I riflessi dell’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti

da Il Mattino del 17 agosto

 

L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti (EAU) del 13 agosto un lato conferma intese tra lo Stato Ebraico e una parte del mondo arabo già da tempo evidenti e consolidate ma, dall’altro, influirà probabilmente già a breve termine su diversi teatri di crisi tra il Mediterraneo e il Medio Oriente.

Non è un mistero che già da tempo i rapporti tra Gerusalemme, EAU e Arabia Saudita rasentassero le dimensioni di un’alleanza contro avversari comuni quali Iran, Qatar e Turchia, al punto che alcuni anni or sono si diffusero persino voci dell’invio di aerei con la Stella fi David in basi aeree del deserto saudita per addestrarsi a effettuare raid contro l’Iran, “nemico” sia di Israele che di Riad e Abu Dhabi.

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L’accordo con Israele rafforza il ruolo di potenza autonoma degli EAU, che già da tempo rivestono un ruolo di ”Piccola Sparta del Golfo”, come vengono soprannominati negli ambienti militari di Washington, non solo all’interno del Gulf Cooperation Council (alleanza minata dalla frattura tra Qatar e gran parte degli altri Stati membri) e dell’asse con l’Arabia Saudita ma anche con iniziative autonome e persino antagoniste a Riad, come dimostrano gli sviluppi del conflitto yemenita in cui Abu Dhabi sostiene apertamente i secessionisti di Aden contro il governo riconosciuto appoggiato dai sauditi.

Del resto, grazie anche a una classe politica e diplomatica di prim’ordine, gli EAU hanno assunto le caratteristiche di una “potenza”, peraltro moderna e laica rispetto agli standard del mondo islamico, considerata la tolleranza e la libertà religiosa praticata nel regno e confermata anche dall’accoglienza riservata a Papa Bergoglio nel febbraio 2019.

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Abu Dhabi ha varato iniziative improntate all’apertura politico-culturale e all’innovazione tecnologica come il programma spaziale nazionale (che oltre a spingere sulle capacità satellitari ha inviato una sonda in orbita intorno a Marte) e l’attivazione della prima centrale nucleare del mondo arabo, realizzata con tecnologia sudcoreana.

Gli EAU sono in prima linea nel contrasto al jihadismo e alla Fratellanza Musulmana sostenuta da Qatar e Turchia, avversari considerati prioritari anche rispetto all’Iran come sembrano indicare i recenti contatti “distensivi” con Teheran.

Sul piano militare gli Emirati Arabi Uniti, indipendenti da Londra solo dalla fine del 1971, dispongono oggi di una rete di basi in Eritrea, Somaliland, Yemen, nella Cirenaica libica e stanno aprendone un’altra nel deserto del Niger settentrionale, non lontano dal confine libico.

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Una politica di presenza attuata non solo con forze militari ma anche con contractors e mercenari arruolati per lo più in Africa, questi ultimi per operare al fianco di forze amiche come nel caso dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

In termini politici “l’accordo di Abramo”, come è stata chiamata l’intesa in Israele, garantisce alla campagna elettorale di Donald Trump quel prezioso successo diplomatico internazionale che finora era mancato alla sua presidenza dopo l’arenarsi degli accordi per la denuclearizzazione della Corea del Nord.

Al tempo stesso offre ai palestinesi l’opportunità di smarcarsi da sponsor quali Iran, Turchia e Qatar per perseguire un credibile accordo di pace che Israele sembra voler incoraggiare con la rinuncia ai programmi di ulteriori annessioni in Cisgiordania.

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Un’opportunità che, al momento, Hamas, Jihad Islamica e neppure l’Autorità nazionale palestinese (ANP) di Abu Mazen sembrano voler cogliere col rischio di condannarsi all’isolamento dal momento che l’accordo tra emiratini e israeliani potrebbe presto portare a normalizzare i rapporti tra Gerusalemme e altri Stati arabi a partire probabilmente da Bahrein, Oman e, in prospettiva, dall’Arabia Saudita riformata da Mohamed bin Salman.

Il crescente ruolo degli EAU nel sostegno all’ex nemico Bashar Assad ha certo una funzione di contrasto alla Turchia e di antagonismo nei confronti dell’Iran, che insieme alla Russia ha sostenuto Damasco durante otto anni di guerra, ma il consolidato asse tra emiratini ed egiziani “benedetto” da Mosca potrebbe aiutare Assad a ricostruire la Siria accompagnandolo al dialogo con lo storico nemico sionista.

L’accordo di giovedì potrebbe avere ripercussioni importanti anche nel cortile di casa nostra, rendendo più omogeneo il fronte che si oppone all’espansionismo militare ed energetico turco nelle acque del Mediterraneo Orientale: un fronte che già unisce egiziani, ciprioti, greci, israeliani e francesi.

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Sul fronte libico, in cui l’Italia per tutelare i suoi interessi è costretta ad assecondare o almeno non ostacolare i turchi ormai egemoni in Tripolitania, gli EAU (che, come il Qatar, presero parte al conflitto contro Muammar Gheddafi del 2011 anche inviando aerei da combattimento nelle basi italiane) hanno da oggi un ruolo ancora più autorevole nell’alleanza con Russia ed Egitto che sostiene il governo della Cirenaica e Haftar, riconosciuto recentemente anche da Damasco e che gode delle simpatie di Israele, preoccupato dall’espansionismo di Ankara nel Mediterraneo.

Le crisi degli ultimi anni hanno visto emergere prepotentemente potenze regionali che hanno giocato un ruolo chiave scavalcando in molti casi statunitensi ed europei in termini di influenza politica, economica e militare. In questo contesto l’accordo con Israele fa emergere gli Emirati Arabi Uniti come una potenza di cui sarà impossibile non tenere conto anche nel Mediterraneo.

@GianandreaGaian

Immagini: Casa Bianca, Twitter, Arab News, The National

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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