Le diserzioni minano le forze di Baghdad contro i qaedisti

Adnkronos/Aki/Washington Post – Si sta rivelando più complicata del previsto la campagna militare lanciata dall’esercito iracheno per riconquistare le zone della provincia occidentale dell’Anbar cadute nei mesi scorsi nelle mani di gruppi jihadisti e milizie tribali antigovernative. Malgrado i 42mila soldati inviati da Baghdad al fronte e la presenza ‘in prima linea’ del ministro della Difesa, Sadoun al-Dulaimi, l’insorgenza nell’Anbar rappresenta la più grande sfida per l’esercito iracheno e il governo del premier sciita, Nuri al-Maliki, dal ritiro delle truppe Usa alla fine del 2011. Dall’inizio dell’offensiva, circa 300 soldati hanno perso la vita negli scontri con i miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis). Tra le file dell’esercito si contano anche diserzioni di massa, come ha ammesso il generale Rashid Fleih, capo delle operazioni nell’Anbar. Il numero di disertori è tale, ha spiegato

Fleih, che è stato necessario inviare al fronte numerose reclute. Ma la battaglia richiede soldati pronti e ben armati. I miliziani dell’Isis, infatti, sono equipaggiati con lanciarazzi portatili anti-tank. Inoltre, sono addestrati a livelli non paragonabili con quelli delle truppe irachene, frutto dell’esperienza maturata in anni di combattimenti in Siria e Yemen. Molti di loro sono abili ad utilizzare armi all’avanguardia e a preparare bombe. A complicare il quadro per le forze irachene c’è un altro elemento: dalla vicina Siria arrivano ogni settimana 40-60 auto con a bordo i rinforzi per i ‘fratelli jihadisti’ dell’Anbar. Lo stesso Zawahiri di recente ha lanciato un appello ai miliziani dell’Isis, invitandoli a “raddoppiare” i loro sforzi in Iraq e ad abbandonare il teatro siriano, dove lo Stato islamico è entrato in rotta di collisione con il Fronte al-Nusra, che rappresenta al-Qaeda. Sul campo lo scontro è duro.

L’esercito ha riconquistato il controllo di gran parte di Ramadi, il capoluogo dell’Anbar, alla cui periferia comunque proseguono gli scontri. Alcuni villaggi sono stati ripresi da Baghdad, mentre altre zone, come Fallujah, restano completamente nelle mani dell’Isis. Il governo è consapevole delle difficoltà nella provincia. Dulaimi ha deciso di trasferire il suo quartier generale in un palazzo dell’ex rais Saddam Hussein sulle rive dell’Eufrate trasformato in un compound dell’esercito. Il ministro è già finito nel mirino dei jihadisti. Lo testimonia la falla sul tetto del suo ufficio provocata da un mortaio e i colpi sparati da un cecchino contro la sua stanza da letto mentre stava dormendo. “La guerra dal 1980 sta distruggendo questo paese”, afferma Dulaimi, riferendosi allo scoppio del conflitto Iran-Iraq. “Ora siamo di nuovo nel mezzo di una guerra, ma stavolta stiamo combattendo tra di noi, purtroppo”, spiega il ministro, che sta cercando di replicare nell’Anbar la strategia utilizzata dagli americani qualche anno prima, ovvero reclutare milizie sunnite per combattere al fianco dell’esercito.

La guerra nell’Anbar apre una serie di interrogativi anche a livello politico. Secondo gli analisti, un fallimento del governo potrebbe mettere a repentaglio l’unità dell’Iraq, dato il rischio che i jihadisti dilaghino in altre province del paese. D’altro canto, l’offensiva militare rischia di esacerbare la rabbia della minoranza sunnita, che lamenta di essere discriminata dal governo sciita, alimentando il fuoco del conflitto settario. La questione della riconquista dell’Anbar suscita imbarazzo anche nelle stesse autorita’ locali, che sembrano rimpiangere i militari americani e il modo in cui affrontarono l’insorgenza nella provincia. Secondo il governatore di Ramadi, Ahmed Khalaf al-Dulaimi,

il governo ha fatto un grave errore nel non rinnovare l’accordo che avrebbe permesso ai soldati Usa di restare nel paese dopo il 2011. “Nel 2004 – dichiara senza reticenze – la situazione era migliore perché almeno allora c’era un piano”.

Link: ISIS

 

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