Siria: il disastro dell’economia dopo sei anni di guerra

AGI – Macerie, distruzione e una economia in ginocchio. Sei anni di guerra hanno devastato la Siria non solo sul piano umanitario (un rapporto del Syrian Centre for Policy Research diffuso dal Guardian a febbraio parla di 470 mila morti e 1,9 milioni di feriti, il doppio delle statistiche Onu) ma anche su quello economico, riportando il paese indietro di almeno di 30 anni.

Un’analisi pubblicata dal quotidiano francese Le Figaro, restituisce un’immagine impietosa e drammatica di sei anni di guerra, da cui emerge una sorta di grado zero dello sviluppo. L’economia siriana è crollata, la povertà dilaga, l’inflazione è incontrollabile, il debito esploso, le infrastrutture devastate.

Già nel 2014 un funzionario delle Nazioni Unite incaricato di elaborare una strategia per la ricostruzione siriana sottolineava che “il paese ha perso almeno un decennio in termini di indice di sviluppo umano e la sua economia è tornata a livello degli anni ’80. La Siria non sarà mai più la stessa, la sua economia sarà modesta, la sua popolazione molto inferiore”.

Qualcuno dice addirittura dimezzata. E due anni e mezzo dopo la situazione è decisamente peggiorata. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite realizzato in collaborazione con l’Università scozzese St. Andrews, le perdite complessive dell’economia siriana tra il 2011 e il 2015 sono stimate in 259,6 miliardi di dollari, con il prodotto interno lordo che si è contratto del 55% tra il 2010 e il 2015, mentre ci si attendeva una crescita attorno al 32% in assenza di conflitto.

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Il crollo dell’economia siriana si è particolarmente acuito tra il 2012 e il 2013, nel momento in cui si sono intensificati i combattimenti e sono iniziate le sanzioni economiche imposte dai paesi in tutto il mondo. Il 14 maggio del 2012, l’Unione Europea ha introdotto sanzioni sull’olio e sul tabacco, qualche mese dopo, ad agosto, la stessa decisione è stata presa dagli Stati Uniti.

A dare il colpo di grazia ad un Pil già esangue, il crollo della produzione di petrolio tra il 2010 e il 2013, passato in un anno da 386 mila a 28 mila barili al giorno e di gas naturale che da 8,9 miliardi di metri cubi al giorno è calato a 5,9 miliardi.

L’economia di guerra ha portato con sè un’inflazione ormai completamente fuori controllo: l’indice dei prezzi al consumo, uno dei pochi indicatori ancora pubblicati ogni mese dalla Central Bureau of Statistics siriano, si è complessivamente moltiplicato per 5 tra il 2010 e il 2016.

La difficoltà di approvvigionamento di cibo, di carburante, di medicine, ma anche la chiusura delle aziende pubbliche di fornitura di servizi essenziali, dall’acqua all’energia, hanno fatto schizzare i prezzi alle stelle.

A fare le spese dell’impennata folle dei prezzi, sono stati naturalmente i cittadini siriani: secondo l’ufficio centrale di statistica, il prezzo delle verdure tra il 2010 e il 2016 è aumentato di 9 volte, quello dell’acqua minerale delle bibite e dei succhi di 8. Il prezzo di pane e cereali è aumentato di cinque volte.

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Secondo un rapporto del 2015 dell’Ifad e del Programma alimentare mondiale, le famiglie siriane spendono quasi tutti i loro pochi redditi per gli acquisti di beni alimentari: in alcune zone del paese, le spese alimentari possono superare il 50% al 60% delle spese complessive di una famiglia. E naturalmente le famiglie più povere sono le più colpite.

Il tasso di povertà è spaventosamente cresciuto: nel 2015, oltre l’80% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà’, contro il 28% nel 2010. Quasi 7 siriani su 10, il 69,3% della popolazione, vivono in condizioni di povertà estrema, non essendo in grado di soddisfare i bisogni primari.

La situazione nel paese naturalmente è complessa e il livello di povertà differisce da un governatorato all’altro, ma ovviamente aumenta notevolmente nelle zone di conflitto e nelle aree assediate. Secondo una stima delle Nazioni Unite, l’aspettativa di vita è passato dai 70 anni nel 2010 a 55,4 anni nel 2014.

