limiti è sempre stata perfino “feroce”; con il DoD (a fronte delle stesse esigenze di sicurezza degli USA nonché per effetto dei vari mutamenti geo-strategici) impegnato a chiedere maggiori fondi ma, al tempo stesso, con la necessità di rispettare vincoli destinati a garantire una certa “salute” dei conti pubblici.
Uno degli aspetti più importanti del Budget Control Act è che questo esenta alcune categorie di spese dai limiti appena accennati; e quelle relative alle “OCO” rientrano proprio tra queste. Dunque, per il 2020 la strada scelta è stata esattamente quella di recuperare risorse da qui, al fine integrare quelle mancanti nel «Base Budget»; tanto da creare al loro interno un’ulteriore differenziazione con la «OCO for Base» in aggiunta alla «OCO» per così dire “classica”.
La prima riceve così 98 dei 164 miliardi ricordati e, evidentemente, è tutta finalizzata a integrare il “bilancio base”. La seconda, invece, riceve i restanti 66 miliardi ed è più indirizzata a coprire le effettive esigenze per gli impegni all’estero; peraltro è da rilevare come anche questa somma risulti relativamente sproporzionata alle effettive esigenze derivanti dagli attuali impegni; ciò fa capire come un ulteriore parte di queste risorse sarà in realtà utilizzata per coprire altre necessità non soddisfatte dal «Base Budget».
Un altro elemento di novità (peraltro non assoluta) è la già ricordata voce «Emergency». Ufficialmente (e genericamente) essa viene indicata come necessaria per sostenere non meglio specificati interventi di ricostruzione di installazioni militari a seguito dei vari uragani succedutesi nei mesi passati; in realtà, non è certo un mistero che essa andrà a finanziare anche nuove barriere al confine del Messico.
Nel complesso dunque, emergono con chiarezza le differenze rispetto all’anno passato, per un confronto che avviene con le cifre del bilancio cosiddetto «Enacted»; dunque, quanto approvato in via definitiva dal Congresso e modificato rispetto alla «Request» del Presidente.
In questo caso, il bilancio di 685 miliardi di dollari era determinato dalla somma dei 616,1 miliardi del «Base Budget» e dai 68,9 miliardi per le “OCO”. Niente fondi «OCO for Base», niente fondi per «Emergency». Sempre in tema di confronti, quello con l’anno passato finisce dunque con il rivelare un aumento di 32 miliardi, pari a + 4,9%; un dato che rimane tale anche osservando il tasso di crescita reale (al netto dell’inflazione) che è comunque pari al 2,8%.
È peraltro da rilevare come, nonostante questi dati restituiscano un quadro sostanzialmente positivo (per quanto non del tutto ottimale per il Pentagono), l’oramai onnipresente parametro del rapporto percentuale tra le spese per la Difesa e il PIL riservi valori che rimangono ancora vicini ai minimi storici dal dopoguerra a oggi. Per il FY2020, esso si assesterà al 3,1%; non lontanissimo dal picco di ribasso raggiunto nel 1999 (2,7%). Peraltro, anche negli anni tra il 2013 e il 2016 (quelli seguiti al nuovo picco raggiunto con le guerre in Afghanistan e Iraq, con il 4,5% nel 2010) alla fine tali valori si sono rivelati piuttosto ”magri”, con medie intorno al 3%.
Senza che peraltro l’immediato futuro riservi particolari miglioramenti; anzi. Nel «Future Years Defense Program (FYDP)» collegato al bilancio 2020 e destinato a indicare l’evoluzione della spesa per i prossimi 5 anni, nonostante la continua salita fino 747 miliardi nel FY2024, tale rapporto tornerebbe a scendere per posizionarsi nuovamente sulla soglia del 2,7%.
E sempre a proposito dei prossimi anni, nel FY2021 è nuovamente previsto il ricorso allo stesso espediente adottato nel 2020, con il massiccio ricorso ai fondi OCO; dagli anni successivi invece, anche per effetto del venir meno dei «budget cap», questo tornerebbe ad assumere una sua fisonomia più normale.
Ma la fotografia d’insieme del bilancio della Difesa USA non può dirsi conclusa prima di aver ricordato un altro elemento importante; l’aggiunta di fondi provenienti da altri Dipartimenti e Agenzie Federali. Per il FY2020 si tratta di altri 32 miliardi, utili a far salire fino a un totale di 750 miliardi i fondi destinati alla National Defense. Una cifra davvero importante e che nel suo complesso conferma la crescita rispetto al FY2019, quando il suddetto totale si era fermato a 716 miliardi. Per la cronaca, la maggior parte di queste ulteriori risorse sono inserite in un apposito capitolo del Department of Energy (DoE) e hanno lo scopo di coprire le esigenze del deterrente nucleare americano.
