Tensioni in Kosovo e riarmo balcanico
Nel corso del mese passato nell’area balcanica vi sono stati numerosi sviluppi che hanno interessato il settore della difesa e della sicurezza.
Il più importante di questi è stato certamente quello relativo all’intenzione manifestata da parte del governo kosovaro di dotarsi quanto prima di un vero e proprio esercito che possa andare a colmare il vuoto attualmente esistente e, soprattutto, permettere il ritiro del contingente internazionale dispiegato sul suo territorio. Come è facile immaginare, tale ipotesi ha incontrato l’immediata ostilità della Serbia, disposta a tollerare unicamente la presenza della KFOR in quella che vede ancora come una propria legittima provincia.
Inaspettatamente però, una forte presa di posizione è arrivata anche dalla NATO che, per bocca del suo Segretario Generale Jens Stoltenberg, ha fatto sapere di non appoggiare la posizione di Priština, in quanto si tratterebbe di un passo in avanti meritorio di più approfondite discussioni e, soprattutto, una maggiore convergenza tra gli attori regionali. Similmente, anche gli USA hanno fatto sapere di non essere al momento disposti ad appoggiare il loro alleato, decisione che ha portato il Presidente Hashim Thaci a fare marcia indietro e a rinunciare, almeno per adesso, al dispositivo militare. In ogni caso, è probabile che il tema torni nuovamente ad essere di attualità nei prossimi mesi, in quanto il Kosovo lo ritiene di vitale importanza, mentre i membri dell’Alleanza Atlantica potrebbero decidere di appoggiarlo per semplificare il ritiro delle proprie truppe o, in alternativa, per avere un aiuto in funzione anti-russa e, quindi, anti-serba.
I sempre più frequenti richiami alla presunta egemonia di Mosca nell’area, infatti, sembrano dimostrare che per Washington e Bruxelles i Balcani sono tornati a rappresentare un terreno di scontro con la Russia. A tal proposito, è interessante notare che il Kosovo può contare sul fortissimo appoggio del ranking member democratico nel Comitato degli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti.
Secondo Eliot L. Engel, infatti, il compito di Washington dovrebbe essere quello di esprimersi contro le donazioni russe di materiale d’armamento a favore della Serbia e, nel contempo, fare di tutto affinché Priština si possa dotare quanto prima di un esercito. La maggioranza repubblicana, però, non sembra dello stesso avviso, anche se una tesi analoga era stata sostenuta dall’attuale Segretario alla Difesa, il generale Mattis, in occasione dell’audizione per la sua nomina in gennaio.
Passando, invece, ad un tema politicamente meno scottante, nelle scorse settimane ha fatto particolare scalpore la notizia secondo cui l’aeronautica croata si troverebbe in condizioni sempre più critiche. Secondo il quotidiano zagabrese Jutarnji List, infatti, il Paese conterebbe solamente su 4 Mig 21 funzionanti (prodotti tra 35 e 44 anni fa), nonostante nel 2015 ben 12 esemplari siano stati inviati in Ucraina per essere rimontati e sistemati. Stando ad alcuni media, però, Kiev non avrebbe rispettato in maniera soddisfacente gli accordi, restituendo a Zagabria gli aerei senza averne risolto i problemi, il che ha spinto la Croazia a ordinare delle indagini interne di polizia militare.
Infine, il portale Tangosix.rs, il principale sito ex-jugoslavo dedicato all’aviazione, solleva anche dei dubbi sulle tempistiche con le quali sono stati portati all’attenzione dell’opinione pubblica questi temi, ricordando, infatti, che Zagabria ha da poco annunciato la riduzione del budget militare di 50 milioni di Euro.
La situazione attuale è quindi nota ai vertici delle forze armate (Presidentessa Kolinda Grabar-Kitarović in primis), che però vedono scontrarsi le ambizioni di ammodernare la flotta aerea con gli stringenti vincoli di bilanci, che non permettono investimenti simili a quelli effettuati ad esempio dalla Romania. Alla luce dei diversi tentativi (falliti) di ottenere dagli Stati Uniti alcuni cacciabombardieri F-16, secondo le informazioni pubblicate alla fine del 2016 dal già citato Jutarnji List, la scelta finale dovrebbe essere fatta tra lo svedese Gripen JAS 39 C/D e il sudcoreano FA-50, anche se la spesa necessaria non ha ancora convinto il Governo a dare il proprio assenso.
