I pescatori prigionieri e la controversa questione della Zona di pesca libica

 

Tanti sono gli episodi in cui la nostra Marina in più di cinquant’anni di Vigilanza Pesca (ViPe) nelle acque contese con la Tunisia  ha impedito il sequestro di battelli nazionali sulla base del modus operandi previsto da apposite norme di comportamento interministeriali.

La missione assegnata alla Forza armata era (ed è ancora) quella di proteggere la vita ed i beni dei pescatori vigilando nell’area del Canale di Sicilia del “Mammellone”, zona che non abbiamo mai riconosciuto come soggetta alla giurisdizione tunisina.

Questo giustifica la presenza continuativa della Marina tra le Pelagie e la Tunisia (ora assicurata dall’Operazione Mare Sicuro) ed un comportamento proattivo nel contrasto di eventuali sequestri.

In passato accaddero tuttavia episodi controversi  come il caso del  MP “Francesco Saverio Pomposo” in cui, su consiglio dell’Unità di crisi degli Esteri, si preferì non intervenire per evitare un’escalation.

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In evidenza puntiforme, a sud est di Lampedusa, il “Mammellone”; si noti la linea di equidistanza che lo attraversa, ipotetico confine della futura Zee italo-tunisina (Fonte: Francalanci, IIM)

 

Non c’è invece una posizione ufficiale italiana verso la rivendicazione libica di una Zona di protezione della pesca (ZPP) estesa 62 miglia al di là delle acque territoriali istituita nel 2005, il cui confine – anziché essere parallelo alla costa – è spostato verso nord dalla linea di chiusura (306 miglia) del Golfo della Sirte.

La protesta è stata effettuata nel 2005 dalla Ue in nome degli Stati membri (e quindi, anche dell’Italia) eccependo l’illegittimità della pretesa della ZPP determinata dalla non conformità al diritto internazionale della chiusura della Sirte.

Non risulta che la contestazione Ue accenni a diritti maturati dai nostri pescatori nella lunga frequentazione della zona, mentre al contrario fa risaltare l’interesse della Grecia ad un confine della ZPP costituito dalla mediana tra la Cirenaica e la piccola isola di Gaudo a sud di Creta.

La questione è ben spiegata nella risposta ad un’interrogazione al Parlamento Europeo del 2008. In sostanza, alla Ue non importa tanto della ZPP che di per sè non è illegittima, quanto delle pretese acque interne della “baia storica” del  Golfo della Sirte.

Peraltro lo status della ZPP è quello di un’area in cui la Libia fa un esercizio parziale dei diritti spettanti a titolo di Zona economica esclusiva (ZEE) che, oltretutto, Tripoli ha anche  dichiarato nel 2009 “fino ai limiti consentiti dal diritto internazionale”.

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Quadro situazione dell’area in cui è avvenuto il sequestro dei nostri pescatori (elaborazione a cura autore)

 

Nel contesto suindicato si inserisce la vicenda dei nostri pescatori fermati a 30/40 miglia da Bengasi, accusati anche di illeciti diversi da quelli di pesca (come il traffico di droga), il cui sequestro la nostra Marina, pur presente in zona, non avrebbe evitato secondo quanto rivelato da alcune testate giornalistiche.

Intanto, la zona del fermo potrebbe ricadere al limite tra ZPP e acque territoriali, il che spiegherebbe la pretesa giurisdizione sul traffico di droga che altrimenti esula dal regime della ZPP. Altri elementi rilevanti discendono dalla mancanza di contestazione italiana sia della ZPP che della chiusura della Sirte, e cioè:

1)  la raccomandazione alle navi italiane di evitare la navigazione in acque al largo della Libia perché dichiarate dal Comitato di coordinamento interministeriale per la sicurezza dei trasporti e delle infrastrutture (COCIST) “zona ad alto rischio”;

2) la mancanza di direttive politiche alla Marina, simili a quelle emanate con riguardo alle acque tunisine, di contrastare  comunque i sequestri di battelli italiani anche al di fuori di episodi di pericolo per la vita umana che richiedano interventi SAR.

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Si spiega così il comunicato dello Stato Maggiore Marina ove si precisa che tra le circostanze che hanno precluso l’intervento dell’elicottero del cacciatorpediniere De la Penne, distante circa oltre 115 miglia, vi è anche il fatto che «con il personale militare libico già a bordo, l’eventuale arrivo dell’elicottero sul luogo dell’evento avrebbe innescato un processo escalatorio, innalzando la tensione e mettendo a rischio la stessa sicurezza dei pescatori italiani».

Dunque, se si volesse consentire alle nostre unità navali una protezione ravvicinata dei battelli nazionali operanti nella ZPP libica, sarebbe prima necessario adottare una linea politica di contestazione ufficiale della pretesa.

Ma è mai possibile immaginare che ci si metta ora contro la Libia, nel momento in cui cerchiamo faticosamente di rinsaldare i rapporti per stare al passo con la Turchia?

Non si aprirebbe, in questo modo, anche un fronte contro il Governo di Tobruk (cui appartiene la motovedetta che ha sequestrato i due pescherecci) con cui, come precisa un illustre cattedratico come il Prof. Natalino Ronzitti, intratteniamo comunque relazioni di fatto?ù

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Meglio, allora, non inseguire la falsa narrazione delle acque internazionali in cui i libici ci vietano illegalmente la pesca, ma far sì che la Ue faccia la sua parte stabilendo forme di partenariato di pesca, favorendo nel contempo la creazione di società miste italo-libiche.

Ovviamente prioritaria resta la liberazione dei nostri connazionali, soprattutto quando appare sempre più chiaro che la protratta detenzione preventiva è sproporzionata rispetto alla natura dell’ipotetico illecito.

A questo punto, in un’ottica di realpolitik, andrebbe visto in una luce diversa l’accordo privatistico tra Federpesca ed imprese della Cirenaica, sospeso lo scorso anno,  che avrebbe  perlomeno aperto un canale di comunicazione.

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Un’ultima precisazione circa il modus operandi della Marina in contesti di uso della forza asimmetrici. Da un lato abbiamo lo sparo di colpi di avvertimento di un elicottero del “Martinengo” contro un battello impegnato in un attacco pirata nel Golfo di Guinea.

Dall’altro, la rinuncia a fare altrettanto nei confronti di un gommone della Cirenaica che, con l’appoggio di altri mezzi militari, ha già assunto il controllo dei nostri pescherecci.

A parere di chi scrive, i due episodi, giuridicamente parlando, non sono comparabili: una cosa è il compito di debellare il crimine internazionale della pirateria (funzione che l’art. 111 del Codice dell’ordinamento militare assegna istituzionalmente alla Marina) che postula l’attacco di una nave privata a danno di un mercantile; un’altra il confrontarsi, senza direttive politiche,  con forze militari di un’entità internazionalmente non riconosciuta, impegnate in un’azione coercitiva ma non violenta diversa da una  situazione di “SAR distress”.

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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