Qualche dettaglio in più sul bilancio nel suo complesso
Rimanendo nell’ambito di un’analisi complessiva del Bilancio della Difesa, elementi interessanti giungono anche dall’approfondimento sulla ripartizione delle risorse disponibili da parte del DoD (esclusi dunque i 32 miliardi esterni al perimetro di spesa di quest’ultimo Dipartimento); sia sul fronte del «Appropriation Title» e cioè delle diverse funzioni, sia su quello dei «Military Department», cioè le diverse Forze Armate.
Il primo grafico mostra così una condizione da “ripartizione perfetta”. Il Personale pesa infatti solo per 22%, laddove diventa poi rilevante la parte legata a «Operations & Maintenance» (O&M) con il suo 41%. Un discorso a parte lo meritano le altre voci illustrate. A prima vista, infatti, il capitolo «Procurement» non appare così importante; il 20% indicato non rappresenta (per certi versi) un valore poi così strabiliante. Nel calcolo completo occorre tuttavia inserire gli aspetti legati a un’altra voce e cioè «Research, Development, Test, and Evaluation» (RDT&E). Formalmente separate, in realtà la seconda non solo alimenta le importanti attività di “Ricerca & Sviluppo” ma contribuisce pure al finanziamento (a volte anche integralmente) di tutti i più importanti programmi. Le 2 voci, più coerentemente, vanno dunque considerate insieme; facendo così emergere un dato percentuale legato a un “Investment” nel senso più ampio del termine, pari al 35% (con risorse totali di 247,4 miliardi).
Un aspetto interessante da evidenziare è che rispetto al «Budget Enacted» per il 2019, le voci Personale (da 150,7 a 155,8 miliardi) e O&M (da 278,8 a 292,7 miliardi) registrano una crescita in linea con l’espansione complessiva del Bilancio, mentre a crescere davvero molto è quella legata a «Military Constructions and Family Housing, Other» (da 11,3 a 22,5 miliardi); il «Procurement» cala leggermente (da 147,3 a 143,1 miliardi) mentre un’altra variazione importante in positivo si registra sul capitolo «RDT&E» (da 95,3 a 104,3 miliardi).
Da ultimo, un’analisi per «Military Department» che segnala una ripartizione bilanciata fra le varie FFAA, pur tenendo conto che il “Department of Navy” finanzia anche lo US Marine Corps; a essa si associa una grande importanza assegnata al «Defense-Wide», ciò per la presenza di numerosi Comandi e strutture interforze. Nel complesso, dunque, non si registrano particolari variazioni rispetto al FY2019, segno di una consolidata stabilità nella ripartizione delle risorse stesse tra le diverse componenti delle Forze Armate americane.
«Personnel»
Prima però di entrare nel dettaglio dei singoli capitoli di spesa, un breve excursus su come inquadrare il bilancio della Difesa USA per il prossimo Fiscal Year. Esso rappresenta infatti un’altra tappa di un percorso iniziato con un altro anno fiscale, quello 2017. Ogni singolo budget ha visto infatti porre l’accento su alcuni punti fondamentali, nell’ambito di un progetto impostato su più anni.
Dunque, nel FY2017 l’attenzione si è concentrata sulla soluzione a breve termine dei problemi immediati di operatività. Nell’anno successivo (FY2018), il focus è invece diventato il Personale; soprattutto in funzione dell’individuazione di alcune lacune a livello di organico. Poi, nell’anno fiscale 2019 (oltre a continuare gli sforzi sulla prontezza operativa) è stata la volta di un aumento delle risorse per incrementare la “letalità” dello strumento militare. Infine, l’anno 2020 sarà dedicato all’innovazione e alla modernizzazione per acquisire un vantaggio competitivo in tutti i domini di operazione nonché per lungo tempo; e ciò continuando a mantenere elevata l’attenzione nei confronti del Personale e dell’operatività delle Forze Armate.
Il tutto tenendo quale riferimento i principali documenti strategici: la National Security Strategy (NSS) del dicembre 2017 e la National Defense Strategy (NDS) del gennaio 2018. Senza dimenticare la Nuclear Posture Review (NPR) del febbraio 2018 e la Missile Defense Review (MDR) del gennaio 2019.
Il Personale stesso rimane dunque una delle chiavi di volta dell’azione della Casa Bianca (e del Congresso). In primo luogo, sul fronte stesso della consistenza organica, con una sua crescita in atto già da diversi anni e non ancora destinata a esaurirsi. Anzi!
