I talebani tentano il colpo di mano nel sud

 

 

Pare ormai chiaro che la travolgente offensiva di primavera talebana, dopo aver assunto il controllo di gran parte dei valichi di frontiera del paese, pun5erà a conseguire entro a fine dell’estate un successo eclatante che possa consentire al movimento islamista di consolidare le sue posizioni sul piano militare e politico.

Se Kabul e altri grandi centri urbani del nord e dell’ovest non sembrano pericolanti, almeno in tempi brevi, lo stesso non si può dire per Kandahar, città simbolo del movimento talebano e ormai da alcune settimane cinta d’assedio dai miliziani. Dalla seconda città afghana sono in fuga decine di migliaia di abitanti ed è certo che all’interno del centro urbano operano già gruppi di talebani che in realtà non l’hanno mai del tutto abbandonato compiendo agguati e attentati contro le truppe alleate e governative.

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Anche nei momenti di maggior successo delle forze USA e NATO, tra il 2008 e il 2011, la provincia di Kandahar è sempre stata calda ma nelle ultime settimane, dopo il ritiro statunitense, le truppe governative hanno rapidamente perso il controllo di tutti i distretti circostanti la città.

Un noto attore afgano, Nazar Mohammed, è stato ucciso dai talebani nell’ambito di un’azione condotta da decine di miliziani che sono penetrati nelle abitazioni di numerosi funzionari statali per ucciderli.

Nazar Mohammed è stato trascinato in strada e sgozzato dai talebani, che non gli hanno perdonato di aver fatto parte della polizia locale e di rappresentare un simbolo per un Afghanistan diverso dall’oscurantismo talebano.

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Questa e altre esecuzioni rimaste impunite lasciano intendere che i talebani sono vicini a prendere il possesso di Kandahar.

In città peraltro cominciano a scarseggiare cibo, acqua e medicine ed è difficile che Kabul riesca inviare rinforzi significativi alla guarnigione locale nonostante gli americani abbiano ripreso a condurre raid aerei per aiutare i reparti afghani sotto attacco.

Il 1° agosto l’aeroporto di Kandahar, essenziale per l’invio di rinforzi alla guarnigione assediata, è stato colpito dal lancio di razzi.

Il comandante del Central Command statunitense, generale Kenneth “Frank” McKenzie, ha dichiarato che “gli Stati Uniti hanno intensificato gli attacchi aerei a sostegno delle forze afgane nel corso degli ultimi giorni, e sono pronte a mantenere tale maggior livello di sostegno nelle prossime settimane, se i talebani proseguiranno i loro attacchi”.

 

L’Emirato talebano

Le operazioni statunitensi in Afghanistan cesseranno però ufficialmente il 31 agosto, dopo di che i militari di Kabul resteranno del tutto soli di fronte al nemico.

La caduta di Kandahar consentirebbe ai talebani di poter proclamare il ricostituito Emirato dall’Afghanistan, uno stato dotato di una capitale, provvisoria in attesa della caduta di Kabul.

Un simile evento  avrebbe un impatto anche politico e diplomatico molto p0esante per il governo del presidente Ashraf Ghani: molte nazioni instaurerebbero direttamente o meno rapporti con il governo talebano (sta già succedendo ora come spieghiamo in questo articolo) e il morale delle truppe governative, già provato, ne verrebbe irrimediabilmente compromesso.  

AP Afghanistan

Da una settimana si combatte accanitamente anche intorno a Lashkar Gah, 200 mila abitanti capoluogo della provincia meridionale di Helmand, dove i talebani hanno preso il controllo di un altro distretto.

Ormai i talebani sono tornati a controllare diversi quartieri della città dopo che una controffensiva li aveva respinti dal centro urbano il 31 luglio.

“Ci sono combattimenti all’interno dell’abitato e abbiamo chiesto il dispiegamento di forze speciali”, ha reso noto Ataullah Afghan, capo del consiglio provinciale dell’Helmand. Le forze talebane e afgane “si scontrano strada per strada”, la città è “bombardata”, ha aggiunto Badshah Khan, un residente, aggiungendo che gli insorti hanno sequestrato diversi edifici amministrativi. L’uomo ha parlato di una “città morta” con strade disseminate di cadaveri.

La caduta dei due capiluoghi meridionali, Laskar Gah e Kandahar, tradizionali roccaforti dell’etnia pashtun e del movimento talebano, rappresenterebbe un grade successo, anche simbolico, per gli insorti.

Scontri durissimi sono in corso anche nel nord dove le forze governative sono riuscite a respingere attacchi a Taloqan, capoluogo della provincia di Takhar.

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E’ innegabile che i talebani hanno conquistato più territorio in Afghanistan negli ultimi due mesi che in qualsiasi altro momento da quando sono stati estromessi dal potere nel 2001.

