Berlino vuole imporre, a suon di multe, la dittatura del politically correct
Il ministro della Giustizia tedesco ha proposto la scorsa settimana una legge che potrebbe costringere Facebook e gli altri social network a pagare multe salate se non riuscissero a “estirpare” dai loro siti la piaga degli “hate speech”, i discorsi di incitamento all’odio.
Il ministro, il socialdemocratico Heiko Maas, ha duramente criticato le iniziative di Facebook per reprimere i post e i commenti xenofobi e razzisti spiegando che le nuove misure prevedono, contro i social responsabili, ammende di un massimo di 50 milioni di euro.
Maas ha poi sottolineato che la proposta di legge, che avrebbe ancora bisogno dell’approvazione del consiglio dei ministri della Cancelliera Angela Merkel e poi del parlamento, arriva dopo alcuni mesi in cui la compagnie sono state autorizzate ad assumere iniziative volontarie.
“Queste si sono rivelate insufficienti e i post non sono rimossi abbastanza rapidamente”, ha detto Maas ai giornalisti, citando i dati forniti su internet dall’organo di controllo jugendschutz.net.
Insomma, per il governo tedesco la “censura” interna praticata dai social network non è abbastanza incisiva né veloce e non riesce a impedire la diffusione di commenti, notizie e opinioni “non allineate”, cioè politcamente scorrette.
L’aspetto più grottesco è che sarà lo Stato tedesco a decidere cosa è “incitamento all’odio” e cosa non lo è: un nuovo “grande fratello” orwelliano che minaccia quelle libertà di espressione e opinione che sono state negli ultimi 70 anni alla base dell’Occidente e dell’Europa.
Tanto per chiarirci le idee: in Germania, Olanda o altri Paesi dell’Europa Occidentale viene tollerata l0’applicazione della sharia presso molte comunità islamiche, imam salafiti predicano liberamente jihad, rogo per i gay e stupro per le donne che “mostrano il loro corpo e si profumano” senza aver mai subito processi o censure mentre chi osa criticare simili barbarie rischia l’accusa di “islamofobia”.
Curiosamente, circa 80 anni or sono, fu ancora una volta la Germania (nazista) a varare il più ampio programma di censura e repressione del dissenso mai visto nella storia d’Europa ed eguagliato solo dall’analogo sistema comunista sovietico.
Certo allora era più facile il lavoro del censore, non esistevano i social network, ma il principio di vietare ogni forma di espressione che dissenta dal “sistema vigente” pare ancor oggi ben saldo a nord delle Alpi.
Vignetta: Prezi.com
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.