La Zona Economica Esclusiva Italiana approda in Parlamento

Finalmente ci siamo decisi, dopo tentennamenti decennali, spinti dall’aggressività dei nostri vicini e dai venti che spirano dal Mediterraneo Orientale, a mettere mano al problema della Zona Economica Esclusiva (ZEE) italiana. Una proposta di legge è ora all’esame del Parlamento e se siamo arrivati ben ultimi tra i Paesi mediterranei l’obiettivo ora è recuperare il tempo perso in modo da rafforzare la nostra marittimità. Intanto cerchiamo di analizzare la questione.

Oltre le acque territoriali delle 12 miglia si estendono grandi spazi marittimi potenzialmente soggetti alla giurisdizione nazionale. Non vogliamo parlare di Patria Blu, a noi non si addicono i toni retorici della Turchia cui fanno riscontro le tesi massimaliste della Grecia.

Ciò non toglie che, lo si voglia o no, il nostro Paese deve pensare anche a tutelare e valorizzare le zone di mare su cui vanta diritti sulla base della Convenzione del diritto del mare (Unclos).

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La piattaforma continentale italiana; le aree colorate sono aperte alla ricerca di idrocarburi. Quella in rosso è la zona “C” ad est del meridiano 15°10’ (Fonte Mise). I limiti della PC coincidono, grosso modo, con quelli dell’ipotetica ZEE. Le delimitazioni da definire con accordo riguardano soprattutto Croazia, Malta e Tunisia.

 

Nel secolo scorso c’erano le aree dei fondali della Piattaforma Continentale (PC) che l’Unclos considera prolungamento naturale del territorio emerso, normalmente estesa a 200 miglia, appartenente allo Stato costiero ipso iure senza necessità di proclamazione.

La nostra legislazione l’ha definita in modo appropriato ed i suoi confini  sono stati negoziati con ex Iugoslavia, Albania, Grecia, Tunisia e Spagna oltre a concordare con Malta, nel 1970, un Modus Vivendi di delimitazione a carattere provvisorio e limitato spazialmente entro il breve tratto dei fondali di 200 metri.

Poi, dopo il 2000, in Mediterraneo sono cominciate le proclamazioni relative alla colonna d’acqua il cui confine può o meno coincidere con quello del fondale.

Prima a titolo di zona di protezione ecologica (ZPE) o di pesca (ZPP), in seguito come Zona economia esclusiva (ZEE), cioè dell’area di diritti funzionali esercitabili dallo Stato costiero, entro il limite delle 200 miglia. , per la tutela ambientale e la riserva di pesca.

La corsa all’istituzione di ZEE è stata iniziata da Cipro (accordi con Egitto, Libano ed Israele) cui si sono accodati Tunisia, Libia, Francia e Spagna.

Da parte nostra, di fronte a questo inarrestabile trend, è stato adottato un approccio cauto, volto a mantenere alta la bandiera della libertà dei mari. Negli anni passati era molto elevato il rischio che alcuni Paesi usassero la ZEE come strumento per limitare l’attività delle forze navali richiedendo la preventiva notifica/autorizzazione al loro transito o alle loro esercitazioni. Non a caso i Sovietici facevano ricorso alla retorica del “Mediterraneo come lago di pace” proponendo l’allontanamento delle forze della Nato. Proprio per questo -forse per coerenza – ci siamo limitati ad istituire la ZPE con la legge 61-2006 procedendo ad un’unica proclamazione nel Tirreno (DPR 209-2011) anche perché, forse ai nostri pescatori, più che proteggere i nostri mari dalle incursioni straniere, interessava pescare specie pregiate in acque più lontane.

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Territorializzazione Mediterraneo centro-occidentale (Fonte MM): in blu le aree di sovrapposizione tra Algeria, Spagna, Italia e Francia. In verde chiaro la ZPE italiana. In verde scuro le ZPP Libica e Maltese e la ZERP Croata. In tratteggio i limiti ipotetici della ZEE tunisina non ancora delimitata con noi anche per spartire il “Mammellone”

 

In realtà, nel 2015 abbiamo anche concordato le frontiere marittime (comprese quelle ZEE) con la Francia. Purtroppo, sappiamo tutti che l’accordo è stato contestato da diversi ambienti italiani (ingiustamente a parere di chi scrive) e che ora giace  in attesa di una prossima ratifica.

Al momento ci sono quindi vaste zone di alto mare prospicienti le nostre coste in Adriatico e nel Canale di Sicilia. Un campanello di allarme che la situazione ci stava sfuggendo di mano è squillato nel 2018 quando l’Algeria ha proclamato, senza avvisarci, una ZEE che si sovrappone alla nostra ZPE del Tirreno ed alla sottostante piattaforma continentale.

Un rumore assordante, metaforicamente parlando, è poi venuto dalla crisi greco-turca che ha evidenziato l’esigenza di negoziare preventivamente la ZEE con i Paesi vicini ad evitare iniziative a nostro danno come potrebbe essere quella annunciata dalla Libia con Malta e Grecia,  nonostante sia risaputo che nel quadrante a sud est di Malta la Corte internazionale di Giustizia nel 1985 ha riconosciuto l’esistenza di nostri diritti.

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Zpe italiana stabilita con Dpr 209-2011.

 

Soprattutto ad est del meridiano 15°10’ dove noi abbiamo aperto alla ricerca di idrocarburi l’area “C”.  Oltretutto a giugno abbiamo già firmato un accordo con la Grecia  sul limite futuro delle rispettive ZEE che faciliterebbe la nostra partecipazione al negoziato proposto da Tripoli.

Insomma, per contrastare le pretese altrui, è necessario ufficializzare le proprie, perché altrimenti si manifesta una posizione rinunciataria e quasi acquiescente.

Di qui la Proposta di Legge(PdL) dell’On. Iolanda Di Stasio ed altri (A.C. 2313) i cui punti qualificanti sono:

  • normativa quadro che introduce la ZEE nel nostro ordinamento;
  • estensione della ZEE a partire dal mare territoriale, concordandone i limiti con i Paesi frontisti (visto che la distanza non consente, in nessun punto del Mediterraneo, proclamazioni di 200 miglia);
  • possibilità che, in attesa di tali accordi, si emani un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) che fissi provvisoriamente un confine fino ai limiti consentiti dal diritto internazionale, in genere identificabili nella mediana (in questo caso andrebbe forse previsto che il provvedimento venga preventivamente inviato per parere alle competenti Commissioni parlamentari).

ome si legge nella scheda di presentazione della PdL, «L’istituzione della ZEE garantirà al nostro Paese un conseguente vantaggio economico importante, ad esempio per una parte dell’economia blu come la pesca. Potrà inoltre costituire un importante strumento per mettere in campo iniziative più mirate alla sicurezza delle nostre coste e alla tutela dell’ambiente marino salvaguardando così una preziosa risorsa dallo sfruttamento eccessivo, in un’ottica sempre più sostenibile.

È quindi un intervento legislativo necessario per regolare tra le altre la pesca, la tutela dell’ambiente, e per rispondere a chi tenta di intaccare la nostra sovranità, cercando di appropriarsi di ciò che ci appartiene».

Finalità pienamente condivisibili ponendo l’accento sulla difesa della nostra sovranità, compito che per istituto appartiene alla Marina Militare. Il mare non è più libero come ai tempi di Grozio ma appartiene in gran parte agli Stati costieri che hanno il dovere di custodire e valorizzare gli spazi sotto giurisdizione nazionale cooperando tra loro, principio ancor più valido in un mare semichiuso come il Mediterraneo.

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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