Futuro roseo per i contractors delle PMSC
Da tutto il mondo giungono conferme di un sempre roseo futuro per le Private Military & Security Companies. I casi più eclatanti riguardano Stati Uniti, Cina, Russia, ma anche la galassia jihadista e la neutrale Svizzera. Da una parte, agli uomini di Erik Prince che bombardano la Libia con aerei degli Emirati Arabi Uniti si affianca un suo ruolo attivo nella tentata riappacificazione tra Mosca e Washington ed il progetto di una compagnia militare privata cinese.
Dall’altra, un cospicuo contratto per il supporto alle forze speciali USA in Africa ottenuto da una sua ex società. Aggiungiamoci voci sulla presenza di PMC russe in Libia e l’ennesimo step verso la loro istituzionalizzazione. Infine, la creazione della prima società privata che addestra i jihadisti ed il boom di Private Security Companies svizzere tale da preoccupare le autorità elvetiche. Insomma, tutto lascia presagire che i contractors siano ancora destinati a far parlare molto di sé nei prossimi mesi ed anni.
IL MERCATO STATUNITENSE
Tre società statunitensi si sono recentemente aggiudicate dei contratti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, del valore complessivo di € 500 milioni, per fornire servizi aerei nell’area di USAFRICOM: AAR/Airlift Group Inc. (€ 199 milioni), Berry Aviation Inc. (€ 199 milioni) e la Erickson Helicopter (€ 95 milioni).
Dal 01/02/2017 al 31/01/2018 supporteranno le forze speciali nella caccia a Joseph Kony, leader dell’Esercito di Resistenza del Signore. Il Lord Resistance Army (LRA) è un gruppo ribelle di matrice cristiana responsabile di omicidi, rapimenti, mutilazioni e riduzione in schiavitù sessuale di donne e bambini nel nord dell’Uganda, Sudan del Sud, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana. Nel 2010 il Presidente Obama ha inviato un centinaio di Berretti Verdi per assistere le truppe locali nel contrasto all’LRA; per il rifinanziamento dell’operazione Observant Compass per il 2017 sono stati chiesti al Congresso € 22 milioni. Secondo le specifiche governative i velivoli a contratto saranno: almeno due aerei ad Entebbe (Uganda), due a Nzara (Sudan del Sud) e cinque elicotteri a Obo (Repubblica Centrafricana).
A fine gennaio, in Repubblica Centrafricana è stato avvistato un elicottero Sikorsky S-61 con a bordo incursori americani. Dal numero di registrazione si è risaliti alla EP Aviation LLC, società di McLean, Virginia che in passato apparteneva ad Erik Prince (da cui “EP”). Nel 2010 è stata venduta assieme ad altre attività ad AAR, conosciuta anche come Airlift Group; una sessantina di velivoli ad ala fissa e rotante assurti a simbolo di Blackwater in Iraq continuano ad operarvi. Tuttavia, diversamente dai Little Birds dei tempi d’oro, i mezzi attualmente a contratto non saranno né armati né autorizzati a rispondere al fuoco.
Nel frattempo Erik Prince sta collaborando col governo cinese alla creazione di una realtà simile alla sua invisa ex società per proteggere interessi governativi e privati in giro per il mondo, senza dover ricorrere all’Esercito Popolare di Liberazione.
A Dicembre la Frontier Services Group – di cui Prince è presidente – ha dichiarato di esser sul punto di aprire una FOB (base operativa avanzata) nella provincia cinese dello Yunnan ed un’altra nello Xinjiang, terra della turbolenta minoranza degli Uiguri. Queste strutture “forniranno addestramento e protezione, comunicazioni, valutazione, gestione e riduzione rischi, raccolta informazioni, Medevac e centro per il coordinamento congiunto di sicurezza, logistica e trasporti”. La dirigenza aggiunge che la base nello Yunnan “le consentirà di servire al meglio società in Myanmar, Tailandia, Laos e Cambogia”, mentre lo Xinjiang confina con l’Afghanistan.
