Che pasticcio sull’F-35
Nel giro letteralmente di poche ore il governo Renzi ed il ministro della difesa Pinotti hanno rilasciato una serie di dichiarazioni contraddittorie e contrastanti sul più contestato programma di acquisizione della difesa. Indiscrezioni ed anticipazioni davano per probabile l’abbandono del progetto, poi il suo dimezzamento, forse a beneficio della terza tranche di Eurofighter, infine sembra che tutto resti immutato! Un pasticcio colossale creato dalla convergenza astrale tra la cronica ignoranza dei nostri politici in materia di sicurezza e difesa (l’esercito italiano costa più di quello israeliano…), il crescente peso delle lobby sia industriali che dell’informazione, l’ansia spasmodica di recuperare risorse ed il desiderio di ingraziarsi le frange pacifiste e terzomondiste del partito democratico, fortemente penalizzate nelle tematiche del lavoro. Sarebbe peraltro interessante capire perché governo ed opinione pubblica siano così sensibili al tema dell’F-35, mentre i finanziamenti per il rinnovo della flotta vengono tranquillamente inseriti nella legge finanziaria senza incontrare opposizione di sorta: quale valutazione è stata fatta, perché una fregata sembra essere più accettabile di un aereo da caccia? Misteri della politica nazionale.
Tornando al tema iniziale cerchiamo di ricapitolare, in termini elementari, le principali caratteristiche della questione F35, che può essere esaminata essenzialmente sotto tre aspetti fondamentali e distinti: quelli tecnico-operativi, quelli politico-industriali e quelli meramente economici, tre diverse angolazioni che corrispondono alle affermazioni ricorrenti “non ci servono”, “non funzionano” e “costano troppo”. Sulla necessità di garantire un rimpiazzo alla linea d’attacco della nostra Aeronautica credo non sussistano dubbi. A quanti nei blog (nuovo centro pulsante del pensiero politico nazionale e fucina di direttive strategiche, purtroppo spesso dello stesso spessore delle chiacchiere da bar) si chiedono chi debba bombardare l’Italia con questi aerei consigliamo di chiedersi invece quante volte negli ultimi anni Tornado, AMX ed AV-8B (gli aerei che il contestato caccia è chiamato a sostituire) sono stati impiegati in operazioni nei vari teatri che hanno visto coinvolte, a vario titolo, le nostre Forze Armate. Missioni condivisibili o meno, ma pienamente legittime ed adottate da governi di tutti gli orientamenti politici nel pieno della loro legittimità: dalla prima guerra del Golfo al Kossovo, da Enduring Freedom alla Libia, per finire con l’Afghanistan.
Gli avvenimenti più recenti hanno evidenziato invece ancora una volta l’importanza del potere aereo, soprattutto quando le caratteristiche operative del teatro, le condizioni politiche e le restrizioni finanziarie limitano o impediscono lo spiegamento di forze di terra. L’F35 è un aereo molto sofisticato e complesso, ma le caratteristiche che offre danno una elevata garanzia di mantenimento di un ragguardevole margine di superiorità tecnologica nei prevedibili scenari di impiego, ipotesi operative che oggi possono essere appena intraviste, ma che non per questo possono venire escluse con sufficienza ed una buona dose di superficialità. Certo, se crediamo che l’unica missione futura possibile consista nel bombardare qualche gruppo di Talebani, l’F-35 appare decisamente esagerato, ma basta un’occhiata alla carta geografica ed una scorsa alle notizie di politica estera per rendersi conto che viviamo in angolo di mondo tra i più caldi e conflittuali, caratterizzato da stravolgimenti repentini e dal possibile insorgere di nuove minacce di cui, forse, si sono avvertite solo le prime avvisaglie sulla sponda sud del Mediterraneo. Un minimo di lungimiranza non guasta davvero: credo che nessuno potesse prevedere nel 2010 che l’anno successivo i nostri Tornado avrebbero lanciato degli Storm Shadow sulla Libia!
Dal punto di vista tecnico (“non funziona”) l’F35 rappresenta uno straordinario salto tecnologico: le sue capacità operative stravolgono le concezioni attuali con prestazioni, soprattutto nel settore della consapevolezza della situazione tattica, dell’analisi della minaccia, dell’integrazione e fusione dei dati raccolti dai sensori di bordo, che non trovano riscontro nei caccia attualmente in servizio. Certo tante innovazioni possono produrre ritardi nelle fasi di sviluppo e consistenti lievitazioni di costi, problematiche peraltro che da tempo accompagnano tutti i programmi innovativi ad alto contenuto tecnologico. Lo stesso Typhoon ha conosciuto uno sviluppo lento, tutt’altro che concluso, con macchine della prima tranche sostanzialmente differenti da quelle delle successive ed aggiornabili con difficoltà e costi elevati, motivo per il quale sia la RAF che l’AMI le vorrebbero radiare in tempi brevi.