Il tasso di mortalità è aumentato da 3,7 per mille nel 2010 a 10 per mille nel 2015, con punte di 12,4 per 1000 nelle province più pesantemente colpite dalla guerra come Aleppo, Daraa, Deir Ezzor, Idleb e Damasco. A incendiare ancora di più i prezzi, oltre alla scarsità di beni e di servizi, anche la decisione del governo siriano di svalutare la moneta per tentare di colmare il pozzo nero del deficit di bilancio.

Roma, 3 giu. (askanews) - "Tutti a Raqqa". E' questo il nome di operazione militare che sta èper lanciare il regime del presidente siriano Bashar al Assad per la riconquista della capitale dello Stato Islamico (Isis). E' quanto riferisce oggi "Al Akhbar" un giornale libanese molto legato a Damasco che parla di un "potente ritono in campo" di Mosca "che appogerà dal cileo l'offensiva"; un evdiente segnale a Washington ed ai suoi alleati che non lascderà a loro "il trofeo" della caccia all'Isis. Lo scorso 25 maggio, forze arabe-curde sostenute dagli Stati Uniti hanno lanciato un'offensiva su Raqqa. Secondo le fonti del giornale, "da giorni le truppe dell'esercito siriano e delle forze alleate (Hezbollah libanesi ed iraniani" si stanno ammassando nella zona di Atharia nella provincia di Hama in attesa dell'ora x per la battaglia di Raqqa".

E naturalmente tutti gli indicatori economici di una situazione di guerra non possono che essere negativi: e così, sempre secondo le cifre citate dal Figaro, l’export siriano ècrollato del 29% nel 2015 a causa della chiusura delle frontiere, del calo della domanda e del deprezzamento della moneta.

L’economia siriana dunque, è sempre più dipendente dalle importazioni. E qui a farla da padrone è la Russia. L’intervento militare del Cremlino che un anno e mezzo fa ha ribaltato le sorti del conflitto rimettendo di fatto in sella Bashar al Assad, ha ulteriormente rafforzato i legami storici tra Damasco e Mosca. Secondo il Washington Institute, l’intervento russo in Siria costa circa 3 milioni di dollari al giorno a Mosca.

Nel 2005 la Russia aveva cancellato circa il 70% del debito siriano, una cifra pari a 13.4 miliardi di dollari, il commercio tra i due paesi è sempre stato solido e ha raggiunto un picco di 2 miliardi di dollari nel 2008, secondo un rapporto Ifri risalente a prima della guerra.

L’organizzazione non governativa Carnegie Endowment for International Peace riporta, nel frattempo, che il commercio tra i due paesi è sceso a 1 miliardo di dollari nel 2010, prima di salire di nuovo a 2 miliardi nel 2011. La Siria è grande acquirente di armi russe: il 78% degli ordini di armamenti tra il 2007 e il 2012 sono stati inviati a Mosca, secondo l’International Peace Research Institute di Stoccolma.

AFP Getty Images deir-ezzor-airport

La Siria ha importato 1,3 miliardi di dollari di armi tra il 2008 e il 2013, con un boom di acquisti a partire dal 2010. E le relazioni economiche russo-siriano si sono rafforzate in molti settori. Nel mese di luglio 2015, l’Unione russa degli industriali di gas e petrolio, che riunisce le aziende russe di petrolio e del gas, ha annunciato di essere pronta a firmare contratti per un valore di 1,6 miliardi di dollari non appena la situazione si stabilizzerà.

E Mosca è già in prima linea per sostenere la fase della ricostruzione: un contratto iniziale di 950 milioni di dollari è stato firmato nel mese di aprile 2016, dopo due anni di colloqui tra la Russia e la Siria per il rilancio delle reti energetiche, delle infrastrutture, il commercio, la finanza e altri settori economici, ha riferito il canale informativo russo filo-Cremlino RT.

Al di là della situazione drammatica del presente, a essere fortemente compromesso è anche il futuro delle nuove generazioni di siriani: meno della metà dei bambini in età scolare frequenta effettivamente la scuola, sostiene un rapporto delle Nazioni Unite, e questo avrà un impatto drammatico sul futuro del paese.

Il documento prova a quantificare la perdita in termini economici: l’assenza dei bambini dalle classi scolastiche (per ragioni che vanno dalla mancanza fisica di scuole, distrutte dalle bombe, fino alla paura dei genitori di mandarli fuori) rappresenta una perdita di 24 milioni e mezzo di dollari in termine di capitale umano e di 16,5 miliardi di dollari di investimenti in materia di istruzione.

Foto: AFP, Getty Images, SANA, e Jabhat a- Nusrah

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