Nata come compagnia di trasporti e logistica, la Frontier si è sempre tenuta alla larga dal business della difesa e sicurezza verso cui Prince la voleva indirizzare. Tuttavia, dopo una feroce battaglia interna conclusasi con le dimissioni della componente americana del CdA che vi si opponeva, la deriva societaria verso il comparto sicurezza è avvenuta a metà dello scorso anno. Forte del sostegno della maggioranza societaria cinese, l’ex di Blackwater avrebbe proceduto a trasformare Frontier in una vera e propria PMC, ricollocando militari di Pechino in esubero “come soldati a contratto senza uniforme”.
Ultima notizia in ordine cronologico che lo vede protagonista è un meeting segreto organizzato dagli Emirati Arabi Uniti alle Seychelles, a gennaio. L’obiettivo dell’incontro era stabilire una linea di comunicazione indiretta per riallacciare i rapporti tra Washington, rappresentato ufficiosamente da Erik Prince e Mosca, attraverso un personaggio vicino a Vladimir Putin; il tutto vagliando anche la possibilità di allontanare la Russia dall’Iran, in cambio di una riduzione delle sanzioni economiche. L’incontro sarebbe stato monitorato attentamente dall’ FBI nell’ambito del Russiagate, come prosecuzione di diversi incontri privati tenutisi precedentemente a New York tra uomini di Trump (tra cui il generale Flynn, il genero Jared Kushner e l’ex consigliere Steve Bannon), di Mosca ed Abu Dhabi (anche lo sceicco Mohamed bin Zayed al-Nahyan stesso). Tutte le parti interessate hanno rifiutato di commentare o negato la notizia; l’amministrazione Trump ha parlato di solite “fake news” o “caccia alle streghe”. Anche le autorità delle Seychelles hanno ammesso di non esserne al corrente, ma hanno aggiunto che i lussuosi resorts delle loro isole ben si prestano ad incontri clandestini.
Dalle nuove vicende del settore privato a stelle e strisce, si evince l’ennesimo ed ormai onsolidato intreccio – chiamato “revolving doors” – tra operazioni militari ed antiterrorismo, relazioni commerciali, politici facoltosi e potenti militari. Una spola continua tra forze armate, cariche societarie e pubbliche da cui non è esente l’amministrazione Trump. Il Segretario alla Difesa, James “Cane Pazzo” Mattis per esempio, è passato dal Corpo dei Marines alla General Dynamics e da lì al Dipartimento della Difesa. Betsy Devos, Segretario all’Educazione invece, pur non avendo legami col mondo militare, è sorella di Erik Prince.
L’ex Navy Seal, passato controverso a parte (fondatore di Blackwater, reclutatore di mercenari colombiani e piloti per gli Emirati Arabi Uniti, organizzatore di ambigue operazioni anti-pirateria in Puntland e mancato fornitore di forze aeree e servizi mercenari a Mali, Nigeria e Sud Sudan), è finanziatore di Donald Trump (€ 235.000 donati per la campagna elettorale) e, presumibilmente, uno dei suoi consulenti per la sicurezza nazionale.
Nonostante la sua figura altamente controversa che gli ha precluso qualunque carica ufficiale nell’attuale amministrazione americana, grazie ai suoi stretti legami con l’entourage presidenziale e gli sceicchi emiratini (un contratto $529 milioni per creare una forza speciale straniera antiterrorismo, a maggioranza colombiana), Prince è risultato l’intermediario ufficioso ideale per il meeting delle Seychelles.
Come sostenuto da Steven Simon, responsabile di Medioriente e Nord Africa del Consiglio di Sicurezza Nazionale durante la presidenza Obama: “L’idea di utilizzare intermediari commerciali o personalità vicine a leader politici come strumento di diplomazia è vecchio come il mondo. Questi canali ufficiosi sono desiderabili proprio perché negabili; le idee possono esser provate senza il rischio di fallimenti.” Nonostante l’incontro sia stato ritenuto altamente proficuo, l’idea d‘impiegare ulteriormente Prince come “private diplomat” è stata tuttavia abbandonata, vista la rischiosità dei contatti perfino ufficiosi tra Trump e Putin.
