Libia: perchè l’Italia deve sostenere al-Sarraj
Appena un anno dopo l’incontro a La Celle Saint Cloud, che aveva formalmente incoronato Macron quale unico negoziatore credibile per la Libia (che ciò venga riconosciuto o meno da noi italiani e indipendentemente dalle vuote “pacche sulle spalle” di Trump), al Sarraj è in grave pericolo e la sopravvivenza politica delle Autorità di Tripoli rischia di avere le ore contate.
Nella competizione interna libica, noi italiani sin dall’inizio ci siamo schierati a supporto esclusivamente di al Sarraj (a differenza della Francia che ha saputo porsi quale interlocutore credibile nei confronti sia di Fayez al Sarraj che di Kalifa Haftar). Avevo già avuto modo su questa rivista di criticare tale scelta ma adesso non è il momento di porre in discussione decisioni ormai consolidate.
Nel momento in cui l’uomo su cui avevamo puntato (al-Sarraj) rischia di cadere, se l’Italia vuole mantenere credibilità in Nord-Africa, deve dimostrare chiaramente che è pronta ad impiegare qualsiasi mezzo, inclusa la forza militare, per sostenerlo. Anche nel quadro di un’operazione puramente italiana, sulla base di un accordo bilaterale con al-Sarraj.
Non aspettiamo un’operazione UE o NATO, che comunque difficilmente potrebbe essere messe in piedi per via dei distinguo politico-diplomatici e per resistenze di partner che o supportano di fatto Haftar (Parigi) o non hanno alcuna voglia di immischiarsi nel caos libico in questo momento (Washington). Si continua a ripetere che l’Italia sulla Libia è stata lasciata sola. Bene! Allora dovremmo sentirci autorizzati a operare da soli per i “nostri” interessi nazionali.
Forse puntare esclusivamente su al-Sarraj non è stata una scelta lungimirante e l’Italia avrebbe dovuto essere meno timida nei confronti dell’ONU e destreggiarsi con maggior disinvoltura tra Haftar e al-Sarraj.
Per contro, nel momento in cui il “nostro uomo” è in pericolo, deve essere evidente che l’Italia non lo lascia solo. Ne va della nostra credibilità (non solo in Libia, ma in tutto il Nord Africa).
Abbiamo già fatto un errore analogo nel 2011, abbandonando Gheddafi al suo destino e quel comportamento non ha giovato né alla nostra credibilità politica in ambito internazionale né ai nostri interessi economici immediati. Non parliamo poi delle conseguenze per la nostra sicurezza, che sono sotto gli occhi di tutti.
In un momento in cui l’instabilità nel continente africano rappresenta forse la maggior situazione di rischio per l’Italia, è necessario che si lanci un chiaro messaggio in tutta la regione: “l’Italia non abbandona i suoi alleati quando sono nei guai!”.
Non per spirito cavalleresco demodé, ma solo per prospettarci come interlocutori credibili tra le tante fazioni in lotta in un continente con cui dovremo fare i conti per i prossimi decenni. Del resto non si tratta necessariamente di inviare decine di migliaia di uomini sul terreno impelagandoli tra le sabbie della Libia per anni.
Potrebbero essere interventi “chirurgici” contenuti nel tempo, nello spazio e negli obiettivi (ad esempio missioni aeree di bombardamento a supporto delle forze di al Sarraj ormai assediate, o altro ancora).
Forse al-Sarraj non accetterebbe tale assistenza, almeno ufficialmente, per evitare di essere percepito dai libici come un fantoccio degli italiani, o forse sì considerato che se,bra abbia chiesto l’assistenza militare di US African Command.
L’Italia (senza “coperture” ONU, NATO, UE o di altri) dovrebbe offrire ad al-Sarraj tale assistenza in modo chiaro ed evidente. Certo ci sarebbe un prezzo da pagare, in termini di screzi diplomatici sia con paesi “amici” e con organizzazioni internazionali che si diranno (falsamente) scandalizzate che verosimilmente condannerebbero l’interventismo italiano.
Non saremmo più credibili come negoziatori “super partes” dell’incontro sulla Libia da tenersi a novembre a Sciacca?
Forse, ma se al Sarraj (il cui governo è stato voluto dall’On ed è ancora l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale) perde anche quel minimo controllo che ancora ha sulla Tripolitania, la conferenza di Sciacca non avrà più nessuna ragione di essere.
Ci sarebbero anche costi finanziari ma forse la stabilità della Libia potrebbe interessarci più di quella in Afghanistan, per la quale abbiamo speso oltre 8 miliardi di euro in 16 anni. Soprattutto, ci potrebbero essere costi umani, i più difficili da accettare.
Occorre valutare se affrontare tali rischi e tali costi. Altrimenti, continuiamo a strapparci le vesti, ad accusare i nostri competitor per la nostra irrilevanza in Nord Africa senza però assumerci mai la responsabilità di difendere i nostri interessi nazionali.
Foto AFP, EPA e AP
Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli
Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.