Se infatti il livello di forza è attualmente pari a 1.333.285 militari, nel FY2020 crescerà fino a 1.339.500, cioè di 6.215 militari. Ma la crescita non si fermerà qui perché alla fine, tra il FY2019 e il FY2024, saranno quasi 34.000 militari in più (10.000 per lo US Army, poco più di 15.000 per la US Navy, 300 per lo US Marine Corps e quasi 8.500 per la US Air Force).
Un processo di incremento degli organici che interesserà anche la componente della Riserva (Guardia Nazionale e Riserva), con un aumento previsto di poco più di 1.500 uomini tra il FY2019 e il FY2020, fino a raggiungere le 800.800 unità; mentre nell’intero periodo considerato (2019-2024) l’aumento sarà di complessivi 5.600 militari.
In pratica, secondo l’attuale pianificazione, nel FY2024 la componente attiva (“Active Components”) salirà fino a 1.367.200 militari, quella della Riserva (“Reserve Components”) fino a 809.400. Ma l’aumento di risorse rispetto allo scorso anno fiscale (+5,1 miliardi), serve anche per finanziare un aumento medio del 3,1% sugli stipendi dei militari.
Un benessere quello del Personale in divisa che viene ricercato anche attraverso la modernizzazione e trasformazione del “Military Health System” e in numerose iniziative di sostegno alle famiglie (ad esempio con le strutture educative per i figli dei militari o con interventi nelle basi per migliorare la qualità di vita).
Certo, sullo sfondo rimangono alcuni dubbi; quelli in particolare legati alla reale possibilità di sostenere questa crescita del Personale nel corso del tempo (in relazione a saltuarie difficoltà di reclutamento) e la crescente difficoltà a mantenere gli standard fisici richiesti per tutti i militari (con conseguente rischio di espulsione; peraltro al momento contenuto.
«Operations and Maintenance»
Anche nel prossimo anno fiscale prosegue lo sforzo per incrementare la prontezza operativa dello strumento militare americano; in tutto, sono quasi 293 miliardi, cioè +13,9 miliardi sul budget autorizzato per l’anno fiscale in corso.Uno sforzo che si trasforma in un aumento di fondi destinati all’addestramento, nella manutenzione dei mezzi, dei sistemi d’arma ma anche (tema che, per particolari e specifiche ragioni, sta diventando sempre più importante) sulle infrastrutture.
Il livello di risorse stanziate nel FY2020 per lo specifico settore della prontezza operativa è pari a 124,8 miliardi, “spalmati” ovviamente fra tutti i “Services” o Forze Armate americane.
Per lo US Army, ciò significa in particolare aumentare l’impegno sull’addestramento delle “Armored Brigade Combat Teams” (ABCTs), quale riflesso di un ritorno d’interesse nei confronti della componente “pesante” dell’Esercito Americano. Per la US Navy, il lavoro è di natura più ampia, nel senso che (anche a causa di una grave catena di incidenti avvenuti recentemente) l’esigenza maggiore è di aumentare l’operatività ma anche la sicurezza nonché sostenere una flotta di dimensioni crescente. Laddove anche per lo US Marine Corps l’obiettivo è quello di aumentare, le attività addestrative delle “Marine Ground-Air Task Forces” (MAGTFs) in tutte le loro declinazioni.
Con riferimento alla US Air Force, la questione si risolve molto semplicemente in un aumento di ore di volo. Sempre in termini di ore di volo ma trasversalmente a tutte le Forze Armate, notevole lo sforzo anche per la componente aero-tattica (41,2 miliardi), con l’obiettivo di raggiungere livelli di disponibilità operativa pari ad almeno l’80%.
Ancora sul fronte dell’addestramento poi, grande enfasi è rivolta al dominio “cyber”, con un incremento delle attività sia in funzione offensiva, sia difensiva (2,6 miliardi). Aumentano inoltre le risorse per le grandi strutture nelle quali effettuare esercitazioni a fuoco; i cosiddetti “live ranges”, con un impegno ad aumentare il livello di realismo delle stesse (1,5 miliardi).
Se questo è quanto interviene direttamente sul lato “Operations”, su quello “Maintenance” gli stanziamenti previsti incrementano le attività di manutenzione a tutti i livelli, la dotazione delle parti di rispetto e delle stesse attività di supporto logistico (anche attraverso il ricorso a “contractor” privati laddove necessario).
Un settore che ha degli importanti risvolti sia sul primo capitolo di spesa analizzato («Personnel»), sia sul secondo, («Operations & Maintenance») è quello del Military Constructions, Family Housing and other.