LE PMSC RUSSE
Per quanto riguarda la Russia è stato compiuto l’ennesimo passo avanti nel processo d’istituzionalizzazione e legalizzazione interna delle compagnie militari private.
A fine anno Vladimir Putin ha firmato un emendamento alla Legge 53 sulla coscrizione militare, entrato poi in vigore il 9 gennaio 2017: chiunque operi al fine d’ “impedire azioni terroristiche al di fuori del territorio della Federazione Russa” – sia esso congedato o riservista – godrà a tutti gli effetti dello status legale di membro delle forze armate. Considerando l’obbligatorietà del servizio militare nel Paese, il provvedimento si rivolge alla quasi totalità dei cittadini, autorizzando di fatto il dispiegamento di mercenari russi all’estero. Il tutto è passato nella quasi totale incuria di media nazionali ed esteri che ai tempi della Blackwater e relativi scandali avevano riservato ampio spazio e critiche agli Stati Uniti.
Ed ecco che su VKontakte – il principale social media russo – un certo Ilya Ivanov ha postato il seguente annuncio: “Ragazzi, avete l’opportunità di lavorare per il Vostro Paese” con un salario di “₽ 50.000 al mese (€ 800) se restate in Russia; ₽ 80.000 (€ 1.280) per il dispiegamento all’estero, oltre ai bonus.” Concludendo con lo slogan: “Combattete per una giusta causa, mercenari.” Ivanov, come tanti altri, aveva già reclutato uomini per la Siria dal 2014, quando tutto doveva svolgersi in segretezza, col rischio di una condanna fino a 8 anni di carcere.
Un reporter di Zeit Online ha risposto all’annuncio fingendosi un elettricista di Volvograd che ha prestato servizio come meccanico di carri armati T-72 tra il 2010 ed il 2011. Da una fitta corrispondenza è emersa una forte richiesta di meccanici, medici, radio-operatori e sminatori. I più ricercati sono però gli elicotteristi che ottengono impiego immediato, senza affrontare ulteriori procedure di selezione.
Per le altre vacancies, è infatti previsto un test attitudinale ed un iter addestrativo presso Molkino. Situata a 500 km a sud di Donetsk (UA) e a 250 km a nord di Sochi, la base sede dell’unità Wagner e di una brigata del GRU è stata riqualificata ed ampliata a partire dal 2015, ricevendo attrezzature ed equipaggiamenti per € 715.000.
Il test attitudinale prevede prove di prestanza fisica (trazioni, corsa, sit-ups, 100 metri piani e test di Cooper per la resistenza) e varie prove di tiro e maneggio armi. Chi lo supera deve proseguire con un addestramento di due mesi, terminato il quale vi è l’obbligo di prestare servizio per altri sei, almeno. Viene firmato un breve contratto la cui parte fondamentale è il vincolo di segretezza su luoghi e natura delle missioni. Una condizione relativamente semplice a cui attenersi visto che i sottoscrittori risultano molto più interessati al compenso che non alla località d’impiego; se non per il fatto che, come riferisce Ivanov, il salario passa da circa € 800 euro al mese in patria ai € 1.150-1.700 – a seconda della pericolosità – all’estero. Sono previsti anche dei bonus per chi “distrugge un carro armato”, ad esempio.
Sui possibili teatri operativi non vi sono conferme. Parlando di Siria, Ivanov dice che ormai è “roba vecchia” e fornisce indizi come “il nostro esercito ci ha combattuto negli anni 80” e “c’è molta sabbia e montagne”, da cui si può facilmente intuire che si tratti di Afghanistan.
