Negoziazione in situazione di crisi: a Roma si fa scuola con il NYPD
Dal 21 al 24 novembre, presso la sala congressi dell’Occidental Aurelia Hotel di Roma, si è tenuto l’Advanced Crisis Negotiation Team Training Course – Corso di addestramento avanzato per squadre di negoziazione in situazioni di crisi.
Organizzato dalla Stam Strategic & Partners Group Ltd di Gianpiero Spinelli, in collaborazione con Phoenix Consulting Group LLC e DynCorp International LLC, il corso ha visto l’ampia partecipazione di tutta una serie di appartenenti alle Forze dell’Ordine, Forze Armate, sicurezza privata, intelligence, esponenti politici, analisti e giornalisti, sia nazionali che internazionali.
La presenza di professionisti di una moltitudine di agenzie, così come la provenienza multinazionale hanno consentito un ampio e produttivo confronto su tre differenti approcci; considerevolmente influenzati da mentalità, caratteristiche e legislazioni diverse.
Dalla risolutezza carioca, rappresentata da un generale dell’Esercito brasiliano e da diversi funzionari ed operatori della Garra di San Paolo – Grupo Armado de Repressão a Roubos e Assaltos – propendenti per soluzioni più “dinamiche,” alla strutturazione statunitense, impersonata dai carismatici istruttori con relative procedure, passando per l’innata attitudine tricolore al dialogo e capacità di improvvisazione.
Il Corso di addestramento avanzato per squadre di negoziazione in situazioni di crisi costituisce il terzo di una serie di appuntamenti sull’intelligence voluta da Spinelli e dalla Stam, società che si occupa di sicurezza, intelligence, tecnologia e formazione a livello globale. Il primo corso ha avuto come oggetto le tecniche di elicitazione e contro-elicitazione seguito, poi dal debriefing strategico delle fonti di Law Enforcement, per poi proseguire con numerosi moduli ancora da affrontare!
Come docenti, esperti di elevata caratura. Clifford Ruggles, ormai “di ruolo” sulla cattedra di Stam; principale formatore di Phoenix Consulting Group LLC, per 21 anni interrogatore certificato dell’Agenzia d’Intelligence della Difesa degli Stati Uniti (DIA) ed il detective Perie Miranda, con altrettanta esperienza come agente sotto-copertura e negoziatore per il Dipartimento di Polizia di New York, prima ed attualmente per quello di Greenburgh.
Nei tre giorni e mezzo di corso, attraverso lezioni frontali, l’analisi della casistica ed esercitazioni pratiche – compiti a casa inclusi! – i partecipanti sono stati addestrati alla conduzione di una negoziazione in situazione di crisi, con particolare attenzione alle capacità comunicative, alla raccolta di informazioni, a fenomeni come la Sindrome di Stoccolma – possibilità che gli ostaggi sviluppino simpatia e supporto per i loro aguzzini – ed alla profilazione della personalità attraverso l’indicatore di Myers-Briggs. Il tutto per ottenere una maggior comprensione della situazione e, anticipandone quanto più possibile gli sviluppi, raggiungerne una soluzione pacifica e, per quanto possibile, reciprocamente soddisfacente per le parti.
Infine, si è svolta una simulazione di presa di ostaggi all’interno dell’hotel che ha visto la magistrale interpretazione di Clifford Ruggles, nei panni del “cattivo” con cui si sono confrontati diversi team di negoziatori, a rotazione.
Durante l’esercitazione, nonché in tutto il corso, hanno giocato un ruolo attivo e fondamentale anche gli instancabili traduttori e mediatori culturali che, oltre a facilitare chi non aveva dimestichezza con le lingue del corso – italiano, inglese e portoghese, hanno consentito di inserire nella didattica quella variabile linguistico-culturale che può fare la differenza nelle situazioni reali.
E proprio il realismo assoluto dell’esercitazione ha consentito ai corsisti di metter in pratica per diverse ore quanto specificatamente appreso nei giorni precedenti e di elaborare, laddove non specificamente contemplate, soluzioni alternative. Perché, come ripetutamente indicato dal detective Perie non esistono soluzioni e risposte miracolose, sempre corrette, ma “it depends.”
Dopo un debriefing sull’esercitazione e conclusioni sul corso si è svolta la consegna degli attestati di partecipazione.