Un’inchiesta della Bbc mostra che le forze governative afgane controllano ora principalmente le città e i distretti che si trovano nelle pianure o nelle valli fluviali, dove vive anche la maggior parte della popolazione. Le aree in cui i talebani sono più forti sono invece scarsamente popolate, spesso con meno di 50 persone per chilometro quadrato.

Secondo la missione delle Nazioni Unite nel Paese (Unama) “nel primo semestre 2021 il numero di civili morti ha raggiunto un livello record con un aumento particolarmente forte dei morti e dei feriti da maggio scorso, quando le forze internazionali hanno iniziato a ritirarsi e i combattimento si sono intensificati dopo l’offensiva dei talebani”.

Dall’inizio dell’anno sono morti 1.677 civili e 3.644 sono rimasti feriti, l’80% in più rispetto allo stesso periodo del 2020 ha denunciato la commissione indipendente afghana per i diritti umani, secondo cui tra le vittime si contano 154 donne e 373 bambini nel contesto della guerra contro i Talebani. In particolare, i militanti sono responsabili di 917 morti e 2.061 feriti nei primi sei mesi dell’anno, mentre le forze governative di 229 vittime e 565 feriti. Vittime sono state provocate anche dallo Stato islamico, in particolare 343 morti e 239 feriti.

Ad aiutare il governo di Kabul potrebbe scendere in campo l’India, interessata a contenere i talebani appoggiati dal rivale Pakistan.

La settimana scorsa il capo di stato maggiore dell’esercito afghano, generale Wali Mohammad Ahmadzai, ha dovuto rinviare la prevista visita di tre giorni in India a causa dell’offensiva talebana. Secondo alcune fonti nei colloqui era prevista la discussione degli aiuti militari che Nuova Delhi potrebbe offrire a Kabul.

 

La Cina cerca un’intesa con i talebani

La “questione afghana” è diventata prioritaria per Russia e Cina che rischiano di dover fare i conti con un paese che potrebbe presto tornare in mano agli studenti coranici (che già ne controllano a quasi totalità dei confini) e che potrebbe in prospettiva tornare ad ospitare e sostenere i movimenti jihadisti attivi in altri stati.

Il 28 luglio il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha incontrato a Tianjin, nel nord della Cina, una delegazione di 9 emissari talebani guidati dal mullah Abdul Ghani Baradar, uno dei fondatori del movimento talebano alla testa dell’ufficio di rappresentanza a Doha, in Qatar, dove si svolsero i negoziati con Washington che hanno portato al ritiro delle truppe alleate.

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L’incontro, non certo casualmente, si è tenuto pochi giorni dopo che le milizie talebane avevano conquistato il breve confine afghano-cinese, appena 91 chilometri nell’estremità orientale del cosiddetto “Corridoio di Wakhan”, nella provincia nord orientale del Badakhshan.

Pechino, che pure ha forti interessi minerari in Afghanistan ed è l’unico stato straniero ad aver utilizzato concessioni minerarie afghane nonostante le precarie condizioni di sicurezza, sembra voler affrontare con il consueto pragmatismo la nuova crisi afghana.

Pur senza condannare l’avanzata talebana, la Cina si prepara al peggio instaurando rapporti diretti con i talebani con l’obiettivo di farli diventare interlocutori politici per negoziare con loro alcune condizioni essenziali per Pechino.

La prima è indurre i talebani a cessare di sostenere la rivolta islamista e nazionalista degli uighuri del Sinkiang, regione che come il Tibet è oppressa dal tallone del regime comunista.

I talebani, che devono tranquillizzare la comunità internazionali per puntare a prendere il potere a Kabul, hanno già riferito che “non interferiranno” nelle questioni interne cinesi.

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In cambio di questo impegno Wang Yi ha definito i talebani una “forza militare e politica cruciale” aggiungendo che dovrebbero svolgere un “ruolo importante” nel processo di pace, riconciliazione e ricostruzione del Paese.  Secondo quanto riferisce l’agenzia di stato Nuova Cina (Xinhua) , Pechino ha chiesto ai talebani di mettere al primo posto gli “interessi nazionali”, per portare la pace, e adottare una “politica inclusiva”

Il “rapido” ritiro delle forze militari statunitensi e della Nato dall’Afghanistan “segna il fallimento della politica degli Stati Uniti” nel Paese asiatico ha detto ancora il ministro degli Esteri cinese rivolgendosi alla delegazione dei talebani in visita in Cina, esortandola a rompere con tutte le organizzazioni terroristiche, incluso il Movimento islamico del Turkestan orientale attivo nella regione dello Xinjiang.

I talebani “assicurano” a Pechino che il territorio afghano non verrà utilizzato contro la sicurezza” di altri Paesi: un’assicurazione simile a quella offerta agli Stati Uniti di non ospitare in futuro al-Qaeda o altre organizzazioni terroristiche.