Mentre la NATO sta ancora cercando di ritirarsi faticosamente e definitivamente, il livello d’instabilità in terra afghana è tale da poter infiammare i Paesi circostanti, preoccupando fortemente Mosca. Dal 2016 infatti esiste una collaborazione ufficiale tra i due Paesi con fornitura di elicotteri, assistenza militare e tecnica. Un maggior coinvolgimento, soprattutto di PMC (o di altre entità) è dunque solo questione di tempo; probabilmente anche in Tajikistan, Nagorno Karabakh o Abkhazia.
Anche la visita sulla portaerei Admiral Kuznetsov del generale libico Khalifa Haftar di gennaio ha rappresentato un presagio per ulteriori scenari. Un distaccamento di reparti speciali russi, infatti sarebbe stato schierato presso la base egiziana di Sidi Barrani, a 100 chilometri dal confine libico per appoggiare gli sforzi di Haftar. Il portavoce del governo di Tobruk, Agila Saleh ha dichiarato: “Abbiamo chiesto ai russi di aiutarci con l’addestramento dei soldati e la manutenzione di equipaggiamento militare perché la maggior parte dei nostri ufficiali ha studiato in Russia, molti parlano russo e sanno utilizzare il loro equipaggiamento.”
Attività che paiono ormai esser diventate di competenza dei contractors; tant’è che la Reuters ha diffuso la notizia di operazioni di sminamento della società di sicurezza privata russa, RSB-group presso un’area industriale appena liberata nei pressi di Benghazi. Oleg Krinitsyn, proprietario della società, ha confermato di aver mandato i suoi uomini in Libia a fine anno e di averli fatti rientrare a febbraio. I contractors – tra sminatori e sicurezza stimati sul centinaio di uomini – non hanno preso parte ai combattimenti, ma erano comunque armati e pronti a rispondere in caso di attacco.
Il provvedimento di Putin è stato preceduto da una serie di emendamenti che, approvati dalla Commissione Legislativa, dovrebbero consentire la partecipazione ad operazioni antiterrorismo per periodi inferiori ai due-tre anni di ferma volontaria. Secondo il Ministero della Difesa infatti, almeno un militare su cinque sarebbe molto più interessato a ferme più brevi (non superiori all’anno) e ad operazioni antiterrorismo, piuttosto che servire in unità regolari all’interno dei confini russi, per più tempo.
Questo fermento legislativo si è fatto sempre più intenso a partire dal 2012 quando, sia il presidente Putin che il vice primo ministro Rogozin, riconoscendo la validità di quelle occidentali, hanno iniziato a valutare concretamente la possibilità d’istituire una versione russa di PMC.
Nonostante l’atteggiamento ancora ambiguo, la Russia vanta una lunga tradizione nella sicurezza e difesa privata, sia interna che estera.
Al contrario di quelle americane, sviluppatesi secondo un modello top-down, le precorritrici delle PMC russe sono soluzioni spontanee alle richieste del mercato, catalizzate dalla disponibilità di un ampio vivaio di veterani – forgiati da Afghanistan e Cecenia – ed immensi arsenali ed equipaggiamenti a basso costo.
Per tali motivi le compagnie militari private russe sono da tempo attive ed operanti all’estero, con registrazioni in Paesi stranieri e zone offshore. Le due più famose compagnie di sicurezza private russe sono Moran Security Group e RSB-Group che, pur offrendo un’ampia gamma di servizi di difesa e sicurezza, hanno sempre negato un coinvolgimento diretto ed attivo in contesti bellici come quello siriano.
Lì invece risulta fortemente attiva la misteriosa ed ibrida (gruppo mercenario, PMC di stato o entrambe?) unità Wagner di Dmitri Utkin. Nome de Guerre “Wagner”, Utkin è un ex ufficiale dell’intelligence che, dopo il congedo, ha iniziato a lavorare per la Slavonic Corps – collegata alla Moran Security Group – proteggendo raffinerie e pozzi petroliferi in Siria: una vicenda decisamente sfortunata e brancaleonica, costellata di furti subiti, ritardati pagamenti e cocenti sconfitte sul campo.