Il clima del corso è stato altamente positivo, favorendo importanti momenti di confronto e sinergia tra agenzie varie, ma anche tra sicurezza istituzionale, privata e cittadinanza. A contribuirvi, indubbiamente il carisma, la semplicità e modestia degli insegnati che non si sono mai imposti, né hanno mai cercato di proporre visioni assolutistiche del fenomeno. Come dice sempre Spinelli, con “l’umiltà di chi realmente ha fatto.”
Prese di ostaggi e negoziazioni: qualche cenno storico
Le prese di ostaggi, negoziati per il rilascio, nonché le operazioni di salvataggio sono pratiche vecchie quanto l’umanità. Dopo che Ade, dio greco degli inferi aveva rapito Persefone, Zeus ha inviato Hermes a negoziarne il rilascio. Secondo l’Iliade, la Guerra di Troia scoppiò per il rapimento di Elena da parte di Paride.
Nel Vecchio Testamento vengono riportati numerosi episodi di reciproche prese di ostaggi tra Israeliti e vari popoli rivali come bottini di guerra, per impoverire i nemici oppure convertirli alla propria causa. Addirittura, nella Genesi 14, versetti 12 a 16 si parla del rapimento e salvataggio di Lot, nipote di Abramo in quello che appare il primo blitz per la liberazione di ostaggi della storia con una Task Force di 318 uomini.
I romani trattenevano i figli di principi vassalli per educarli ai loro ideali e garantirsi la fedeltà dei genitori. I pirati di svariate nazionalità hanno fatto ricorso, per secoli, alla presa di ostaggi per ottenere merci e denaro. Tra le più celebri vittime di questa pratica Giulio Cesare, catturato nel 75 a.C. dai pirati della Cilicia e liberato solo dopo il pagamento di un riscatto.
Durante il Medioevo, quella della presa di ostaggi era una pratica molto comune e diffusa secondo cui le autorità politiche concordavano di consegnare ostaggi nelle mani delle controparti, come garanzia d’adempimento di determinati obblighi. Un metodo sostanzialmente in voga fino al XX° secolo.
Per quanto riguarda, invece la negoziazione in situazione di presa d’ostaggi in chiave moderna si deve arrivare agli 70 del 900; sostanzialmente come risultato di tre tragici episodi che hanno spinto alcuni lungimiranti funzionari del Dipartimento di Polizia di New York ad affrontare il fenomeno in maniera strutturata: la rivolta nella prigione di Attica del 1971 – 39 prigionieri morti in un blitz della polizia, l’attacco alle Olimpiadi di Monaco del 1972 – impreparazione della polizia ed intervento armato disastroso –e la fallita rapina in banca del Dog Day Afternoon – definita “uno show in piena regola” per la nutrita presenza di media e spettatori che interagivano col sequestratore, senza alcun contenimento della scena del crimine.
Vi si aggiunga, inoltre una vera e propria epidemia di dirottamenti aerei di matrice terroristica – 5 aerei in soli tre giorni nel 1970.
Fino ad allora, di eventuali negoziati, se ne occupava qualche detective o funzionario, senza particolare addestramento, oppure si optava direttamente per la linea dura. Tale approccio, però ha sollevato numerose critiche quando, nel 1971, l’FBI è intervenuta con la forza durante un dirottamento aereo che si stava risolvendo pacificamente. L’intervento dei federali ha portato alla morte di due ostaggi e di un dirottatore; il caso è finito davanti alla Corte d’appello degli Stati Uniti col procedimento Downs vs Stati Uniti.
Nel gennaio del 1973 la rapina al negozio di articoli sportivi John & Al’s di Brooklyn, caratterizzatasi per l’uccisione di un poliziotto, 4 rapinatori asserragliati per 47 ore con un arsenale di armi e 11 ostaggi, ha dimostrato l’efficacia della negoziazione portando alla resa i criminali.
Le preoccupazioni per un eccessivo impiego della forza, il valore delle trattive e la possibilità che anche nella Grande Mela si verificassero prese di ostaggi come in Europa e Medioriente hanno spinto il Dipartimento di Polizia di New York, nelle persone del tenente Frank Bolz e dello psicologo/detective Harvey Schlossberg a creare, nel 1973, il primo – e ormai, più celebre – team di negoziazione di ostaggi al mondo: L’Hostage Negotiation Team (HNT).
L’anno successivo anche l’FBI, che aveva mostrato profondo interesse per il progetto dell’NYPD istituì la propria unità di negoziatori.
