Quale revisione per la Legge 244/2012 e il modello a 150.000 militari?

 

Nonostante manchi ancora qualche anno alla sempre più remota piena implementazione della Legge 244/2012, “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”, negli ultimi mesi si è sviluppato un dibattito anche intenso sulla sua attuabilità.

Al centro dell’attenzione è stato posto il “Modello” da essa previsto che alla fine del 2024 dovrebbe vedere un comparto Difesa costituito da 150.000 militari e 20.000 civili. Sotto la spinta proveniente infatti da più parti, è stato ormai dato il via a una riflessione volta a comprendere se quelle consistenze organiche appena ricordate siano o meno adeguate rispetto a diverse considerazioni e valutazioni attuali.

Il 2 ottobre scorso la riunione del Consiglio Supremo di Difesa ha visto nel suo passaggio finale riportare che «…si è infine convenuto sulla necessità di effettuare una verifica della Legge 244/2012 “Revisione dello Strumento Militare Nazionale”, al fine di individuare eventuali correttivi in relazione al mutato contesto di riferimento.»

 

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Questa Legge, dall’allora Ministro della Difesa Di Paola ebbe un iter lungo e complesso, iniziato nell’aprile 2012 con la presentazione del Disegno di Legge e culminato con la sua approvazione il 31 dicembre dello stesso anno. L’anno successivo vide la discussione dei Decreti Attuativi che giunsero all’approvazione del Consiglio dei Ministri nel Gennaio 2014 con la piena approvazione dei Decreti Legislativi. Quello del 28 gennaio 2014.Il n. 7 (“Disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell’assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate”) e quello del 28 gennaio 2014, n. 8 (“Disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonche’ misure per la funzionalità della medesima amministrazione”).

Il provvedimento fu peraltro contrassegnato da una serie di ulteriori provvedimenti integrativi/correttivi negli anni seguenti.

 

Perché la 244/2012?

Questa Legge nasceva sulla base di una tanto semplice quanto “cruda” verità: il modello a 190.000 militari nato con un precedente provvedimento (quella Legge 331/2000 che segnò una svolta epocale, con la sospensione della leva obbligatoria in favore di un “Modello” su base interamente volontaria e professionale) non era più sostenibile economicamente.

Non perché non lo fosse in sé; il problema era infatti che a fronte di risorse già cronicamente insufficienti per la Difesa, a partire dal 2005 vennero attuati tagli al suo bilancio che andarono a colpire quasi esclusivamente i 2 capitoli di spesa dell’Esercizio e dell’Investimento.

Complice quindi gli squilibri già allora esistenti a livello di ruoli del Personale stesso, tutto questo aveva portato a una situazione “perversa”, rappresentata da un abnorme peso di questa stessa voce di spesa rispetto alle altre 2. Co, rischio di vedere le Forze Armate trasformate in “stipendificio”.

Da qui la scelta di ridurre, in maniera anche drastica, il Personale Militare e Civile per poi reindirizzare i risparmi così ottenuti (e mantenuti comunque all’interno del perimetro della Difesa) laddove ce n’era più bisogno.

In altri termini, si contava di passare dagli allora poco più di 178.000 Militari nel 2012 (si noti che, nei fatti, il modello a 190.000 era già stato abbandonato da tempo, a causa di una riduzione negli arruolamenti fra i Volontari di Truppa per i tagli al “modello professionale”) a 150.000 nel 2024m mentre i dipendenti Civili sarebbero dovuti passare dai 30.250 circa sempre del 2012, a 20.000.

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Si evidenzia anche che le stime allora formulate dal Ministero ipotizzavano un risparmio a regime di circa 2,2 Miliardi di euro l’anno. Risorse che avrebbero così dovuto contribuire a riportare in una condizione di equilibrio la struttura del Bilancio della Difesa: con un 50% per cento di fondi allocato al Personale e l’altro 50% (25 + 25) a Esercizio e Investimenti.

Una ripartizione considerata necessaria per garantire efficacia ed efficienza allo Strumento Militare ma basata sull’ipotesi di un bilancio della Difesa stabile negli anni a venire.

Nel luglio 2012 il Decreto Legge 95, cosiddetto di “spending review”; conteneva al suo interno importanti passaggi anche per le Forze Armate, riassumibili nella nascita di una sorta di “Modello intermedio a 170.000 militari”. Con esso si produceva infatti una repentina diminuzione degli organici (da conseguire entro il 1° gennaio 2016); replicata anche sul Personale Civile (fino a 27.800 unità).

