L’export militare nordcoreano in Africa
La storica dichiarazione di intenti firmata a Singapore da Trump e Kim sulla questione nucleare segna l’avvio di un processo che potrebbe portare a un “rebalance” regionale. Processo che comporta numerose incognite, tra cui i legami di Pyongyang con Pechino e i piani di dominance cinesi, le aspettative di Tokyo e Seul, gli obiettivi strategici russi in Asia.
Molti restano gli aspetti ombra del negoziato e del documento finale. Al di là delle intenzioni di Pyongyang, il summit di certo non porta alla «soluzione» della questione nord-coreana tout court, ossia alla rinuncia di Kim Jong-un del programma atomico e missilistico.
L’accordo non è vincolante e potrebbe essere ribaltato in qualsiasi momento. Inoltre non vi è traccia di riferimenti ad una denuclearizzazione completa ed irreversibile. Anche se la fine delle esercitazioni militari congiunte Stati Uniti- Corea del sud promessa da Trump non significa ancora fine dell’ombrello nucleare americano a protezione di Seul, i risvolti dell’incontro Trump- Kim destano speranze per alcuni ma altrettante preoccupazioni per altri.
La Corea del nord ha improvvisamente cambiato status, passando dall’ essere un paese sempre più isolato, soggetto a sanzioni pesantissime, a protagonista della diplomazia internazionale e in questi giorni Kim sembra rilanciare le iniziative per un nuovo incontro con Donald Trump.
Anche ammettendo la buona fede di Pyongyang e l’avvio di una coesistenza pacifica con l’America, la Corea del nord conserva dei giardini privati che non vengono minimamente toccati dalla dichiarazione Kim – Trump, che sicuramente poco incide sulla politica estera di Pyongyang in Africa, continente retrovia nella quale la Corea del Nord costruisce relazioni su più livelli.
Kim guarda all’Africa
Il paese della ‘calma del mattino’ – antico nome dell’attuale Corea del Nord – è spesso descritto dagli analisti come uno stato pariah, quasi autarchico. Ciò significa che spesso si dimentica la portata globale delle sue azioni, i cui effetti sono visibili già da anni.
L’isolamento diplomatico e politico, ora divenuto parziale, non equivale e non ha mai equivalso all’assenza di mercato e rapporti con l’estero. Il commercio internazionale, e soprattutto il commercio di armi, è una parte fondamentale dell’economia del Paese.
Le buone relazioni di Pyongyang con i regimi africani non sono una novità. La Corea del nord ha guardato con sempre più interesse all’Africa dopo il suo primo test nucleare effettuato nel 2006, e ancor di più dopo il progressivo deteriorarsi dei rapporti con la Cina.
Tali relazioni sono totalmente scevre da considerazioni politiche in quanto Pyongyang ha mantenuto i suoi legami con l’Africa a prescindere dalla successione dei regimi e governi al potere, anche se ovviamente i regimi apertamente anti-occidentali offrono il terreno più fertile.
Le sanzioni delle Nazioni Unite, rafforzate nel 2009 con un embargo sulle armi «esteso» alle armi leggere e successivamente nel 2017 con una nuova risoluzione che impone il divieto totale all’esportazione di carbone, ferro, prodotti ittici e minerali grezzi, sono di certo servite a mettere pressione su Pyongyang e a portare il paese al tavolo negoziale riguardo al programma nucleare.
Numerose fonti spiegano che non hanno però prodotto i risultati sperati, come dimostra non solo l’accelerazione che il programma nucleare e missilistico ha avuto negli ultimi anni ma anche l’esportazione di armi e missili balistici in Medio Oriente, Africa e in alcuni paesi sud est asiatico (sospetti si concentrano su Birmania, Vietnam, Bangladesh, Sri Lanka).
L’export segreto di armi
Nel 2017 la Corea del Nord è stata identificata come un forte esportatore di armi ma anche come il più elusivo. Sebbene sia difficile costruire un quadro chiaro delle attività illecite di Pyongyang, la Corea del nord è sicuramente uno dei paesi meno trasparenti in fatto di esportazioni. Praticamente inesistenti sono le informazioni contenute nel registro delle Nazioni Unite e nel database delle statistiche sul commercio delle medesime.
In totale, si stima che la Corea del Nord esporti per almeno 100 milioni di dollari l’anno, anche se fonti sudcoreane riportano valutazioni di 300 milioni.
Pyongyang sfrutta un mercato di nicchia fornendo a paesi in via di sviluppo, principalmente africani, armi a basso costo, ma anche cooperazione militare, assistenza nella produzione e costruzione di fabbriche di armi.
