Politica estera e credibilità internazionale: quali prospettive per l’Italia?
Strategie più muscolari nell’ambito delle nostre alleanze, priorità condivise per la nostra proiezione internazionale e difesa dei nostri interessi prioritari. Strategia per un deciso incremento del personale italiano in ambito internazionale.
La persistente crisi migratoria ha di fatto accentuato l’isolamento Italiano e mostrato l’inconsistenza politica delle istituzioni UE paralizzate da una asfissiante quanto inconcludente burocrazia incapace di tradurre in atti concreti anche le decisioni avallate dagli Stati membri. Malgrado la nostra incrollabile fede nella solidarietà internazionale, nei nostri alleati, nelle Nazioni Unite, e altro, non riusciamo a trarre alcun sostegno rilevante nemmeno a livello UE, piuttosto parole e retorica unite a sgarbi internazionali umilianti quali richiami e blindatura delle frontiere da parte di Paesi alleati a noi vicini e le iniziative antitaliane non coordinate e senza preavviso del Presidente francese sullo scacchiere libico dove peraltro all’Italia è stato affidato da G7 e G20 il coordinamento del sostegno alla stabilizzazione.
L’attento esame di realtà oggettive dovrebbe indurre a serie riflessioni, ad un cambio di strategie e mentalità da avviare progressivamente ma senza indugi. Ripristinare semplicemente il ruolo dovuto nel Mediterraneo allargato ed in Europa a una media potenza come l’Italia presuppone una realistica presa di coscienza degli errori commessi nel segno di eccessive prudenze, appiattimenti, debole e poco determinata difesa di legittimi interessi nazionali, e al contempo il superamento di anni di felpata, arcaica, inconcludente, controproducente politica estera di basso profilo.
Essere ciecamente appiattiti su Unione Europea, Nazioni Unite, istituzioni internazionali di qualsiasi genere all’interno delle quali non riusciamo comunque ad incidere se non in maniera marginale e non adeguata al ruolo, al peso e..ai contributi finanziari erogati dal nostro Paese, ha portato ad un evitabile ulteriore declino di credibilità internazionale, non compensato da transitori vantaggi ottenuti a livello finanziario.
Chi ha dimestichezza con i sempre più competitivi ambienti internazionali dovrebbe ben sapere che nel medio e lungo termine, barattare legittimi interessi, priorità e pezzi di sovranità nazionale (nulla a che vedere con nazionalismi beceri e populismi che sono ben altra cosa) nell’illusoria concezione, assai provinciale verrebbe da sottolineare, di trarre qualche beneficio supplementare, in quanto allievi modello, dalle istituzioni internazionali, non porta a nulla di buono. Mina la credibilità internazionale del Paese rafforzando, di contro, le mire egemoniche dei Paesi alleati e non.
Si aggiunga anche la percezione di debolezza, mancanza di unità d’intenti dei governi in carica veicolata da una comunicazione il più delle volte ambigua, in quanto dettata da beghe locali fra correnti e partiti, e scoordinata perfino su temi di rilievo internazionale quali la crisi migratoria, la stabilizzazione libica e il sostegno ai Paesi dell’Africa sub sahariana e la frittata è fatta. Riacquisire credibilità diventa sempre più difficile soprattutto se non si assicura determinazione e continuità d’azione nel medio termine, nel contesto di una visione, di una strategia, non solo in risposte ad hoc alle emergenze.
Gli interessi prioritari nazionali, fra cui la gestione delle frontiere siano esse terrestri o marittime, pur in ambito di un auspicabile e crescente multilateralismo, vanno comunque legittimamente perseguiti e tutelati proprio per avere voce in capitolo ed essere rispettati. In periodi di crisi andrebbero ad esempio riconosciute, discusse, non solo demonizzate, le opinioni e le proposte degli avversari politici al fine di ampliare il consenso nazionale per un’azione internazionale a tutela di legittimi e condivisi interessi nazionali.
In quanto attuali sarebbe utile ricordare lontani bagliori, ormai forse volutamente dimenticati, di una visione strategica italiana non appiattita.
Negli anni 80 l’allora Premier italiano Bettino Craxi capì l’importanza dei Paesi dell’Africa sub sahariana e rese per le prima volta prioritari quei Paesi per la politica estera italiana, Niger, Mali, Senegal, Mauritania, Chad e altri, ampliando sostanzialmente la cooperazione bilaterale italiana negli stessi.
L’Italia divenne in breve un interlocutore forte tanto da preoccupare e rivaleggiare con la Francia l’ex potenza coloniale dell’area.