A questo proposito sarebbe interessante una valutazione approfondita ed imparziale dei vantaggi e svantaggi dello sviluppo “a spirale” dei caccia moderni, una progressione senza fine di costosi refitting, con una linea operativa costituita da macchine sostanzialmente diverse e con capacità differenziate. Da un punto di vista industriale, invece, la scelta dell’F35 rappresenta una sconfitta forse irreversibile dell’industria aeronautica europea, che dopo le esperienze di Tornado ed Eurofighter ha dovuto abdicare al ruolo di punta nella ricerca tecnologica più avanzata. A questo aspetto si accompagna il rischio, tutt’altro che infondato, che l’adozione di tecnologie essenzialmente statunitensi ci renda ancor di più dipendenti da quel Paese in ogni aspetto dello politica estera, fino a minare la sovranità nazionale. Sono considerazioni condivisibili più volte affrontate da Analisi Difesa. Purtroppo queste valutazioni andavano fatte nelle massime sedi decisionali europee diversi anni fa, quando era il momento di assumere le decisioni e porre in essere gli accordi politico-industriali per lo sviluppo di un nuovo caccia nel vecchio continente, un aereo in grado di dare corpo alla volontà dell’Europa di perseguire una politica di difesa indipendente e di tutelare il proprio patrimonio industriale .
Tutto questo non è avvenuto e, al di là di qualche recriminazione di facciata, non avviene neanche oggi. Davvero non li vedo premier e primi ministri di Italia, Spagna, Germania e Regno Unito varare un progetto impegnativo per un caccia di quinta generazione, capace di contrastare gli analoghi modelli realizzati in Russia ed in Cina: sarebbe fantapolitica! Naturalmente sarebbe possibile equipaggiare l’intera prima linea dell’Aeronautica sul solo Eurofighter, valorizzandone le capacità multiruolo. Finanziariamente gli oneri rimarrebbero dello stesso ordine di grandezza, ma si tratterebbe in gran parte di fondi destinati a rimanere in Italia. Tuttavia questa ipotesi appare riduttiva delle capacità del nostro strumento in proiezione futura.
E’ la soluzioni che sembra prevalere in Germania, ma francamente la posizione geo-strategica italiana risulta oggi ben diversa da quella tedesca, per le minacce potenziali incombenti e l’instabilità complessiva del bacino del Mediterraneo.
Inoltre un certo numero di F35 dovrebbe essere acquistato comunque. La versione STOVL F-35B è infatti l’unica scelta possibile, assolutamente priva di alternative, per la sostituzione degli AV-8B della marina, senza i quali l’Aviazione Navale semplicemente cesserebbe di esistere.
Il pieno sviluppo delle capacità aria-suolo del caccia europeo richiederebbe peraltro nuovi investimenti, che attualmente nessuno appare desideroso di effettuare. Le caratteristiche offerte dalle tranche 2 e 3 del Typhoon non sono assolutamente paragonabili a quello del velivolo d’oltre oceano, e non lo saranno nemmeno con l’adozione del radar AESA a scansione elettronica. Non resta pertanto che cercare di giocare al meglio la partita dell’F35, per aggiudicarsi adeguate contropartite industriali, quote di lavoro, cessioni di tecnologie, offset e compensazioni, pretendendo la completa integrazione sull’aereo dei sistemi missilistici europei, sia aria-aria che aria-suolo. Qualche risparmio lo si può ottenere acquisendo per l’impiego a terra la sola versione a decollo convenzionale, decisamente più semplice ed economica, evitando sterili rincorse emulative tra le due Forze Armate.
Sul costo del programma Joint Strike Fighter, infine, è stato detto di tutto. Certo l’F35 non è un caccia a buon mercato, ma nemmeno l’Eurofighter lo è.
Il costo di acquisizione del caccia europeo appare dello stesso ordine di grandezza, se non superiore, ed altrettanto esorbitanti risultano essere gli oneri di esercizio. Quindi un’eventuale alternativa economica agli F35 dell’Aeronautica (quelli della Marina, lo ripetiamo, non hanno rimpiazzi possibili) andrebbe ricercata altrove, magari ancora negli Stati Uniti con l’F18E, una macchina già matura ed operativa, priva di rischi tecnologici e di incognite finanziarie. Non mi risulta però che, contrariamente a quanto è accaduto in altri Paesi, sia stato prospettato da alcuno un serio dibattito sulle possibili alternative all’F35 per il riequipaggiamento dei nostri reparti. Nessuna forza politica, di governo o di opposizione, ha avanzato ipotesi concrete e non propagandistiche, forse perché di scarsa presa elettorale. In ultima analisi va rilevato che l’F35, per quanto costoso, è stato acquistato da Israele, Giappone, Corea e Norvegia, tutti Paesi che sorgono nelle vecchie e nuove aree di crisi e sottoposti a concrete minacce: hanno affidato al caccia di Lockheed Martin le loro aspirazioni in tema di sicurezza e difesa. Forse non è un caso….
Foto: Lockheed Martin e Ministero Difesa
Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli
Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.