Il punto è che i risparmi previsti da questa “spending review” non sarebbero più andati a beneficio della Difesa, vanificando di fatto (sia pure solo in parte) gli effetti positivi previsti dalla 244. Tanto che a percorso ultimato, e cioè a Decreti Legislativi approvati all’inizio del 2014, il risparmio a regime era ormai genericamente indicato in: «...oltre un miliardo lordo».

 

Cosa è andato storto?

Contestualmente alla riduzione degli organici delle Forze Armate, la 224/2012 ridisegnava anche la ripartizione fra i diversi ruoli del Personale.

In poche parole, a fronte degli allora quasi 23.000 Ufficiali, nel 2024 si sarebbe dovuto scendere fino a 18.300, i Marescialli dovrebbero scendere da quasi 56.000 a 22.170, i Sergenti crescere da quasi 15.900 a 18.500 e i Volontari di Truppa da poco più di 83.400 a 91.030.

Un riequilibrio del Personale che pare fallimentare, visto che a fronte di un organico complessivo che nel 2021 si posiziona poco sotto le 163.500 unità, sul fronte degli Ufficiali si registra ancora un eccesso di circa 3.100 unità rispetto al “Modello a 150.000”; mentre per i Marescialli gli esuberi sono ancora di 21.500 unità.

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Dal momento in cui non si riesce diminuire in maniera significativa laddove ci sono già eccessi, si interviene invece su quelli in carenza di organico come nel caso dei Volontari di Truppa, ormai assestati intorno alle 80.000 unità mentre quello dei Sergenti è l’unico ruolo prossimo all’obiettivo finale.

Del resto, dalla nascita di quel Provvedimento di Legge, il Ministro Di Paola era perfettamente consapevole delle difficoltà. Tanto da prevedere che: «Tale obiettivo (la riduzione a 150.000 militari, N.d.R.) sarà conseguito sia attraverso un’ulteriore significativa contrazione dei reclutamenti rispetto ai moduli di alimentazione previsti dalle vigenti disposizioni relative alla professionalizzazione delle Forze armate, sia attraverso una serie di misure volte a consentire il transito di contingenti di personale militare nei ruoli del personale civile del medesimo Dicastero della difesa e delle altre pubbliche amministrazioni,…

La norma reca, altresì, ulteriori misure volte a facilitare, con ogni necessaria garanzia per ciascuno, l’anticipazione dell’esodo del personale militare rispetto ai limiti di età: si tratta di una serie di possibili misure, tra le quali quelle dell’estensione dell’ambito applicativo dell’aspettativa per riduzione di quadri (ARQ) anche al personale di  livello non dirigenziale e del ricorso a forme di sospensione dal servizio, in relazione e limitatamente alle effettive esigenze di riduzione del personale.»

E infatti, già in fase di dibattito parlamentare lo stesso ministro elaborò delle proposte concrete ma tra difficoltà croniche (soprattutto nel transito di Personale Militare al comparto Civile della Difesa e/o ad altre Amministrazioni pubbliche) e “feroci” polemiche in Parlamento rispetto ad alcune ipotesi di estensione dell’ARQ e di sospensione dal servizio: di fatto, forme di “scivolo pensionistico” giudicate però un privilegio intollerabile!

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In altri termini, tutto viene lasciato al “naturale scorrere del tempo”. In pratica, e ancora una volta, la politica ha scelto la strada più comoda. Sarà cioè il graduale raggiungimento della pensione a fare tutto: poco importa se invece di 10 anni, ce ne vorranno chissà quanti di più. Si tratta infatti dello stesso copione visto con la Legge 331/2000 e con la sua mancata applicazione.

Arche allora infatti le Forze Armate si sarebbero dovute sottoporre sia a una “cura dimagrante” sul fronte degli organici, sia a un conseguente riequilibrio tra i ruoli del Personale. Passando dagli allora 220.000 militari circa in servizio ai 190.000 previsti dal nuovo “Modello”; e con vistose riduzioni ancora una volta in alcuni ruoli specifici (e cioè Ufficiali e Marescialli). Il termine previsto per il completamento venne allora fissato nel 2021, perché già in quella occasione non si volle mettere in campo alcun provvedimento volto a favorire una più rapida uscita dal servizio laddove necessario.

Di lì a poco, ci si rese conto che quel termine temporale non era assolutamente realistico e, complici i continui tagli di bilancio, l’unico passaggio ormai da compiere era decretarne il fallimento; spingendo così per quello a 150.000.