Oggi se fosse stata mantenuta quella politica lungimirante, pur scontando le riduzioni finanziarie al bilancio della Cooperazione, avremmo avuto molti problemi in meno e parecchi sostegni in più nelle crisi migratorie. Il peso italiano si sarebbe fatto sentire, tanto da non essere ignorato o reso irrilevante.
Fra fine anni 90 e nel primo decennio del 2000 l’allora premier italiano Silvio Berlusconi rese forte e indispensabile per tutti la presenza italiana in Libia, firmò accordi rilevanti anticipando, anche se i tempi erano diversi, possibili soluzioni in terra libica contro sbarchi e traffici di essere umani indiscriminati. Gli ottimi rapporti con gli USA da una parte e il presidente russo Putin dall’altra facilitarono non poco una certa autonomia e rilevanza italiana riconosciuta in Mediterraneo e vicino Oriente.
Dopo decenni passati nei luoghi di crisi, da ultimo in Africa, posso confermare che queste sono le personalità italiane, unitamente all’ex premier Prodi che vengono ricordate con rispetto in terre martoriate dai conflitti e dal terrorismo.
Negli anni 80 alle mie prime esperienze internazionali in Africa un collega italiano di grande esperienza mi disse..”Ricordati sempre che i peggiori nemici degli italiani sono gli stessi italiani, soprattutto all’estero”. Mi sembrò un giudizio esagerato, ma dopo oltre trent’anni devo riconoscere vero e profetico.
Cosa fare oggi o meglio come cercare di invertire le tendenze a noi poco favorevoli?
Una analisi obiettiva e disincantata delle lezioni apprese porrebbe in evidenza che su questioni di rilievo internazionale, di esercizio della sovranità nazionale pur in ambito multilaterale e tutela dei diritti dei cittadini, la legittimità di unità di decisione, di azioni conseguenti, di uno stato democratico andrebbe esercitata con continuità e determinazione nel contesto di una strategia chiara, rispettosa dei diritti umani delle alleanze, e trasparente nella comunicazione.
Una rinnovata politica estera italiana adeguata ai tempi, al contesto internazionale, al comportamento di vicini e alleati, alle crisi regionali e alle relative ripercussioni sulla sicurezza interna, sociale e culturale dovrebbe mirare ad un ruolo chiaro e definito, ad un’azione più muscolare, credibile, competente, frutto di un’analisi vera, non di facciata, su dati, fatti, errori commessi, tesa a conseguire risultati tangibili e verificabili rispetto agli obiettivi perseguiti.
E’ quello che è mancato, che manca se non si riuscirà a ritrovare senso dello stato di appartenenza, continuità, determinazione, pragmatismo, innovazione e adattamento ai cambiamenti, valorizzazione delle risorse e delle competenze, adeguata e influente rappresentatività italiana negli organismi internazionali incluse le aree di crisi in cui interveniamo con uomini mezzi e notevoli risorse finanziarie.
In conclusione vorrei porre alla vostra attenzione alcune proposte concrete, ve ne sarebbero altre, facilmente attuabili e di spesa irrisoria rispetto ai benefici che se ne potrebbero trarre ove vi fosse una vera volontà politica per ristabilire un ruolo italiano attivo e non subordinato.
- Creazione di una task-force civile militare composta da non più di una trentina di veri esperti nei rispettivi settori per la preparazione, primo impiego e formazione di altre risorse umane nell’ambito delle crisi internazionali e degli interventi di stabilizzazione a cui partecipa l’Italia. La valorizzazione di risorse di provata esperienza internazionale, conoscenza delle lingue e del lavoro di squadra fra civili e militari sarà anche spendibile per candidature internazionali credibili. Tale forza dovrebbe essere inquadrata presso la Presidenza del Consiglio alfine di evitare le purtroppo esistenti beghe fra competenze ministeriali. La creazione della categoria di esperti internazionali andrebbe perseguita e attuata.
- Portare avanti con decisione una strategia del personale e delle competenze al fine di migliorare in maniera sostanziale la desolante situazione della rappresentatività italiana nei posti decisionali e non negli organismi internazionali. Ciò implica da parte del nostro Ministero degli esteri un’azione meno felpata e invertebrata fatta di risultati tangibili e verificabili, interventi di sostegno al personale italiano concreti, di alto profilo e non esclusivamente burocratici, presa di coscienza della priorità da parte di Ministro e Sottosegretari un adeguamento in tal senso del lavoro delle rappresentanze italiane presso gli organismi internazionali. Primi responsabili di un tale disastro non pagano alcun conto in quanto le valutazioni sul loro operato, tranne rarissime eccezioni, non implicano ripercussioni amministrative. Il cambio di mentalità e atteggiamenti legati a risultati si impone con equilibrio ma con fermezza. Non si dovrebbe consentire un trattamento umiliante di risorse umane specializzate utilizzate e poi messe da parte, bensì incentivare il loro impiego o reimpiego nelle amministrazione coinvolte nella nostra proiezione internazionale. Lavoro di squadra e coordinamento per giungere al risultato superando gelosie e compartimenti stagno.