A partire dagli anni 80, si è passati da una negoziazione in situazioni di presa di ostaggi definita di “prima generazione” – in risposta a terrorismo ed attivismo politico – ad una di “seconda generazione,” caratterizzata sempre più da crimini e violenza domestica, persone emotivamente o psicologicamente disturbate, con tendenze suicide. Tale evoluzione ha portato alla perdita d’efficacia del bartering – baratto – come modalità di negoziazione con persone in crisi che, sostanzialmente non chiedevano nulla di materiale. E’ stato così introdotto un nuovo approccio basato sull’ascolto attivo, empatia e costruzione di rapporti di fiducia come strumenti negoziali.
Negoziazione di ostaggi o di situazioni di crisi?
Quando hanno iniziato a diffondersi negli Stati Uniti i primi reparti specificamente dedicati, si parlava – ed ancora in molti casi accade – di “negoziazione di ostaggi.” Tuttavia, tale termine è andato sostituendosi con un più ampio “negoziazione in situazioni di crisi.” Sul fatto che i due termini siano intercambiabili o meno e quale sia quello più corretto, oltreoceano il dibattito è animato.
La diatriba è nata dal fatto che, secondo l’HOBAS – Hostage Barricade Database System – dell’FBI che racchiude informazioni su più di 5.000 prese di ostaggi o sospetti barricati, solo il 4% dei casi riguarda ostaggi; il restante 96% ha invece a che fare con crisi a sfondo emotivo, sospetti barricati con tendenze suicide, da soli o con altre persone.
Generalmente, un ostaggio è una persona trattenuta contro la propria volontà per esser barattata con qualcosa: un mezzo di trasporto, piani di fuga, denaro, rilascio di prigionieri ecc. Quando, invece la persona viene trattenuta senza i precedenti scopi, non viene definita ostaggio, bensì vittima.
In questi casi il sequestratore non avanza richieste perché non ha bisogno di nulla. Sta attraversando una crisi, una situazione di instabilità che richiede non tanto qualcosa di materiale, bensì di empatia, comprensione e fiducia.
Per quanto riguarda la casistica attuale, l’FBI riporta un 53% di situazioni di crisi tra le mura domestiche, con una durata tra le 2-4 ore (nel 35% dei casi). Le comunicazioni sequestratori/negoziatori avvengono principalmente per via telefonica (39%). Il sospetto è quasi sempre maschio (91%), bianco (60%) e di età compresa tra i 35-40 anni (40%), con precedenti penali (39%) ed armato (72%); generalmente di pistola (37%). Nel 58% dei casi le vittime sono donne, bianche (50%) che non vengono né maltrattate (45%), né ferite (80%). Il 56% dei casi si risolve con la resa del sospetto grazie ai negoziatori, contro un 20% che richiede un intervento tattico. Nel 97-99% dei casi tali situazioni di crisi si risolvono senza morti né feriti.
Sulla base delle statistiche, comunque le tipologie più diffuse di crisi con ostaggi hanno a che fare con persone disturbate emotivamente, criminali bloccati durante un crimine, prigionieri in rivolta ed individui politicamente motivati.
Diventare un negoziatore
Il primo requisito per diventare un negoziatore è quello di essere un agente di polizia o un detective. Con alle spalle almeno 12 anni di servizio, un aspirante negoziatore può aver maturato quella fondamentale esperienza sul campo nell’utilizzo di abilità comunicative in situazioni di tensione, nell’interazione con diverse culture, religioni ed estrazioni sociali, nonché una dettagliata conoscenza dei regolamenti di polizia, procedure e leggi. Indubbiamente, costituiscono una risorsa agenti molto istruiti, definiti colloquialmente “dottori,” così come l’appartenenza a minoranze etniche, linguistiche e religiose.
Possono rappresentare un asset anche trascorsi problematici, bassa estrazione sociale, esperienze militari e tutto ciò che possa consentire di entrare in sintonia con le più disparate tipologie di sequestratori.
L’addestramento per entrare a far parte del team di negoziazione ostaggi del Dipartimento di Polizia di New York ha una durata superiore rispetto a quello di altri dipartimenti. Esso include teoria e pratica della negoziazione, protocolli di risposta, simulazioni, comprensione culturale e consapevolezza, valutazione di casi studio, addestramento all’utilizzo di equipaggiamento e gestione di situazioni che coinvolgono persone mentalmente o emozionalmente disturbate.