 

E ora?

Con il “sigillo ufficiale” arrivato dal Consiglio Supremo di Difesa, la discussione sulla Legge 244/2012 si è dunque avviata. Il prossimo passo diventa quindi capire cosa si intende per «…individuare eventuali correttivi in relazione al mutato contesto di riferimento».

Da almeno un paio di Forze Armate sono infatti giunte richieste esplicite al Parlamento di correttivi da intendersi come aumento degli organici. Da parte dell’Esercito la richiesta sembrerebbe più indirizzata a colmare le carenze tra i Volontari di Truppa presenti in questa fase: dunque potrebbe essere considerata a carattere temporaneo, perché teoricamente riassorbibile a Legge 244 completata.

Da parte della Marina invece è stata rispolverata una “storica avversione” verso il modello imposto dalla 244 stessa, indicando esplicitamente anche i numeri (più alti di quelli previsti) verso i quali si dovrebbe assestare l’organico della Forza Armata.

19. Artiglieri in addestramento (002)

Queste richieste hanno trovato consensi entusiastici nelle Commissioni Difesa. La priorità è il riequilibrio dei ruoli del Personale. È dal 2000 che le Forze Armate vivono in questa condizione che porta a una scorretta alimentazione dei reparti che produce un grave danno alla loro efficienza complessiva.

Pensare quindi di risolvere il problema solo con le indicazioni fornite dalle due Proposte di Legge tra loro simili (e già in fase di esame congiunto presso la Commissione Difesa della Camera) che prevedono il rinvio di 10 anni del termine del 2024 per il modello a 150 mila effettivi, non è più accettabile.

Significherebbe infatti allungare ancora di più questo lungo periodo di “agonia”. Meglio invece affrontare in maniera organica il problema, anche rimettendo in campo quegli strumenti ipotizzati nel 2012 e destinati a favorire una più rapida uscita dal servizio per chi nelle Forze Armate non potrebbe più stare.

Saranno anche decisioni “impopolari” per la politica ma se non si supera questo scoglio, il risultato non potrà essere che una sorta di “limbo perenne” per le Forze Armate stesse. Occorre poi riformare il “Modello Professionale”: anche in questo caso, il nostro Paese vive in una condizione di vistosa anomalia, con oltre l’81% del Personale in Servizio Permanente e meno del 19% in Ferma Prefissata.

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Pure questo aspetto finisce così con il diventare deleterio perché contribuisce ad alzare l’età media del personale e perché impedisce il necessario/continuo ricambio.

Il tema era stato segnalato dal Libro Bianco della Difesa 2015, laddove era prevista una riforma che puntava a (quasi) riequilibrare quelle percentuali: un obbiettivo già di per sé modesto che, oltretutto, è rimasto lettera morta. Anche in questo caso però la palla è nel campo della politica e anche in questo caso la ricetta non può che essere una sola: senso di responsabilità e un po’ di coraggio.

Certo, se invece si continua a ragionare in termini di: “Ferma Prefissata uguale Precario”, non è che le speranze di un salto di qualità nella giusta direzione siano poi molte. Peraltro, in questo campo sembrano maturi i tempi anche per la riforma delle carriere iniziali, volta a razionalizzare le figure professionali nella categoria dei Volontari di Truppa (anche in questo caso con tre Proposte di Legge simili, già in fase di esame congiunto sempre presso la Commissione Difesa della Camera).

Un ulteriore aspetto, quello finanziario, vede la Difesa continuare a vivere una condizione nelle quale le risorse disponibili non sono adeguate, non sono certe nel tempo, spesso male allocate con il Personale che ancora ne drena fin troppe.

Senza nessuna garanzia di un rapido nonché duraturo incremento di risorse (soprattutto sull’Esercizio, che peraltro subirebbe a sua volta un impatto da eventuali aumenti di organico), ogni “salto nel buio” andrebbe accuratamente evitato. Un ultimo punto riguarderebbe la necessità di un definitivo chiarimento su cosa l’Italia voglia dalle proprie Forze Armate.

 

Proposte concrete

La piena applicazione della 244 garantirebbe la disponibilità di oltre 15.000 tra Sergenti e Volontari di Truppa in più rispetto a livelli attuali assicurando un salutare abbassamento dell’età media e un giusto “ricambio generazionale”.