In un recente rapporto del Consiglio di esperti delle Nazioni Unite si nota in particolare che la Corea dispone di 54 impianti per la produzione di armi ed ha iniziato a vendere le tecnologie di produzione dal 1996.
Secondo Wezeman, ricercatore al SIPRI, l’Africa è il primo obiettivo di Pyongyang per l’esportazione di beni e servizi militari. La domanda è concentrata nei paesi con le risorse più limitate, perchè i prodotti nord coreani non sono generalmente di alta qualità e i modelli delle armi risalgono all’epoca sovietica.
Il valore finanziario dell’assistenza fornita è altrettanto difficile da stimare. Le cose sono rese ancora più intricate dal fatto che il paese facilita il trasferimento e trasporto di beni e armi per conto di altri stati a cui presta i suoi servigi. Anche il cerchio di clienti rimane opaco.
Non tutti sono interessati all’acquisto di armi, alcuni vedono la Corea appunto come fonte di materie prime e intermediario di traffici illeciti di vario tipo. Il Paese rosso è allo stesso tempo uno sbocco per alcuni paesi africani – tra cui Benin, Senegal e Mozambico – che esportano diversi beni nel Paese.
Per questo motivo Pyongyang continua a cercare di rafforzare la collaborazione economica e militare simultaneamente.
Una vera e propria strategia che prevede azioni di internazionalizzazione volte a diversificare la produzione e a delocalizzare la catena produttiva e di rifornimento. In questo modo Pyongyang riesce a intrecciare e/o mantenere relazioni buone diplomatiche e militari con gli stati acquirenti.
Le investigazioni del Consiglio di esperti delle Nazioni Unite continuano. L’ultimo rapporto di agosto, non ancora rilasciato perchè bloccato dalla Russia, afferma che Pyongyang sta rifornendo di armi fazioni armate in vari conflitti, tra cui quelli in Yemen, Siria e Sudan. Continuerebbe inoltre la cooperazione militare con la Siria, in violazione delle sanzioni, come pure la vendita di missili balistici al Paese in guerra.
I clienti di Kim
Ma è appunto in Africa che la strategia di Pyongyang si attua in tutta la sua pienezza. Sono almeno 11 i paesi africani sospettati di aver violato l’embargo e di aver ricevuto dalla Corea del Nord beni e servizi in violazioni dell’embargo sulle armi.
La Corea sarebbe impegnata nell’addestramento della guardia presidenziale dell’Angola, di cui starebbe anche rifornendo le navi. Simili i servizi prestati alla Repubblica Democratica del Congo, a cui sarebbe state anche venduti ingenti quantitativi d’armi negli ultimi anni, tra cui mine anti- uomo. La base militare di Kibomango, inoltre, sarebbe regolarmente utilizzata da addestratori nordcoreani.
I sospetti più pesanti vertono su Mozambico e Tanzania, dove Pyongyang starebbe esportando sistemi di difesa area. Almeno 13 carichi sarebbero arrivati in Mozambico via nave, mentre in Tanzania i contratti per forniture militari si aggirano sui 12 milioni di dollari. La Tanzania invita ripetutamente i tecnici militari della Corea del Nord per la modernizzazione dei decrepiti caccia F-6 e F-7 (Mig 19 e Mig 21 di produzione cinese), anche se recentemente sembrerebbe averli espulsi dal Paese.
Armi e sistemi radio sarebbero stati venduti all’Eritrea, mentre in Namibia Pyongyang starebbe favorendo la costruzione di un centro di intelligence e di una fabbrica di munizioni.
La Namibia è uno dei paesi che maggiormente beneficia dei servizi di Pyongyang. Qui la Corea del Nord si è aggiudicata molte importanti commesse senza passare per alcuna gara d’appalto. La costruzione recente di una fabbrica di armi e munizioni a Oamites e di un’accademia militare nella Leopard Valley sono il segno evidente di come Pyongyang tesse la sua tela.
Progetti di cooperazione militare interessano anche Zimbabwe e Sudan, a cui sarebbero stati venduti missili a breve e lunga gittata relativamente sofisticati. Assistenza militare è stata fornita anche all’Uganda, tuttavia non è chiaro se questa sia ancora in corso mentre generici sospetti vi sono sul Benin.