Quest’ultimo argomento, in particolare ha una durata superiore alle 40 ore visto che la maggioranza dei casi riguarda, ormai tali situazioni. Tuttavia, l’addestramento di un negoziatore di ostaggi non è mai concluso. I debriefing post-operativi ne costituiscono una parte fondamentale, consentendo d’individuare ed analizzare i punti di forza e debolezza, nonché i corsi e seminari di aggiornamento che FBI ed altre agenzie offrono in continuazione.
Non sempre i negoziatori sono operatori addestrati. Spesso capita ai first responders – le prime unità di polizia o soccorritori che giungono sul posto – di dover iniziare un negoziato senza uno specifico addestramento, se non qualche nozione di base acquisita alla scuola di polizia. Addirittura, può capitare a dei passanti, a chi è in grado di tradurre la lingua del sequestratore o a chi, semplicemente, risponde ad un telefono!
E’ il caso di un giovane funzionario dell’ambasciata statunitense di Kuala Lumpur, Malesia che nel 1975 ha casualmente risposto alla telefonata dei terroristi dell’Armata Rossa giapponese che annunciavano la presa di ostaggi al consolato americano. Il funzionario è stato scelto per portare avanti la trattativa “grazie” alla sua voce rassicurante. Oppure un famigliare del sequestratore a cui viene richiesto di fare da intermediario con le autorità.
Come si articola una negoziazione
Una negoziazione di ostaggi o in situazioni di crisi si articola, essenzialmente in tre fasi: una iniziale – violenta e rapida che termina con il soggiogamento degli ostaggi e la formulazione di richieste, la negoziazione o fase di standoff – che può durare ore, giorni, mesi e perfino anni come nel caso degli ostaggi dell’Ambasciata americana di Teheran – ed una conclusiva – che può avere tre epiloghi: resa ed arresto del sequestratore, blitz e suo arresto/uccisione, accettazione delle sue richieste e fuga.
Una delle prime cose che fa un negoziatore quando entra in scena è raccogliere quante più informazioni possibili per impostare il negoziato al meglio. Informazioni provenienti da colleghi già sul posto, da interviste a testimoni, da indagini su sequestratori ed ostaggi, loro famigliari o conoscenti, da ostaggi liberati, reperite sui social – sempre più rilevanti in ambito investigativo – ed attraverso conversazioni dirette con il sequestratore.
Tutto ciò consente di capire con chi si ha a che fare, le sue motivazioni, i suoi atteggiamenti e comportamenti per poterne tracciare una bozza di profilo psicologico utile ad anticiparne mosse e risposte in certe situazione.
Un conto è, infatti aver a che fare con un soggetto affetto da depressione, PTSD con tendenze suicide; un altro è aver a che fare con un abile e freddo calcolatore. Così come un conto è trattare con rapinatori che si trasformano involontariamente in sequestratori perché bloccati sul luogo di una rapina dalle forze dell’ordine – definito “caso di emergenza;” un altro – definito “stato di crisi” – è aver a che fare con professionisti che prendono intenzionalmente ostaggi per il conseguimento di specifici risultati: rilascio di prigionieri, ritiro di truppe da un Paese, attenzione mediatica, destabilizzazione di un obiettivo ecc.
Solitamente, il negoziatore opera in team costituiti da 5-7 elementi i cui ruoli vengono variati in continuazione: un negoziatore principale, uno secondario o coach – per condividere lo sforzo, un addetto all’intelligence che raccoglie le informazioni, uno scribe che si occupa di annotarle ed organizzarle graficamente ed un comandante che ha l’autorità su tutta la scena ed il personale coinvolto.
Ai fini del risultato finale, è importante che negoziatore e comandante siano due persone distinte, in modo che possano concentrarsi su di un’unica attività già di per sé stressante, senza ulteriori complicazioni. Inoltre, una delle più efficaci tattiche del negoziatore è quella di temporeggiare per sentire i propri superiori; una scusa che verrebbe meno in coincidenza dei due ruoli. Allo stesso modo, il negoziatore non dovrebbe esser al corrente di interventi tattici per non lasciar trasparire nulla.
Eccezione a questa regola si è avuta con l’operazione Nimrod, durante la presa di ostaggi all’ambasciata iraniana di Londra, nell’aprile 1980: il negoziatore è stato usato come diversivo, per tener occupato il capo dei sequestratori mentre iniziava l’azione del SAS.