DPA

Il coinvolgimento di Pechino nella crisi afghana è stato salutato positivamente da Washington, a conferma che il ritiro da Kabul aveva anche l’obiettivo di lasciare in eredità a Cina e Russia il bubbone del jihadismo afghano.

Potrebbe essere “positivo” un possibile coinvolgimento della Cina se negli auspici del gigante asiatico ci sono “una soluzione pacifica del conflitto” e un governo “davvero rappresentativo e inclusivo” ha detto il segretario di Stato Antony Blinken.

“Nessuno ha interesse a una presa militare del potere nel Paese da parte dei talebani, al ripristino di un emirato islamico”, ha detto Blinken che ha sollecitato i Talebani a sedersi “pacificamente” al tavolo dei negoziati.

 

Mosca in allerta

Anche Mosca ha definito “non realistica” l’ipotesi di una presa di potere dei talebani in Afghanistan: Zamir Kabulov, rappresentante speciale del Cremlino per l’Afghanistan, ha assicurato che Mosca è “preparata a tutti gli scenari se si dovesse arrivare a questo”. Del resto lo stesso Kabulov ha riconosciuto che “più della metà” del territorio afghano è sotto il controllo dei talebani che di certo non stanno impegnandosi molto per offrire un’immagine diversa da quella bellicosa.

AP Kunduz

Mosca non si è fatta trovare impreparata dinanzi all’avanzata talebana e dai rischi a cui sono esposte le repubbliche centro-asiatiche ex sovietiche. Il Cremlino ha inviato rinforzi in Tagikistan dive già sono basati 5mila militari russi e un migliaio parteciperanno alle esercitazioni organizzate dalla Russia al confine fra il Tagikistan e l’Afghanistan dal 5 al 10 agosto a cui prenderanno parte anche unità militari tagike e uzbeke.

Il 28 luglio, in visita a Dushanbè, il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu ha dichiarato che la Russia sta rafforzando “il potenziale da combattimento” delle sue basi nelle ex repubbliche sovietiche del Tagikistan e del Kirghizistan alla luce del peggioramento della situazione in Afghanistan e dell’avanzata dei Talebani. Con il loro “ritiro frettoloso”, gli Stati Uniti hanno creato una situazione sempre più pericolosa nella regione, ha affermato Shoigu. In risposta all’avanzata talebana e “per rispondere alla situazione di crisi”, il ministro ha annunciato l’arrivo nelle basi russe nei Paesi dell’Asia centrali di armi e tecnologia militare.

 

NATO e USA anacronistici

In questo contesto disastroso per il governo e le forze di sicurezza di Kabul la NATO e gli USA sbalordisconoi per la capacità di risultare anacronistici e fuori luogo quanto l’orchestra che continuava a suonare sul Titanic che affondava.

Il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha annunciato il 25 luglio che i militari afghani hanno consolidato le proprie posizioni attorno ai principali centri abitati in preparazione di uno sforzo volto a riprendere territori conquistati dai Talebani durante la ritirata delle truppe internazionali.

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”La prima cosa da fare è assicurarsi che possano fermare l’offensiva e mettersi nelle condizioni di poter riconquistare territori presi dai talebani, territori persi”, ha affermato parlando con i giornalisti. Austin si è detto convinto del fatto che i leader militari afgani siano “impegnati” e capaci di fermare le conquiste avversarie.

Un ottimismo, forse solo di facciata, difficile da condividere considerato che nella settimana seguente è stato perduto altro terreno e che dall’inizio ufficiale del ritiro delle forze straniere, il primo maggio scorso, i talebani hanno triplicato il numero dei distretti sotto loro controllo passando da 75 a oltre 220 sui 407 totali secondo il Long War Journal.

La Nato invece ha avviato, in Turchia,  il primo programma di addestramento per militari afghani fuori dai confini nazionali dopo la fine della missione di addestramento Resolute Support. Unità delle forze speciali afghane sarebbero state trasferite in Turchia per un corso che si presume sia il preludio a regolari programmi di addestramento fuori dall’Afghanistan.

Un portavoce della Nato a Bruxelles ha confermato l’avvio del programma senza fornire dettagli . “In aggiunta al proseguimento della presenza diplomatica e dei finanziamenti, il continuo sostegno della Nato all’ Afghanistan include l’addestramento all’estero per le forze speciali afghane”, ha detto, parlando di un “addestramento iniziato”.

Con il ritmo con cui avanzano i talebani non è certo che questi incursori afghani facciamo in tempo a rientrare in patria.

@GianandreaGaian

 

Foto : US DoD, Governo Afghano, Tolo News, NATO/Resolute Support

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.

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