Da un lato, infatti, la disponibilità di infrastrutture moderne garantisce essa stessa un miglioramento complessivo dell’efficienza; dall’altro, realizzare strutture e alloggi altrettanto moderni per i militari in servizio (e per le loro famiglie) assicura un miglioramento della loro qualità di vita. Considerazioni che valgono sia sul fronte delle manutenzioni di quanto esistente, sia su quello della costruzione di nuove strutture/infrastrutture.
Non a caso, i 22,5 miliardi richiesti per l’anno fiscale 2020 sono una quantità doppia rispetto a quella autorizzata nel 2019; di questa somma, 19,8 sono i miliardi destinati alle «Military Constructions», 1,3 quelli per il «Family Housing» e il resto a esigenze varie.
Tra l’altro, tale capitolo di spesa deve essere messo in relazione ai 9,2 miliardi stanziati alla voce «Emergency», Quest’ultima, infatti, è destinata (oltre che alla già ricordata realizzazione di nuove barriere al confine con il Messico) a far fronte agli ingenti costi di ricostruzione legati agli effetti degli uragani Florence e Michael dello scorso anno. In particolare a essere colpite sono state la base dei Marine di Camp Lejeune (qui si stimano costi pari a 3,5 miliardi) in occasione del primo evento, e la base aera di Tyndall nel secondo; considerando poi anche il recente allagamento di un’altra base, quella di Offutt, la US Air Force stima in quasi 5 miliardi i costi di ripristino/ricostruzione per entrambe le basi.
Procurement»
I “driver” che guidano le scelte nel campo del «Procurement» per il FY2020 sono essenzialmente 2:
- investire nei domini emergenti e cioè lo spazio e il cyber-space.
- modernizzare le capacità esistenti in quelli più tradizionali: terra, mare e cielo.
Per sostenere un simile sforzo, la somma richiesta per lo stesso 2020 è pari a 143,1 miliardi; in calo di 4,2 miliardi rispetto al FY2019. Risorse che, come già ricordato, sono integrate da quelle destinate al capitolo di spesa della Ricerca&Sviluppo o «RDT&E»; tanto che negli elenchi che seguiranno, molti sono i programmi che per l’appunto possono avere un tale sostegno economico, diverso da quello ascrivibile direttamente al «Procurement» stesso.
Per quanto riguarda la prima direttrice di sviluppo, la premessa è che i conflitti del futuro saranno combattuti sempre di più anche in questi 2 domini; che così si andranno ad aggiungere a quelli esistenti (e ben lontani dallo scomparire), aumentando il livello di complessità dei futuri campi di battaglia. Da qui nascono le 2 recenti decisioni del 2018: elevare al livello di Unified Combatant Command lo US Cyber Command (USCYBERCOM) e, soprattutto, ricreare lo US Space Command (USSPACECOM) con l’obiettivo di arrivare alla creazione della sesta Forza Armata. Dopo US Army, Navy, Air Force, Marine Corps, Coast Guard, sarebbe così il turno della US Space Force. Un processo che peraltro non appare né breve, né privo di ostacoli.
Nel complesso, gi investimenti in campo spaziale arrivano a 14,1 miliardi, che servono a finanziare:
- la creazione del Comando stesso (72,4 milioni),
- gli interventi volti a ridurre il rischio relativo al “jamming” nei confronti dei satelliti per le comunicazioni (1,1 miliardi),
- l’acquisto di un “GPS III Follow-on satellite” e relativi sistemi di terra (1.757 milioni),
- il miglioramento delle capacità dei sistemi spaziali per l’allerta precoce nei confronti dei lanci di missili e cioè il “next generation space based Overhead Persistent Infrared (OPIR) system” (1.629 milioni),
- la prosecuzione degli sforzi volti a incrementare le capacità di lancio nello spazio attraverso l’acquisto di 4 lanciatori spaziali nell’ambito del programma National Security Space Launch (1.669 milioni),
- la prosecuzione di programmi satellitari per le comunicazioni (negli ambiti “Strategic”, “Protected Tactical” e “Wideband/Narrowband”) destinati ai diversi Comandi/Forze Armate (1.112,7 milioni).
Nell’ambito del dominio cyber, le risorse messe a disposizione sono pari a 9,6 miliardi, destinate a:
- supportare operazioni cyber offensive e difensive (circa 3.700 milioni),
- intervenire su sistemi, sulle reti e sulla raccolta/gestione delle informazioni in capo al DoD per ridurre i rischi di intrusione e/o attacco (circa 5.400 milioni),
- modernizzare l’ambiente “multi-cloud” all’interno del quale opera il DoD stesso (61,9 milioni).