Altra questione da affrontare prima della negoziazione è far convivere e collaborare le varie unità presenti. Parte molto complessa, soprattutto negli Stati Uniti dove intervengono una moltitudine di autorità: Sceriffo, Polizia di Stato, FBI ed altre agenzie federali. Per non parlare di SWAT ed altre squadre speciali che scalpitano per sfondare porte!
Il negoziatore inizia, quindi una delicata partita a scacchi in cui deve fare da intermediario tra criminale e autorità. Sequestratore e negoziatore si trovano in una situazione da cui, assieme ed in qualche modo, devono uscire.
Per condurre un negoziato, l’FBI ha sviluppato il Behavioral Change Stairway Model (BCSM) – Modello a Scala del Cambiamento Comportamentale – un modello del processo di costruzione e relazione da seguire per la risoluzione di situazioni di crisi. Partendo da una situazione di totale assenza di relazioni tra negoziatore e sequestratore si perseguono ascolto attivo, empatia, rapporto, influenza e cambiamento comportamentale. Cinque tappe sequenziali e cumulative tra cui l’ascolto attivo va messo in atto e mantenuto durante tutto il processo.
L’ascolto attivo prevede una comprensione della psicologia del sequestratore, dandogli la consapevolezza di esser ascoltato e compreso nei suoi bisogni. Allo stesso modo, attraverso l’empatia gli si dimostra una sperimentazione personale ed affettiva delle sue emozioni. Dopo un rapporto a senso unico in cui è stato il sequestratore a parlare ed il negoziatore ad ascoltare, si può aprire una fase di maggiore fiducia e propensione ad ascoltare ed accettare ciò che il negoziatore ha da offrire.
Una volta stabilito il rapporto, il negoziatore ha la possibilità d’influenzare il sequestratore fornendogli delle indicazioni. Indicazioni che, alla fine, potrebbe portare ad un cambiamento comportamentale del sequestratore.
Durante tutto il processo, è fondamentale mantenere la calma – soprattutto nelle fasi inziali in cui il sequestratore è tendenzialmente più aggressivo ed eccitato, rispetto e pazienza – fondamentali per la costruzione di un rapporto – e, soprattutto, onestà: mai mentire, perché se scoperti, si perde tutto!
Un buon negoziatore deve altresì essere bravo a bilanciare rifiuti e concessioni. Chiaramente, non si può concedere tutto quello che vuole il sequestratore, così come non si può concedere troppo facilmente o troppo in fretta. Ogni concessione deve esser ricambiata con qualcosa, temporeggiando e dilatando quanto più a lungo i tempi della negoziazione. Con il trascorrere delle ore, infatti si riduce la tensione e si affievolisce la forza delle richieste dei sequestratori. Il tutto senza mai trascurare la cosa più importante: la sicurezza e salute degli ostaggi.
Anche in fase conclusiva, il negoziatore non deve avere troppa fretta, né saltare le tappe. Quello del rilascio, infatti, assieme all’approccio, rappresenta uno dei momenti più delicati dell’intero processo di negoziazione. Le modalità della resa e rilascio degli ostaggi devono esser definite nei minimi particolari, giacché potrebbe bastare veramente poco a compromettere tutto.
Negoziare con i terroristi?
Sebbene alcuni Paesi – Stati Uniti, Russia e Israele in primis – abbiano fatto del non negoziare con i terroristi un punto fermo, ampiamente condiviso dalle proprie opinioni pubbliche; tali scelte possono avere ripercussioni disastrose e trovare qualche apertura.
Basti pensare alla Russia e alla crisi del teatro Dubrovka nell’ottobre 2002, nonché alla scuola di Beslan nel 2004. Alle richieste di ritiro delle truppe dalla Cecenia, Mosca ha risposto gasando terroristi ed ostaggi nel teatro provocando 129 morti ed assaltando il complesso scolastico, portando alla morte di più di 300 persone, in gran parte bambini.
La trattativa può risultare fondamentale per raggiungere un epilogo pacifico ed una certa flessibilità può esser mostrata anche dai governi meno inclini al negoziato, soprattutto quando coinvolti bambini, politici o altri obiettivi particolarmente sensibili. Anche a costo di ricorrere ad accordi segreti che salvino sia gli ostaggi, che la faccia dei governi più intransigenti.
Si pensi, ad esempio ai negoziati segreti tra britannici e IRA, al dirottamento del Volo 847 della TWA nel 1985, in cui i dirottatori hanno ottenuto il rilascio di più di 700 prigionieri dalle carceri israeliane, oppure il recentissimo scambio di metà novembre tra Stati Uniti/Governo afgano e Talebani: due insegnanti occidentali – uno americano e l’altro australiano – assieme a 10 soldati afghani con tre importanti leader della rete Haqqani.