La definizione di un quadro finanziario all’insegna di risorse adeguate e stabili nel tempo favorirebbe la capacità di superare i gap capacitivi che sono maturati sia a seguito dell’invecchiamento dei sistemi in dotazione, sia per il sempre più grave deficit legata alla caduta in termini di operatività dello strumento militare.

28. L'addestramento dei Bersaglieri come Forza di prontezza rapida della NATO (002)

Se poi i ritenesse ancora di dover intervenire sugli organici, nulla vieta di affrontare la questione. Anche in questo caso però, evitando inutili sclerotizzazioni e maturando lo spirito giusto per trovare formule alternative. La prima è rappresentata dalla istituzione di una Riserva Operativa tenuto conto che anche rispetto a questo tema l’Italia presenta una condizione di arretratezza visto che tutti i maggiori Paesi Europei dispongono già di questo strumento.

Dunque, non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di analizzare quanto fatto altrove e, nel caso, adattarlo alle nostre specifiche esigenze. Si otterrebbe così un’aliquota di personale militare aggiuntiva (a costi sicuramente più contenuti delle forze regolari), da impiegare in maniera flessibile principalmente all’interno del territorio nazionale per compiti di concorso ad altre istituzioni (esempio, ordine pubblico/sicurezza e Protezione Civile); e, nel caso, anche all’estero.

In questo modo inoltre, si permetterebbe almeno a una certa aliquota di personale che lascia il servizio di non disperdere il proprio bagaglio di competenze ed esperienze professionali restando a disposizione come riservista.

Anche il tema della Riserva Operativa era stato sollevato dal Libro Bianco della Difesa del 2015, a dimostrazione che sotto molti punti di vista sarebbe opportuno riprendere in mano il lavoro redatto da ministro Roberta Pinotti e dal suo staff, riproporlo e trasformarlo in qualcosa di concreto.

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Altro versante sul quale sarebbe possibile lavorare è quello del Personale Civile che conta poco più di 24.000 unità di contro i 165.000 circa militari (e le cose non cambierebbero di molto neanche con il “modello Di Paola” completato). Al tempo stesso e tanto per fare alcuni esempi, in Francia il rapporto è 62.500 civili contro 205.800 militari, in Germania circa 82.000 civili contro 183.500 militari. Più complesso il caso Regno Unito ma comunque, anche in questo Paese ci sono quasi 58.300 civili contro gli oltre 146.000 militari della “Regular Force” che salgono a circa 195.000 includendo la “Reserve”.

Dunque, l’assunzione di personale civile qualificato anche oltre certi livelli già stabiliti, non deve essere per forza vista come un passaggio sbagliato. Anzi, proprio una componente civile “robusta” e qualificata rappresenterebbe una risposta relativamente economica a molte esigenze delle Forze Armate; tale personale potrebbe infatti assorbire funzioni di supporto o amministrative oggi assegnate ai militari, liberando questi ultimi per compiti operativi.

Infine, gli stessi aspetti legati a una più spinta integrazione interforze e a un ricorso a basi/caserme e infrastrutture più moderne nonché razionali dal punto di vista della presenza di reparti, unità o Comandi garantirebbe ulteriori margini di manovra nell’ottica indicata. Oltre ad assicurare recuperi di efficienza complessiva non disprezzabili.

 

Conclusioni

È dunque evidente che il ventaglio delle opzioni a disposizione sia ampio. Con alcune di queste (piena attuazione della 244 e riforma del “Modello Professionale”), come già chiarito, non solo a “costo zero” ma addirittura capaci di generare risparmi.

Altre invece (istituzione della “Riserva Operativa” e crescita del ruolo del Personale Civile) richiedono costi e sforzi organizzativi. ma di sicuro costituirebbero pur sempre e comunque una risposta logica, razionale ed economica alle esigenze delle Forze Armate.

Dunque sì a «correttivi» intesi come più rapido possibile completamento del percorso avviato con la 244; opportunamente integrato da ulteriori interventi. Di conseguenza, no a «correttivi» intesi come semplice abbandono al rialzo del modello a 150.000 militari da quella stessa Legge previsto, che in questo momento e in queste condizioni deve essere invece evitato se non si vuole innescare una nuova spirale di aumento dei costi.

Del resto, sono gli stessi dati elaborati dalla NATO a parlare chiaro: per quanto si stia registrando qualche progresso, per il nostro Paese le spese per il Personale continuano a pesare per oltre il 62%, quando in Francia si raggiunge il 44%, in Germania il 42% e nel Regno Unito il 34%. A dimostrazione di un’anormalità ancora forte.

Foto: Difesa.it

 

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Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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