Ma se già l’attenzione verso i domini più recenti è segno della forte volontà di innovare, non da meno è ciò che accade in quelli che, come detto, possono essere considerati più tradizionali. L’obiettivo dichiarato è quello di assicurarsi un vantaggio competitivo a lungo termine nei confronti degli avversari. Ciò comporta anche che si compiano delle scelte di “rottura” rispetto al passato, cancellando (o, comunque, mettendo in secondo piano) programmi di investimento non più ritenuti strategici per gli scenari operativi del futuro, privilegiando al tempo stesso opzioni per l’appunto innovative. Con alcuni passaggi che fanno già (e lo faranno anche in futuro) discutere.
In campo aeronautico sono ben 57,7 i miliardi disponibili, la “fetta” sicuramente più importante della grande “torta” chiamata «Procurement». Partendo dai programmi “joint”, tali risorse consentiranno di acquistare:
- un totale di 78 F-35 nelle varie versioni; in particolare, si tratta di 48 F-35A per la US Air Force, 20 F-35C per la US Navy e 10 F35C per lo US Marine Corps (per un totale di 11.200 milioni),
- 10 CMV-22 per la US Navy, con le somme stanziate per il capitolo legato al V-22 comprendenti anche adeguamenti/aggiornamenti a favore della versione CV-22 per l’USAF (1.308 milioni),
- 11 velivoli della “famiglia” C-130J; nel dettaglio, si stratta di 8 MC-130J per l’USAF e 3 KC-130J per lo USMC ma (come detto) finanziamenti ulteriori riguardano anche le altre versioni con interventi di aggiornamento di varia natura (1.624 milioni),
- 6 sistemi della famiglia MQ1-B Predator/MQ-1C Gray Eagle, anche se in realtà tutte le somme stanziate vanno alla seconda versione che è in dotazione allo US Army (124 milioni),
- 15 sistemi RQ-9 Reaper, 12 dei quali all’USAF e i restanti 3 alla US Navy ma destinati ai Marines (1.025 milioni),
- 2 sistemi della famiglia MQ-4C Triton/RQ-4 Global Hawk; entrambi acquistati nella versione Triton per la US Navy, ma adeguamenti vari ci sono anche per la versione Global Hawk in dotazione all’USAF (1.009 milioni).
Poi, sempre in campo aeronautico, ci sono i programmi specifici per lo US Army:
- 48 elicotteri AH-64E (1.003 milioni),
- 9 elicotteri CH-47, in particolare si tratta di velivoli tutti nella versione MH-47G (358 milioni),
- 98 elicotteri UH-60, divisi tra le versioni M e V (1.673 milioni),
Le acquisizioni di velivoli per la US Navy (oltre a quanto richiesto in ambito “Joint”) riguarderanno invece:
- 24 cacciabombardieri F/A-18 E/F (2.024 milioni),
- 4 velivoli E-2D (1.291 milioni),
- 6 velivoli P-8A (1.513 milioni),
- 6 elicotteri VH-92A, destinati ai Marines per la flotta del Presidente degli USA (846 milioni),
- 6 elicotteri CH-53K, anch’essi destinati ai Marines (1.540 milioni),
- adeguamenti/aggiornamenti linea elicotteri dei Marines AH-1Z/UH-1Y (127 milioni),
- prosecuzione della fase di sviluppo dell’UAV MQ-25 (671 milioni).
Infine, i programmi specifici per la US Air Force (anche qui aggiuntivi ai programmi “Joint”) comprenderanno:
- prosecuzione dello sviluppo del bombardiere B-21 (3.004 milioni),
- adeguamenti/aggiornamenti linee bombardieri B-1, B-2 e B-52 (868 milioni),
- 12 aerocisterne KC-46A (2.304 milioni),
- prosecuzione dello sviluppo del VC-25B o “Air Force One” (758 milioni),
- 8 caccia F-15EX (1.117 milioni),
- adeguamenti/aggiornamenti linee F-15 C/D ed E (949 milioni),
- 12 Combat Rescue Helicopter o CRH (1.131 milioni),
- prosecuzione dello sviluppo dell’addestratore Advanced Pilot Training o T-X (349 milioni),
Passando ora ai mezzi terrestri, la “parte del leone” è ovviamente svolta dallo US Army; anche se, alla luce della vastità del settore, specifici programmi sono indirizzati anche ai Marines. Nel FY2020, con i 14,7 miliardi disponibili si prevede dunque di acquistare:
- 090 veicoli Joint Light Tactical Vehicle o JTLV; 2.530 per lo US Army stesso, 1.398 per i Marines e poco più di 160 complessivi anche per USAF e US Navy (1.642 milioni),
- kit di aggiornamento per 165 carri da battaglia allo standard M1A2 SEPv3 e attività di sviluppo della versione v4 (2.234 milioni),
- 131 veicoli corazzati Armored Multi-Purpose Vehicle o AMPV (582 milioni),
- Kit di aggiornamento per la famiglia degli M109 per portare i mezzi allo standard Paladin Integrated Management o PIM (553 milioni),
- 142 mezzi da trasporto della Family of Medium Tactical Vehicle o FMTV (109 milioni),
- 445 tra mezzi e rimorchi della Family of Heavy Tactical Vehicle o FHTV (54 milioni),
- 84 mezzi leggeri Ground Mobility Vehicle o GMV (40 milioni),
- 152 kit di trasformazione per i mezzi della famiglia Stryker (versione “double V hull”), con annesse attività di aggiornamento della flotta (755 milioni),
- 56 mezzi anfibi Amphibious Combat Vehicle o ACV, questi (ovviamente) tutti destinati ai Marines (395 milioni).