Ritornato in patria, ha costituito l’unità Wagner che opera tuttora in Siria e nel Donbass, con il pieno sostegno di Mosca stavolta. La presenza di Utkin al Cremlino, nel Giorno dei Difensori della Patria (09/12/2016) è rappresentativa del suo ruolo e dei suoi uomini nella politica estera russa; degli ultimi cinque anni almeno.
A far pensare ad un crescente coinvolgimento di mercenari, PMC o truppe regolari russe all’estero vi è anche la creazione di un importante centro antiterrorismo in Cecenia. A partire dal 2018, presso la città di Gudermes, aprirà l’ International Training Center per le forze speciali. In esso verranno impiegati anche 200 istruttori di varie nazionalità – eccetto gli americani a causa delle tensioni con Mosca – per affinare tecniche di liberazione ostaggi, guerriglia urbana, anti-insurrezione ecc.
Il personale straniero si occuperà della formazione di uomini delle PSC russe ed estere e delle PMC e truppe regolari straniere su base commerciale. L’addestramento delle proprie forze armate, di sicurezza e d’intelligence (anche delle PMC?) sarà invece esclusiva dei russi.
La Russia pare ormai orientata a ricoprire una ritrovata veste di potenza militare, diplomatica ed economica. Un ruolo che, costruito sfruttando sapientemente una serie di conflitti armati – Cecenia bis, Georgia, Ucraina e Siria – dovrà esser mantenuto credibilmente attraverso una campagna mediatica propagandistica, un’economia forte ed una considerevole disponibilità di armamenti e truppe; siano esse in uniforme o private. Negli almeno due conflitti in cui è coinvolta, essa deve impegnare ingenti risorse, badando ad evitare pericolose escalations e pantani.
Nonostante il nazionalismo sia tornato a livelli molto alti, la Russia fatica a trovare uomini a sufficienza: le attuali 300.000 truppe di terra sono considerevolmente poche in rapporto a territorio ed impegni. Il ricorso a PMC e contractors risulta quindi una scelta ovvia ed obbligata, anche alla luce del malcontento per i caduti in Ucraina ed il goffo tentativo di occultarli. Come verrebbe presa la notizia di soldati periti in terra afghana, per esempio?
Probabilmente, nemmeno la ben rodata macchina propagandistica russa riuscirebbe a giustificare la presenza di forze regolari in quello che è stato ribattezzato il “Vietnam russo”. Diversamente, la marcia – e morte – silenziosa di mercenari o contractors consentirebbe comodi dinieghi e scaricabarile.
Dal punto di vista economico, considerando che il costo della Wagner in Siria sarebbe di circa € 141 milioni al mese – € 5.000 di paga per ognuno dei ~ 1000 – 2.500 operatori (dati variabili a seconda delle fonti), contro i € 1.300 di un soldato regolare; si aggiungano poi equipaggiamenti, logistica, vettovagliamenti e risarcimenti fino a 5 milioni di rubli (€ 83.000) per caduti (27-100 morti al 28/08/2016) e feriti– “l’uso di Private Military Companies può esser economicamente vantaggioso solo per compiti specifici, esse non possono sostituire l’Esercito” sostiene Vladimir Neyelov del Center for Strategic Trend Studies.
Tuttavia, una volta terminato il contratto le PMC non comportano più alcun costo per l’erario. Inoltre, il finanziamento della missione della Wagner non sarebbe solamente a carico dello Stato, ma anche di una serie di privati che hanno tutto l’interesse affinché tali operazioni si diffondano.
Attualmente il governo russo preferisce ancora un atteggiamento attendista ad una chiara politica sulle PMC. La decisione finale potrebbe dipendere da numerosi fattori quali le relazioni con l’Occidente nell’era Trump, Brexit e vittorie di partiti populisti ed antieuropeisti nell’UE.
La Siria ha consentito a Mosca non solo di testare davanti al mondo intero il proprio hardware militare rinnovato, ma anche dottrine e strategie. La più importante è stata sicuramente quella di allestire un mix estremamente flessibile ed eterogeno di attori convenzionali e non: forze regolari e speciali, volontari, milizie alleate (locali, iraniane, Hezbollah) e mercenari-PMC in grado di collaborare magistralmente. Quello della ChVK (sigla russa per PMC) Wagner rappresenta l’esperimento più ambizioso ed efficace.