Se da un lato una totale opposizione al negoziato può avere effetti nefasti, allo stesso modo li può avere un’eccessiva accondiscendenza. La Francia, negli 70 e 80 del 900, aveva una reputazione di estrema disponibilità alla trattativa coi terroristi. Il risultato è stato diventarne un bersaglio primario, nonché una cronica infrazione di tutti quegli accordi che aveva stipulato con i terroristi.
Con gli attacchi marchiati ISIS, indirizzati ad ottenere il maggior numero possibile di vittime, in ambito accademico ci si chiede se la negoziazione in situazioni di crisi possa trovare spazio nella lotta al terrorismo di ultima generazione.
Negoziatori italiani
Il nucleo negoziatori dei G.I.S. dei Carabinieri è nato, in maniera strutturata, nel 2003. Tuttavia, per diventare operativo, ha avuto bisogno di qualche anno affinché i primi operatori si formassero, frequentando corsi specifici presso l’accademia dell’F.B.I. di Quantico e a Scotland Yard a Londra.
Il corso per diventare negoziatori ha così preso il via nel 2010 con gli operatori del G.I.S. che, a loro volta, sono diventati istruttori per il personale dell’Arma dei Carabinieri dislocato nei vari Comandi Provinciali. Marescialli che seguono un corso della durata di tre settimane presso l’Istituto Superiore di Tecniche Investigative dei Carabinieri a Velletri (Roma) diventando negoziatori di primo livello, a cui gli istruttori del G.I.S., negoziatori di II livello – per le situazioni più complesse, terrorismo compreso, offrono consulenza h24.
Dal 2010 al 2017 sono stati formati 93 negoziatori di primo livello, mentre gli interventi fino a luglio 2018 sono stati circa 200 – nel solo 2012, il NYPD ha gestito 400 negoziati.
La maggior parte dei quali si è risolta positivamente; tranne quando chi compiva tali gesti aveva “[…] già fatto la sua scelta.” Anche in Italia la maggioranza dei casi riguarda persone che hanno problemi psichiatrici, stalker, soggetti in crisi lavorativa o sentimentale.
A differenza degli Stati Uniti, dove anche i dipartimenti di polizia più piccoli hanno personale specificamente addestrato alla negoziazione in situazioni di crisi – Greenburgh: 6 negoziatori per ~ 88.500 abitanti; Milano ne ha 2, per l’Italia e molti altri Paesi si tratta ancora di attività secondarie.
A partire dalla presa di ostaggi presso la sede di Equitalia di Romano di Lombardia nel 2012, si è deciso di aumentare il numero di negoziatori per garantire la copertura di tutti i Comandi Provinciali dell’Arma. Tuttavia, una maggior diffusione di tale figura sul nostro territorio, ha sempre incontrato sostanzialmente due ostacoli: una casistica molto ridotta che non giustificava la destinazione di personale e strutture in pianta stabile e la forte convinzione che la negoziazione fosse una dote innata, che non potesse costituire materia di studio ed insegnamento.
In Italia, infatti la principale tipologia di presa di ostaggi è sempre stata quella del sequestro estorsivo o politico, senza una negoziazione o rapporto diretto né con i sequestratori, né con gli ostaggi. Uno dei primi esempi di negoziazione in situazione di presa di ostaggi si è avuto a Milano, nel 1975: due rapinatori asserragliati in una banca in piazza Insubria. Una mediazione del giovane funzionario di Polizia, Achille Serra che, seppur istintiva e spontanea, rispettava tutti i canoni della mediazione classica e risolveva la situazione.
Sebbene attualmente vengano addestrate alla negoziazione operativa solo poche unità scelte, destinate agli scenari di maggior rischio, numerosi operatori sostengono che, nella realtà quotidiana, ogni agente di pubblica sicurezza dovrebbe esservi preparato.
Perlomeno ad un livello basico, per la gestione di tutte quelle circostanze che potrebbero, anche banalmente, portare ad un confronto potenzialmente critico con i cittadini: da una multa per divieto di sosta, l’esecuzione di ordinanze di TSO/ASO, ordinanze di sgombero fino al contatto con criminali violenti. E’ infatti il first responder ad entrare per primo in contatto con una situazione potenzialmente critica e non il professionista super-addestrato…
Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.