Per quanto evidentemente non riconducibili alla categoria dei mezzi terrestri ma avendo comunque parlato dello US Army, un altro suo settore di investimento importante è quello dei sistemi e delle reti di comunicazione, al quale sono assegnati stanziamenti per:
- il Warfighter Information Network-Tactical o WIN-T (474 milioni),
- i sistemi radio “Handheld Manpack and Small (HMS) Form Fit”, peraltro di più ampio respiro “joint” (504 milioni).
Inoltre, specifici finanziamenti saranno destinati a incrementare la letalità dei soldati; in particolare, si acquisiranno nuovi Multi-role Anti-Armor Weapon System (in pratica, il Carl Gustaf), nuovi visori notturni binoculari, nuove ottiche per le armi, nuovi sensori termici e nuove protezioni individuali.
In campo navale, la disponibilità di risorse per la US Navy raggiunge i 34,7 miliardi, i quali saranno impiegati per:
- la prosecuzione del programma delle nuove portaerei nucleari d’attacco (CVN) della classe Ford, con l’avvio dei finanziamenti per la coppia di unità da poco contrattualizzata (2.606 milioni),
- la prosecuzione del programma relativo ai prossimi sottomarini nucleari lanciamissili balistici (SSBN) della classe Columbia (2.232 milioni),
- l’acquisto di 3 sottomarini nucleari d’attacco (SSN) della classe Virginia (10.218 milioni),
- l’acquisto di 3 cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke nella nuova versione Flight III (5.754 milioni),
- far partire il programma per la nuova fregata per ora nota come FFG(X) con la prima unità (1.340 milioni),
- l’acquisto di 2 rifornitrici di squadra (T-AO) della classe John Lewis (1.081 milioni),
- l’acquisto di 2 rimorchiatori d’altura (T-ATS) della classe Navajo (150 milioni),
- l’avvio dell’interessante programma riguardante le nuove piattaforme navali Large Unmanned Surface Vehicle o LUSV, con le prime 2 unità (447 milioni).
- nonché l’avvio delle attività di “refuelling” per una portaerei nucleare, la CVN-74 Stennis (648 milioni).
A proposito dello specifico tema legato alle attività di RCOH (Refuelling and Complex OverHaul) delle portaerei, una delle decisioni più controverse era costituito dall’annullamento di tali attività sulla CVN-75 Truman; con il conseguente ritiro anticipato dal servizio entro la metà del decennio. “Era” perché in realtà, su ordine della Casa Bianca che per prima aveva avallato tale scelta, è stato ora deciso che la Truman stessa completerà il proprio percorso di RCOH.
Molto nutrita anche la “lista della spesa” per quanto concerne il munizionamento da acquisire:
- 388 bombe guidate Joint Direct Attack Munition o JDAM, (1.149 milioni),
- 193 razzi guidati per il sistema Guided Multiple Launch Rocket System o GMLRS, per US Army e USMC (1.413 milioni),
- 125 missili Standard Missile-6 o SM-6 (651 milioni),
- 120 Rolling Airframe Missile o RAM (129 milioni),
- 078 bombe guidate Small Diameter Bomb I o SDB I, (275 milioni),
- 000 missili Hellfire (731 milioni),
- 794 missili anticarro Javelin per US Army e USMC (181 milioni),
- 051 missili Joint Air-to-Ground Missile (JAGM) per US Army, USAF e US Navy (367 milioni),
- 389 missili Advanced Medium-Range Air-to-Air Missile (AMRAAM), per USAF e USN (651 milioni),
- 647 missili Air Intercept Missile-9X o AIM-9X per USAF e USN (310 milioni),
- 430 missili Joint Air-Surface Missile – Extended Range o JASM-ER (581 milioni),
- 48 missili Long Range Anti-Ship Missile (LRASM) per US Navy e USAF (209 milioni),
- 90 missili “maritime strike TACtical TOMahawk” o TACTOM (707 milioni).