- Rendere nuovamente prioritaria e continuativa nel tempo e sul terreno una politica non assistenziale bensì di sviluppo e di cooperazione con i Paesi nord africani e sub-sahariani. Controproducente in termini di presenze sul campo e visibilità, oltremodo dispendioso, affidare la maggior parte dei nostri fondi erogabili a organismi internazionali spesso inefficienti e comunque interessati a ricevere finanziamenti ma non a valorizzare in prima battuta contributi e visibilità del donatore italiano. Adottare quindi una seria politica di rimpatri assistiti dei migranti non rientranti nei criteri di assistenza e legalità sanciti da accordi internazionali accompagnata da azioni di cooperazione civile e militare nei Paesi coinvolti da crisi, povertà e minacce terroristiche, in particolare sub-sahariani, nel massimo rispetto dei diritti umani incrementando tuttavia le presenze italiane e i controlli sull’operato degli organismi internazionali e Ong finanziate da fondi bilaterali italiani e comunitari. Allo stesso modo operare di concerto con i Paesi nelle aree di crisi attraverso accordi bilaterali di cooperazione in cui siano previste relative garanzie di verifica dell’utilizzo dei fondi messi a disposizione e dei risultati acquisiti.
- Mostrare con i fatti il cambio di marcia della nostra politica estera implicherebbe scelte di merito anche per i ruoli apicali e dirigenziali nelle amministrazioni coinvolte in prima battuta, Esteri in prima linea. Spesso persone senza esperienze operative, in pratica senza esperienze dirette, si trovano a dirigere dipartimenti e direzioni generali che di operazioni e di crisi si occupano. In effetti è doveroso constatare come negli ultimi anni il declino operativo burocratico del nostro Ministero degli esteri è stato di fatto coperto, in modo anomalo verrebbe da dire, dalle iniziative internazionali attive e sostanziali di Ministeri evoluti positivamente quali Difesa e Interni. Basti citare la svolta al ribasso del flusso degli sbarchi in Italia dovuta quasi esclusivamente alle iniziativa del Ministro degli Interni Minniti sia in termini operativi che negoziali. L’impressione è che egli abbia ricoperto per mesi e in un settore altamente sensibile anche le funzioni del collega degli Esteri probabilmente scarsamente interessato e più impegnato in Italia. Stesse osservazioni per le attività della Difesa nel contesto delle crisi internazionali.
- Nominare Inviati speciali nelle arre di crisi, ad esempio Sahel e Medioriente, di provata esperienza di lavoro e vita professionale nei Paesi in questione. Tali figure dovrebbero fare capo alla Presidenza del Consiglio onde evitare le anacronistiche e controproducenti rivalità ministeriali. Essi dovrebbero lavorare in coordinazione e al servizio delle esigenze dei ministeri coinvolti in particolare Esteri, Difesa e Interni.
- Stampa e media nazionali dovrebbero dedicare più spazi e risorse ad una sistematica informazione sui temi cruciali di politica estera contribuendo in maniera sostanziale alla corretta informazione dell’opinione pubblica, a stimolare l’unità di azione di governi e opposizioni, ad evitare l’isolamento in cui spesso si trovano ad operare militari e civili italiani nelle aree di crisi. Le crisi regionali odierne complesse e asimmetriche andrebbero spiegate in tutte le loro implicazioni includendo il concetto di tutela degli interessi nazionali di una media potenza come l’Italia, a prescindere dai governi e dagli interessi partitici.
- Cambio di mentalità e applicazione determinata di strategie nazionali nel quadro delle nostre alleanze si rendono improcrastinabili per riacquisire un ruolo internazionale credibile e rispettato ricacciando una volta per tutte la “politica dello strapuntino” quando si dava per scontato l’adeguamento italiano alle decisioni prese da altri anche per nostro conto. A noi bastava la presenza formale nei consessi internazionali pur di esserci, su uno strapuntino per l’appunto.
Foto: Web, Difesa.it, Operazione Leonte e Isaf
Ugo TrojanoVedi tutti gli articoli
E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.