Parlare di mercenari o contractors in questo caso risulta alquanto complicato; tralasciando per un attimo la definizione data dal Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra,
Ruslan Leviyev, analista del Conflict Intelligence Team ammette di “Non esser sicuro di poter utilizzare il termine “mercenari” nel senso utilizzato dal Codice penale russo, viste le riconoscenze militari che sono state concesse loro; dal mio punto di vista non è possibile farlo ufficialmente. Essi hanno ottenuto medaglie e l’informazione è stata confermata da diverse fonti e documenti, ma ci sono regole…e secondo tali regole non è possibile conferire medaglie di Stato a persone che combattono in tali unità sul territorio di un altro Paese.” Allo stesso modo, non sarebbe corretto parlare del gruppo Wagner come di una Private Military Company perché il suo obiettivo non è il denaro o profitto, bensì obiettivi ed interessi di Stato.
LA PMSC DI AL-QAEDA
Una tanto innovativa quanto preoccupante realtà è quella della Malhama Tactical, prima compagnia militare e di consulenza privata che si occupa di addestrare i jihadisti nei teatri in cui, a detta della dirigenza, i sunniti sono oppressi; primo fra tutti la Siria.
Dalla sua fondazione nel Maggio 2016, essa è cresciuta vivacemente addestrando i militanti di Ahrar al-Sahm, Jabhat Fateh al-Sham (ex fronte al-Nusra, branca siriana di al-Qaeda) e del Turkistan Islamic Party (estremisti uiguri dello Xinjiang) impegnati nella battaglia di Aleppo. Gli uomini di Malhama Tactical hanno operato anche sul campo come forze speciali: A settembre hanno respinto le truppe siriane ad Aleppo sud assieme alle milizie Uigure. Tuttavia, il loro compito principale resta quello di addestrare al combattimento, non prendervi parte.
Essi si occupano anche di traffico di armi e produzione d’equipaggiamento come accessori per mitragliatrici PKM, impugnature e giubbetti tattici. Nonostante le recenti battute d’arresto subite dai fondamentalisti – tra cui la perdita di Aleppo – le richieste d’ingaggio che pervengono a Malhama Tactical sono più numerose che mai. Essi forniscono una tipologia di addestramento articolata e costosa (di squadra, con sistemi d’arma multipli) che si differenzia dalle banali marce ed esercitazioni basiche di tiro a cui si sottopongono solitamente gli estremisti. Per chi se lo può permettere, questo addestramento vale tutto il suo prezzo facendo la differenza sul campo di battaglia. Sono disponibili anche corsi multimediali per chi non può spostarsi!
La società presta molta cura alla presenza e pubblicità sui social media. Nei suoi profili e pagine Facebook, YouTube, Twitter, VKontakte (pagina bloccata per incitamento alla violenza) ed Instagram posta comunicati, annunci, fotorafie e filmati che ritraggono la propria attività, metodologie di addestramento, istruzioni per pulizia armi, realizzazione di IED e successi sul campo contro le forze di Bashar al-Assad. Il tutto riscuotendo grande visibilità e prestigio.
A novembre, attraverso Facebook, sono stati richiesti istruttori con esperienza di combattimento, disposti ad “impegnarsi costantemente, migliorarsi ed imparare” nell’ambito di un “team divertente ed amichevole”; i “boys scouts” di Jabhat Fateh al-Sham per intenderci!
L’organico è costituito da una decina di effettivi provenienti dal Caucaso; principalmente Uzbekistan (speriamo non vi siano legami con l’attentatore di Stoccolma!). Il leader del gruppo, intervistato da Foreign Policy tramite l’applicazione Telegram, è Abu Rofiq, 24enne uzbeko che, dopo il trasferimento in Russia e l’arruolamento nelle truppe aviotrasportato VDV, si è recato a combattere in Siria, da un gruppo all’altro, in maniera indipendente, fino a fondare Malhama nel 2016.