Grande attenzione anche per altri 2 settori. Il primo riguarda le capacità nucleari, incentrate sulla “Nuclear Triad” di sistemi basati a terra, in mare e in cielo. Il settore riceverà così 14 miliardi, destinati a:
- aggiornamento/adeguamento dell’inventario dei missili balistici lanciati da sottomarini (SLBM) Trident II D5 (1.201 milioni),
- 533 kit di modifica per le bombe nucleari B-61 (108 milioni).
- proseguire lo sviluppo del nuovo missile Long-Range Stand-Off (LRSO) weapon (713 milioni),
- procedere con lo sviluppo del Ground Based Strategic Deterrent o GSBD (570 milioni),
- migliorare le capacità di scoperta nonché quella di “Nuclear Command, Control, and Communications (NC3)” dello US Strategic Command o STRATCOM (2,5 miliardi).
Oltre a questo, ovviamente, i già citati programmi (nell’ambito dei rispettivi domini, aereo e navale) relativi ai bombardieri strategici B-21 (con i suoi 3 miliardi) e agli SSBN della classe Columbia (oltre 2,2 miliardi).
Dall’altra parte, una dimensione crescente la sta conquistando il settore della difesa nei confronti dei missili o “Ballistic Missile Defense”. Del resto, la proliferazione di missili balistici sta davvero diventando una sfida di grande importanza; tanto da richiedere sforzi altrettanto importanti. Per il FY2020 saranno rese disponibili risorse pari a 13,6 miliardi per una molteplicità di iniziative:
- acquisto di 37 missili Standard Missile-3 o SM-3 Block IB e IIA per l’impiego con sistemi AEGIS, più attività di sviluppo dello stesso AEGIS e sistemi collegati (1.720 milioni),
- acquisto di 37 missili per il sistema Terminal High Altitude Area Defense o THAAD (754 milioni),
- aggiornamento/ammodernamento del Ground-based Midcourse Defense o GMD (1.677 milioni),
- acquisto di 147 missili Patriot Advanced Capability-3 o PAC-3 in versione Missile Segment Enhancements MSE (737 milioni), alle quali si aggiungono attività di sviluppo del PAC-3 nel suo complesso (altri 804 milioni),
- sviluppo di sistemi di allerta precoce basati nello spazio e di associato segmento di controllo a terra per contrastare le armi ipersoniche, di nuovi sistemi di intercettazioni destinati a colpire i missili balistici nella fase di spinta (utilizzando armi a energia diretta e/o intercettori lanciati da aerei), di armi per attacchi in modalità “prompt” per colpire preventivamente basi di lancio avversarie (1,5 miliardi).
Da ultimo, ma non certo in ordine d’importanza, il pacchetto di misure destinate alle Forze Speciali che nel prossimo anno fiscale riceveranno 3,4 miliardi; in questo modo lo US Special Operations Command o SOCOM potrà intervenire tra le altre cose:
- sullo sviluppo di armi a energia diretta (27 milioni),
- nuovi mezzi navali, di superficie e subacquei (106 milioni).
Anche in questo caso però occorre ricordare la molteplicità dei programmi d’investimento in capo alle singole Forze Armate e già ricordati; dagli interventi sulla linea MC/AC130J agli elicotteri MH-47G, dagli UAV del tipo MQ-9 fino agli aggiornamenti sui convertiplani CV-22, o anche il Combat Rescue Helicopter. Inoltre, in aggiunta ai tradizionali programmi rivolti ancora una volta ad aumentare la letalità dell’operatore delle Forze Speciali (compreso il settore degli esoscheletri), gli stanziamenti previsti puntano a migliorare le dotazioni personali e i mezzi a disposizione nonché a potenziare i sistemi di comunicazione.
«Research, Development, Test & Evaluation»
Il dato è evidente: il peso di questo capitolo di spesa non solo è enorme. Di più, con il FY2020 emerge la volontà di renderlo ancora più importante. Prima di tutto le cifre, 104,3 miliardi contro i 92,4 della richiesta per il FY2019; cioè, più 11,9 miliardi. Davvero tanto.