In Egitto sarebbero state sequestrate granate proveniente dalla Corea del Nord e le investigazioni mirano infatti anche a gettar luce sui rapporti militari bilaterali. Si sospetta una relazione di lunga durata che comprende la vendita di missili balistici (almeno 50 Nodong 1 secondo indiscrezioni diffuse circa quindici anni or sono).
In passato, la Nigeria aveva inviato i suoi militari in Corea del Nord pagando Pyongyang per prender parte a seminari. Assistenza sarebbe stata fornita anche al Madagascar ma la lista della spesa sicuramente non è esaustiva.
Spesso dietro alle attività illecite vi sono fantomatiche società al soldo di Pyongyang, come Mansudae Overseas Projects (MOP), società statale coreana o KOMID (Korean Mining Development Trading Corporation), società controllata dalla MOP, considerata dagli Stati Uniti come il «primo commerciante di armi nordcoreane» e come il «principale canale di proliferazione» di attrezzatture balistiche e armi convenzionali prodotti dall’industria bellica di Pyongyang.
Le relazioni di molti Stati africani la Corea del Nord risalgono ai tempi della Guerra Fredda, come afferma Daragh Neville del think tank Chatham House. A quel tempo, la Corea del Nord aveva fornito sostengo ai movimenti di liberazione africani contro le potenze coloniali.
Le attività della Corea del Nord in Africa spaziano quindi dalla costruzione di infrastrutture per la difesa, alla fornitura di armi, munizioni e know how tecnologico.
Da un punto di vista più generale, sono 30 i paesi africani che commerciano con la Corea del nord. Tra il 2000 e il 2015, le esportazioni dalla Corea del Nord a Burkina Faso, Mozambico e Zambia sono cresciute dell’1,50 per cento l’anno.
Sanzioni inutili
Anche se i rapporti economici e commerciali non violano necessariamente le sanzioni o l’embargo sulle armi, il sospetto è che nella stragrande maggioranza dei casi questo avvenga.
Non a caso, i paesi africani sono considerati i maggiori responsabili del fallimento delle sanzioni contro la Corea del nord. L’attuazione delle sanzioni è stata selettiva. La maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana non ha dichiarato i rapporti commerciali con Pyongyang ed altri lo hanno fatto in maniera sommaria.
L’impatto delle sanzioni nei confronti della Corea del Nord è stato piuttosto limitato. Oggigiorno la Corea si attiene alla triplice strategia di sviluppo del programma nucleare, delle armi convenzionali, e dell’economia civile. La costruzione e l’esportazione dei missili è una delle attività focali.
L’insistenza dei media sul programma nucleare coreano ha fatto passare in secondo piano I legami di difesa bilaterali tra Pyongyang e i paesi in via di sviluppo. In Africa, la politica estera di Kim appare tutt’altro che irrazionale.
I tentativi di forgiare una cooperazione durevole con i partner strategici africani su base su una duplice tattica: incrementare il soft power attraverso investimenti e esportazione di vari beni, e rafforzare le capacità di produzione africane nel settore della difesa.
Al contrario di ciò che fanno Stati Uniti, Russia, Cina ed altri “big” che hanno tradizionalmente cercato di creare attorno a sé una rete di Stati-clienti, la Corea del Nord sta investendo nella difesa dei paesi africani senza aspettative di ritorno nel lungo termine. Sono piuttosto i guadagni immediati che le interessano.
Se Pyongyang continua ad aiutare i paesi africani a sviluppare le proprie industrie della difesa, nel giro di qualche anno o decennio questi non saranno più dipendenti dai rifornimenti nordcoreani L’assenza di una prospettiva lungimirante in questo campo fa sì che Pyongyang debba per forza trovare nuovi mercati per le sue esportazioni, oppure nuovi prodotti da esportare.
Fonti sudcoreane riportano che la domanda interna in termini di sviluppo di armi – convenzionali e non – non è in decrescita né l’esportazione di materiale militare convenzionale in Africa e altri paesi in via di sviluppo non sembra per il momento subire una decelerazione.
Se ciò accadesse per volontà dei paesi importatori divenuti «indipendenti», i guadagni via via più modesti di Pyongyang potrebbero teoricamente favorire l’ulteriore sviluppo della ricerca nucleare e missilistica, mettendo a repentaglio la distensione in atto con Stati Uniti e vicini di casa.
Non è un caso che in cambio del disarmo atomico ne balistico Washington abbia offerto a Pyongyang miliardi di dollari di investimenti nel paese.
Foto: Arms Control Wonk, KCNA, Small Arms defense Journal,
Sigrid LipottVedi tutti gli articoli
Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.