Sebbene a fini di lucro, ci tiene a precisare che la sua società non deve esser considerata una realtà mercenaria perché le motivazioni a monte trascendono il denaro: “il nostro obiettivo è diverso; stiamo combattendo per un ideale.”
Tra i futuri progetti vi è l’espansione verso altri “mercati” come Cina e Myanmar, oppure il ritorno alle origini, combattendo i russi nel Caucaso. Unico ostacolo alle ambizioni di Rafiq è Mosca che, inseritolo nella sua blacklist, il 7 febbraio ha bombardato il suo appartamento di Idlib, uccidendogli moglie e figlio. Il boss di Malhama è invece miracolosamente sopravvissuto perché fuori casa.
Malhama Tactical, non è l’unica PMC ad aver operato per il network del terrore, tantomeno per regimi dittatoriali ed organizzazioni criminali. Parlando di terrorismo globale, già a fine 2001 la britannica Sakina Security offriva corsi di “Ultimate Jihad Challenge” ai militanti che volevano prepararsi alla guerra santa in Kashmir, Cecenia e Yemen.
Per quanto riguarda la criminalità organizzata invece, abbiamo il caso della Spearhead Ltd di Yair Klein, ex militare israeliano che avrebbe addestrato i sicari del cartello di Medellin di Pablo Escobar e paramilitari di destra, costituitosi poi nelle AUC (responsabili di massacri, sparizioni, torture, violenze sessuali e tutta una serie di reati di stampo mafioso).
Malhama ha però avuto il primato nel lavorare esclusivamente ed articolatamente per i gruppi jihadisti, sdoganando sul mercato una soluzione che potrebbe diffondersi ampiamente e globalmente. Con forte spirito imprenditoriale si è ritagliata la propria nicchia, sia nel mercato delle PMC che nella galassia jihadista, con risultati significativi ed evidenti. Secondo Sean McFate, professore associato della National Defense University ed autore di The Modern Mercenary “in futuro vedremo molte realtà simili”, frutto della prolungata durata del conflitto siriano in cui estremismo ideologico e privatizzazione della guerra si fondono in un unico e preoccupante trend; una “pietra miliare” nel modern warfare”.
Nel considerare questa tendenza, visto che pur sempre di realtà economiche stiamo parlando, possiamo citare con preoccupazione il Modello delle 5 Forze competitive dell’economista Porter: “Minacce derivanti dall’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (potenziali entranti)”. Quando in un settore esistono delle potenzialità di profitto, si stimola l’entrata di nuovi concorrenti che, in questo caso ahimè, non costituirebbero una minaccia solo per Malhama.
LA REALTA’ CINESE
Alla luce della competizione planetaria e degli interessi contrastanti tra Stati Uniti e Cina, anche in quello scenario la figura di Erik Prince si trova in una posizione molto delicata: Il maggior azionista della Frontier Services Group è CITIC, fondo d’investimento posseduto e controllato dal Governo cinese. La legge americana proibisce ai suoi cittadini l’export di equipaggiamento e servizi militari alla Cina e l’espansione di Frontier, altro non sarebbe che frutto di un supporto di tale genere al nuovo piano di sviluppo globale cinese, chiamato “One Belt One Road”.
Secondo il Charhar Institute, la Cina ha più di 40.000 società ed oltre 1 milione di lavoratori che operano al di fuori dei propri confini; un funzionario del Ministero degli Esteri ha dichiarato che “ogni impiegato [del dicastero] si trova a gestire 200.000 cittadini”. Il fatto che la maggioranza di essi si trovi in Paesi instabili e a rischio, li ha resi sempre più bersagli del terrorismo, alla pari degli occidentali: 11 cinesi uccisi in Afghanistan nel giungo del 2004, 3 nell’attacco all’hotel di Bamako a fine 2015 e 330 bloccati per quattro giorni dagli scontri tra ribelli e governativi a Juba, a luglio 2016.