E il perché è presto detto: la volontà di investire subito in alcuni settori chiave, allo scopo di conseguire (come già evidenziato nel campo del «Procurement») un vantaggio competitivo di lungo termine: A questo scopo, nel FY2020 si punta a concentrare l’attenzione in aree specifiche quali:
- le piattaforme “Unmanned/Autonomous”, allo scopo di aumentare la libertà/autonomia di manovra e la letalità; uno sforzo rivolto ai sistemi già in servizio e ancora di più a quelli di nuova introduzione, soprattutto in campo navale (di superficie e subacquee) e verso quelle destinate a compiti logistici (3,7 miliardi);
- l’Intelligenza Artificiale (AI), valutandone la possibile applicazione in diversi campi e incrementando l’impegno a favore delle strutture esistenti come il Joint Artificial Intelligence Center o JIAC (927 milioni);
- le armi ipersoniche, lavorando in particolare i progetti della US Navy e dello US Army per Sea/Land-Launched Conventional Prompt Strike (2,6 miliardi);
- le armi a energia diretta (DE), con il loro ulteriore sviluppo in chiave sia difensiva, sia offensiva; in particolare, l’attenzione si concentrerà sulle armi laser (235 milioni).
Ancora una volta poi, si ribadisce il fondamentale sostegno alla totalità dei più importanti programmi di investimento; anzi, si pensi che alcuni di essi sono totalmente finanziati (per ora) in questo modo: dai prossimi Large Unmanned Surface Vehicle (LUSV) al bombardiere strategico B-21 passando per l’UAV MQ-25, il T-X, lo stesso nuovo “Air Force One”. Analogamente, è molto forte l’impatto su alcuni capitoli di spesa dell’USSOCOM (le armi a energia diretta) e nuovi sensori e armi per lo USSTRATCOM (il Ground Based Strategic Deterrent e il Long Range Stand-Off (LRSO) Weapon e per lo USSPACECOM (next generation space based Overhead Persistent Infrared (OPIR) system).
A conferma del fatto che (sotto ogni punto di vista), «Procurement» e «RDT&E» devono essere necessariamente considerati come una sola “entità”.
Conclusioni
A valle delle considerazioni fin qui svolte, l’ampio potere del Congresso di intervenire sul budget espressione della “richiesta del Presidente” si manifesta spesso proprio sulla “carne viva” del Bilancio, sotto forma di interventi profondi sia sul capitolo «Procurement», sia su quello dedicato a «RDT&E».
Lo scorso anno fiscale la richiesta della Casa Bianca sul primo capitolo di spesa era stata per l’appunto di 144,3 miliardi mentre il Congresso alla fine ha approvato un bilancio per 147,3 miliardi. Percorso simile anche per la voce «RDT&E», con una richiesta di 92,4 miliardi e un’autorizzazione di spesa finale pari a 95,3 miliardi.
Dunque, se già in condizioni normali il bilancio finale approvato/autorizzato dal Congresso subisce sempre delle variazioni, il dibattito previsto nei 2 rami del Parlamento americano per il FY 20200 sarà (sicuramente) più “vivace” del solito.
I temi principali di contrasto saranno da una parte la scelta di utilizzare in quel modo il meccanismo del finanziamento delle OCO e, dall’altro, il ben noto ricorso a fondi della Difesa per la realizzazione di nuove barriere al confine con il Messico.
Al tempo stesso però, l’appoggio sostanzialmente bi-partisan alle necessità delle Forze Armate americane, non lascia intravedere clamorosi colpi di scena. Sebbene infatti le prime reazioni del Partito Democratico appaiono molto critiche, al tempo stesso prevedono delle controproposte con numeri parzialmente diversi che, tuttavia, potrebbero convergere in fase di esame con le richieste della Casa Bianca e del Pentagono.
Anche se poi, scendendo ancora più nel dettaglio, ulteriori frizioni potrebbero manifestarsi su alcuni punti specifici. Si pensi all’acquisto degli F-15EX (con il discusso ruolo dell’attuale “Acting Secretary of Defense”, Patrick Shanahan temporaneamente segretario alla Difesa ed ex dirigente Boeing ora sotto inchiesta proprio per la scelta “sospetta” di acquisire nuovi aerei di quel tipo prodotti dalla società in cui ha lavorato) o alla decisione della US Navy di non procedere con il “refuelling” della portaerei Truman, ritirandola dal servizio anzi tempo.
Insomma, non c’è dubbio che le risorse messe in campo siano decisamente importanti; detto questo però, si deve anche aggiungere che la “coperta” non è così lunga rispetto alle molte esigenze. E quindi, così come sta per accadere proprio per il bilancio del FY2020, si dovranno compiere forse scelte difficili.
Anche perché, come dimostra la forte spinta all’innovazione tecnologica che caratterizzerà il budget della Difesa per il prossimo anno fiscale, l’obiettivo che il Pentagono intende raggiungere è chiaro: rompere gli schemi attuali e trovare nuove soluzioni in funzione di un ipotetico scontro con la Cina ma senza dimenticare la Russia. Insomma, la lunga stagione della “guerra al terrorismo” volge al termine, torna l’epoca della “guerra fredda” tra grandi potenze!
Immagini: Department of Defense, Casa Bianca, Reuters e AFP
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.