In ogni caso, non è escluso che nel prossimo futuro, anche considerando gli investimenti militari russi e bielorussi a favore della Serbia, qualche alleato di Zagabria possa decidere di aiutarla, magari offrendole dei velivoli a costo zero e chiedendo solo il pagamento degli aggiornamenti e delle riparazioni necessarie.
La Bulgaria, invece, non sembra avere di analoghe preoccupazioni, come conferma il fatto che il 17 marzo si è svolta l’ultima fase della gara internazionale per la fornitura di 8 aerei e a cui partecipano Portogallo (con il supporto USA), Italia e Svezia. Secondo quanto riportato dal sito Aeropress-bg, Lisbona (in tandem con Washington per quanto riguarda la logistica) ha offerto degli F-16 MLU usati (simili a quelli comprati a fine 2016 dalla Romania), Roma gli Eurofighter Tranche 1 di cui l’Aerinautica Militare cerca da tempo di disfarsi, mentre Stoccolma offre caccia Gripen C/D nuovi.
La scelta finale spetterà alla commissione tecnica allestita ad hoc per valutare le proposte e che, secondo le intenzioni dell’Esecutivo, dovrebbe riuscire a decidere già ad aprile, in modo tale da far ratificare quanto prima al Parlamento il contratto di acquisto. L’investimento in questione fa parte di un ambizioso piano di modernizzazione delle forze armate lanciato dalla Bulgaria allo scopo di dotare il Paese, entro il 2020, di otto nuovi aerei, a cui ne seguiranno altrettanti a partire dal 2022, nonché di aggiornare i 10 Mig-29 attualmente già in servizio, ai quali, tra le altre cose, sarà necessario sostituire i propulsori.
La Serbia, infine, merita una menzione a parte, in quanto Stato ex-jugoslavo maggiormente attivo nell’ambito della ricostruzione delle capacità militari, fortemente indebolite sia dai conflitti degli anni ’90 sia dalla crisi economica che ha impedito di allocare le risorse necessarie a tenere il passo con i tempi.
Negli ultimi mesi le aziende locali hanno lanciato una serie di prodotti che dovrebbero rispondere alle esigenze dell’Esercito, nonché a quelle di potenziali acquirenti esteri. Stando alle dichiarazioni del Premier Aleksander Vučić, infatti, Belgrado avrebbe già ricevuto numerose richieste d’acquisto, che però non è in grado di soddisfare a causa del precario stato in cui si trova la sua industria bellica.
Buona parte dei componenti dei mezzi blindati di nuova generazione, quindi, sono acquistati all’estero e non ancora dato sapere se il Governo, nell’ambito degli investimenti promessi per far ripartire il settore, intenda puntare sull’esportazione e quindi sulla ricostruzione di un forte polo produttivo legato alla Difesa.
In ogni caso, nel corso della recente IDEX 2017 di Abu Dhabi tre veicoli hanno suscitato il maggiore interesse. Il primo è il blindato multiruolo 8×8 Lazar 3, mezzo ruotato capace di raggiungere i 110 km/h su cui è possibile installare protezioni sino al livello 4 (5 per la parte frontale), nonché una torretta remotizzata armata con una mitragliatrice calibro 12,7 mm o una cupola con cannoncino da 30mm.
I visitatori della fiera sembrano essere stati colpiti anche dal Miloš, un veicolo corazzato multiruolo da combattimento progettato in 5 diverse varianti (comando, anti-carro, sanitario, etc.), dotato di una protezione livello 3 e di una torretta remotizzata comune a quella del fratello Lazar 3.
Infine, ha visto finalmente la luce anche il semovente d’artiglieria Nora-B52 di cui si parlava ormai da anni e che dovrebbe mandare in pensione l’ormai datato 2S1 “Gvozdika”, cingolato sovietico risalente al 1971 e armato con una bocca di fuoco da 122mm.
In considerazione delle problematiche sopra menzionate è possibile ipotizzare che questi nuovi mezzi andranno a sostituire molto lentamente quelli attualmente in servizio, motivo per cui non deve stupire che il Paese abbia accettato di buon grado addirittura la donazione russa di alcuni datati BRDM-2. Più rapida, invece, dovrebbe essere l’introduzione della nuova generazione di “Kalašnikov” interamente prodotti in Serbia e capaci di incamerare sia il classico 7,62 x39mm del Patto di Varsavia, sia il 6,5mm Grendel. Belgrado, infatti, pare intenzionata ad utilizzare questo calibro accanto o, addirittura, al posto del 5,56 mm NATO, in quanto lo ritiene più performante e più adatto alle nuove esigenze della fanteria.
Foto: Wikimedia, Aeronautica Croata e Yugoimport
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.