Pertanto, a partire dal 2010 è stata introdotta una strategia di sicurezza parallela a quella statale, istituendo il settore delle PSC cinesi, strettamente alle dipendenze dell’autorità governativa. Nel solo 2014 le società cinesi hanno speso € 7,6 miliardi in sicurezza all’estero e 3.200 operatori di sicurezza privata sono stati schierati oltreconfine lo scorso anno. Per evitare incidenti diplomatici, ma anche ulteriori ritorsioni contro i propri cittadini, società ed operatori di sicurezza cinesi sono soliti lavorare disarmati, comandando gruppi o personale locale armato e prendendo in prestito le armi in loco in caso di estrema necessità.
Il rallentamento economico cinese ha comportato la crescita più bassa del budget militare dal 2010, con il conseguente taglio di 300.000 effettivi tra le fila dell’Esercito Popolare di Liberazione nel 2016.
Tali esuberi, uniti all’estrema richiesta di protezione, permetteranno alle 6.000 PSC autorizzate ed ai loro 4,3 milioni di addetti di crescere ulteriormente in numero e turnover.
Oltretutto, il Governo incentiva la loro attività con benefits a quelle società che, operando all’estero, decidono di utilizzare compagnie di bandiera. Oltre al fattore politico e linguistico, esse sono più economiche: un team di 12 operatori costa tra i € 660 e € 950 al giorno; quanto un singolo operatore britannico o americano!
L’ESEMPIO SVIZZERO
Notevole dinamismo è stato rilevato anche sul panorama svizzero della sicurezza privata.
Secondo il Ministero degli Esteri, le società di sicurezza elvetiche hanno compiuto più di 400 missioni all’estero negli ultimi 18 mesi. Di queste operazioni, una su cinque ha riguardato il supporto a forze armate o di polizia in aeree di crisi, manutenzione di sistemi d’arma ed intelligence. Circa il 50% ha avuto come obiettivo la protezione di personalità o proprietà, così come investigazioni private. Una trentina sarebbero le società private particolarmente attive al di fuori dei confini cantonali, soprattutto a protezione delle rappresentanze diplomatiche, ad un costo annuo di circa € 6,5 milioni.
L’ondata terroristica in corso ha creato un fiorente mercato per le compagnie di sicurezza private svizzere. Secondo la testata SonntagsBlick, 689 nuove società di sicurezza private sono sorte nel Paese negli ultimi cinque anni.
Compagnie che forniscono una pletora di servizi come sistemi d’allarme e sicurezza, sicurezza statica ad edifici e spazi pubblici e privati, grandi eventi e manifestazioni ecc. assumendo sempre più responsabilità finora d’esclusiva competenza delle forze di polizia.
La vicina e neutrale Svizzera, con il suo inaspettato fermento nel campo delle PSC, nell’ambito di un processo valutativo e di ipotetica creazione di un settore italiano, come discusso nel recente convegno promosso dalla Fondazione ICSA “Sicurezza del paese ed interesse nazionale: un ruolo per le private military security companies?” costituisce sicuramente l’ennesimo modello da prendere in considerazione: non solo per vicinanza geografica e culturale, ma anche per la regolamentazione all’avanguardia.
Dal 2015 è stato ad esempio introdotto anche l’obbligo di una rilevazione periodica ed un’autorizzazione del Ministero degli Esteri per operare all’estero, al fine di scongiurare attività mercenarie, violazioni dei diritti umani o compromettere la politica estera o la neutralità svizzera. Sebbene le autorità elvetiche abbiano lamentato un’ancor preoccupante assenza di standard qualitativi e concorrenziali precisi, il Parlamento ha ritenuto una loro adozione a livello federale ancora “prematura”. L’esempio alle nostre porte, come i restanti nel Mondo, non è perfetto, spetta a chi di dovere osservare e trarre preziose lezioni dalle esperienze e – soprattutto – errori di chi ci ha preceduto.
Foto: Archivio Gaiani, AP, RT e Reuters
Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.